Nello stesso giorno l’economia si incarica di lanciare segnali per far capire che non è una scienza esatta, ma sociale, che studia i comportamenti personali e che dai comportamenti personali dipende.
Negli USA, il giorno dopo la festa del Ringraziamento -che non è una cattiva idea, anzi: ringraziare, ricordandosi che nulla è dovuto e che non ci siamo fatti da soli- si corre a spendere, mutando il colore dei conti dei commercianti da rosso in nero. Da cui il titolo, borsisticamente funesto.
Gli USA mostrano, con la loro consueta enunciazione di fiducia nel consumo, che i centri commerciali sono i nuovi templi della religione laica del consumo, nel quale la popolazione americana si identifica. E il rilancio dei consumi è, indubbiamente, uno dei grandi motori, un volano fondamentale della ripresa economica.
Per Dubai, al contrario, anche se le dimensioni del buco appaiono colossali -ancor più considerando la sostanziale illiquidità delle attività immobiliari coinvolte- si parla addirittura di rischio di contagio sistemico, scomodando la preoccupazione circa la possibile insolvenza di altri paesi dalle economie deboli. Non si deve dimenticare, peraltro, che Dubai ha la (s)ventura di essere l’unico paese del Golfo senza petrolio. Il che non toglie che, se pure non si deve pensare che le difficoltà del paese arabo, sulle quali le autorità locali parleranno lunedì, si debbano ripercuotere ipso facto su altri paesi (Ungheria, Messico, Turchia, solo per citarne qualcuno). Il vero rischio appare, piuttosto, quello che altri paesi, incoraggiati dall’eventuale, possibile, accoglienza della richiesta di moratoria fatta dal paese del Golfo, dichiarino anch’essi di essere impossibilitati a pagare, ingenerando, a questo punto, un vero rischio di contagio sistemico. Come direbbero gli americani, siamo confidenti che non accada.