Si apprende che il ripianamento delle perdite di Mariella Burani Fashion Group è saltato, dal momento che il principale azionista non si sarebbe presentato in assemblea. La previsione non era difficile da fare, dal momento che l’assemblea era stata convocata per procedere ad aumentare il capitale per complessivi 83,5 milioni e la famiglia Burani si è dichiarata disponibile a versare fino ad un massimo di 50 milioni.
Le vara questione riguarda proprio quelli che Maria Silvia Sacchi e Roberta Scagliarini sul Corriere Economia di ieri definivano “i soldi veri sul tavolo.” Secondo l’articolo apparso ieri, il rinvio dell’assemblea sarebbe in funzione dell’ottenimento di più tempo per la trattativa con le banche creditrici, disposte “a convertire una parte dei debiti se la famiglia mette 50 milioni”.
Ci sono alcune cose che colpiscono in tutto questo. La prima è che un imprenditore si limiti a proporre di versare fino ad un massimo del 10% del totale dei debiti bancari, chiedendo alle banche di fare il resto; la seconda è che le banche non solo non battano ciglio, ma siano pronte a discutere (ci viene spiegato che Burani è un gruppo troppo importante per fallire ed è ramificato e diversificato anche in Borsa, attraverso Greenvision e Bioera), complice probabilmente la presenza quale advisor di MBFG, di Mediobanca; la terza è che i Burani siano (restino?) una delle famiglie imprenditoriali più in vista di Reggio Emilia –“Giovanni Burani ha posti nei consigli di amministrazione di una quarantina di aziende”-; e infine, ma a dirlo sembra di sparare sulla Croce Rossa, azionisti e consiglieri di Bipop, quindi chiamati da Unicredit, che negli affari giusti non manca mai, nel CdA di Fineco.
Può bastare?