
Dal Corriere della Sera on line di oggi apprendiamo che in un’intervista su Io Donna che comparirà domani, l’economista Stefano Bartolini, dell’Università di Siena, afferma essere l’infelicità americana l’origine e la causa della crisi economica. Il Corriere, come quasi tutti i giornali, non è nuovo a titoli ad effetto e che, soprattutto, non corrispondono realmente ai contenuti del pezzo. In particolare -il testo è virgolettato- Bartolini afferma che «il denaro offre molte forme di protezione, reali e illusorie. Se gli anziani sono soli e malati, la risposta è una badante. Se i nostri bambini sono soli, la soluzione è una baby-sitter. Se la nostra rete di amicizie diviene scarsa e poco attraente o se la nostra città diviene troppo pericolosa per uscire, possiamo passare le serate in casa dopo esserci comprati ogni sorta di divertimento casalingo. Se il clima frenetico e invivibile delle nostre vite e delle nostre città ci angustia, una vacanza in qualche paradiso tropicale ci risolleverà. Se litighiamo con i nostri vicini, le spese per un avvocato ci proteggeranno dalla loro prepotenza. Se abbiamo paura, possiamo difendere i nostri beni con sistemi di allarme. Se siamo soli, o abbiamo relazioni difficili e insoddisfacenti, possiamo cercare un riscatto identitario nel consumo, nel successo, nel lavoro».
Ho letto e riletto le affermazioni dell’illustre Collega e non riesco a capire perché, a differenza di quanto scrive il giornalista, Pier Luigi Vercesi, la colpa della crisi sia, anche ragionando nel modo singolare e stimolante di Bartolini, solo a stelle e strisce. Può essere che la rincorsa ai consumi ed agli acquisti che fa lievitare il PIL origini dall’infelicità americana, ma leggere quanto affermato da Bartolini mi fa pensare anzitutto all’Italia: a questa Italia, quella nella quale vivo e lavoro, senza andare tanto lontano, a Rimini. L’intervistato mette le mani avanti, il suo non è un nostalgico ritorno al bel tempo che fu, tampoco ruralismo d’antan. Ma, sostiene Bartolini, si è passato il segno, “la crisi ha dimostrato che nessun sistema economico funziona bene se basato solo sull’avidità: sono sempre necessarie etica e cooperazione.” Ovviamente gli americani più degli europei avrebbero smarrito senso dell’etica e solidarismo, o forse questa è solo la lettura, un po’ capziosa, che Vercesi vuole che risulti. La realtà che ci sta di fronte dice che non siamo affatto più coesi degli americani, etici o solidali: forse siamo più moralisti, il che, per chi è nato in un paese cattolico è assai grave, perché il moralismo sono le regole distaccate da qualunque senso e significato, fini a sé stesse. In altre parole, ciò che manca, sia Oltreoceano, sia in Europa, non sono le regole, non sono i valori, non sono i buoni sentimenti, ma l’educazione. Come ha ricordato ad Assago Julian Carròn a proposito della modernità: “il clamoroso fallimento di questa impostazione è oggi davanti a tutti, malgrado i tentativi di nasconderlo. Non ci saranno mai abbastanza regole per ammaestrare i lupi. Questo è l’esito tremendo quando si punta tutto sull’etica invece che sull’educazione, cioè su un adeguato rapporto tra l’io e gli altri.”