Il Sole 24 Ore di mercoledì 3 febbraio, riportando i dati della base informativa pubblica di Banca d’Italia, sottolinea che “riprende a salire la perdita potenziale di imprese ed enti locali sui derivati stipulati con banche italiane per assicurarsi contro l’eventuale rialzo dei tassi di interesse.” Per le pubbliche amministrazioni si tratta di un controvalore di 2.464 mln.di €, per un numero di affidati pari a 467 (il saldo è peggiorato del 12%), mentre va leggermente meglio per le imprese, affidate per oltre 7.509 mln.di € (saldo peggiorato del 9%) ed in numero di oltre 34mila. La notizia fa il paio con il contenuto di un colloquio, avvenuto qualche giorno fa, durante un corso di formazione, con una ex-dipendente, ora “pentita” –ed è un aggettivo che non si dovrebbe usare parlando lavoro, di normale lavoro, bancario o no- di una grande banca italiana. La signora mi ha raccontato, peraltro confermando notizie che avevo già avuto purtroppo modo di verificare, che la vendita di derivati era un dovere professionale di ogni preposto di filiale: che, ove fosse mancata la voglia o lo slancio commerciale per farlo, all’uscita, terminata la riunione, meglio sarebbe stato depositare la chiave della filiale e cambiare lavoro. La signora mi ha altresì raccontato di prodotti oggettivamente svantaggiosi per il cliente, sia come struttura, sia come contenuti contrattuali sia, soprattutto, come tipologia di rischio coperto. E della crescente, insopportabile consapevolezza, di stare vendendo bombe a mano con l’innesco pronto ad esplodere, fino a quando ha deciso di cambiare banca, andando a lavorare in una banca locale. Non è la prima storia che sento come questa, ma non mi è mai capitato di ascoltarla con una tale dovizia di particolari e, aggiungo, con così tanta percezione di vergogna per quanto fatto. Come di qualcuno, appunto, che per tanto, troppo tempo, ha venduto armi.
Giorno: 4 febbraio 2010

A proposito di PIL della felicità, classifiche del benessere et alio.
Il Patrono di Rimini, San Gaudenzo, festeggiato il 14 ottobre, absit iniuria verbis, è stato bruciato e divenuto Martire in carne ed ossa.
La Patrona di Forlì, la Madonna del Fuoco, come spiegato nella storia di seguito, tratta da http://www.preghiereagesuemaria.it, in mezzo alle fiamme non ha fatto una piega nemmeno sotto forma di effigie cartacea.
La notte del 4 febbraio, la scuola dove insegna il Maestro Lombardino da Riopetroso, va in fiamme. Un improvviso incendio avvolge ogni cosa e tutto distrugge. La gente accorre spaventata, tenta di circoscrivere con ogni mezzo il fuoco, di salvare ciò che è possibile. Tra le fiamme appare miracolosamente illesa un’Immagine della Madonna, una semplice incisione su carta, incollata ad una sottile tavola di legno. L’incendio dura più giorni; al termine tra le macerie annerite rimane solo l’Immagine della Madonna. Le cronache ci riferiscono che il Maestro Lombardino è molto devoto. Seguendo le sue belle abitudini, gli alunni sono soliti recitare le preghiere ogni giorno, ed il sabato sera anche cantare le lodi alla Madonna davanti a quella semplice Immagine. L’inverno è particolarmente freddo e, sebbene i ragazzi di allora non siano abituati a molte delicatezze, in quell’inizio di febbraio si deve pensare a riscaldare la scuola, perché gli alunni possano scrivere sulle tavolette che tengono sulle ginocchia, e sciogliere le dita intirizzite dal gelo. Quell’anno poi le Ceneri, con l’inizio della Quaresima, cadono il 18 febbraio: mancano quindi ancora 8 giorni alla vacanza del Carnevale, ma i ragazzi già la sentono nelle loro vene! Quel mercoledì sera quindi escono in fretta dall’aula, senza assicurarsi bene che il fuoco sia completamente spento e non vi siano pericoli di incendio. Purtroppo una semplice favilla basta a sviluppare, indisturbata, il grande incendio. Di fronte all’Immagine della Madonna rimasta illesa tra le fumanti macerie tutti rimangono attoniti ed ammirati. Il fatto diventa di dominio pubblico ed il primo ad accorrere è il giovane Governatore, Legato del Papa, Mons. Domenico Capranica che, partecipando dei sentimenti della gente, ordina di portare in Duomo, con una solenne processione, l’Immagine miracolosa. Il Duomo è un antichissimo monumento del quale si parla già nel secolo XII, ampiamente rifatto poi nel Quattrocento. Inizialmente l’Immagine della Madonna del fuoco viene riposta nell’antica Cappella di S. Bartolomeo, e nel 1636 trasferita definitivamente nella ricca e bella Cappella, nella navata sinistra, costruita appositamente per venerare la Patrona della Città, e, alla fine del Settecento, rivestita di preziosi marmi. Sul grande arco di ingresso è raffigurato il “Miracolo della Madonna del fuoco” di Pompei Randi, mentre nella cupola è affrescata l’Assunzione, capolavoro di Carlo Cignani. Sull’Altare, una superba opera del Settecento, è custodita la preziosa incisione della Madonna con il Bambino detta la Madonna del fuoco, una delle più antiche incisioni su legno che si conoscano. L’incisione è a figure multiple: nel centro la Madonna incoronata tiene amorosamente tra le braccia il Bambino Gesù; a sinistra, in alto, vi è il sole e, a destra, la luna. Al di sopra, la scena della Crocifissione tra l’Angelo e la Vergine dell’Annunciazione. Ai lati della Madonna ed in basso, vi sono varie figure di santi.