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Quotarsi un po’…

Il supplemento di sabato del Sole 24 Ore, Plus 24, si sofferma sulle IPO a venire, definendo il 2010 l’anno delle quotazioni. Marco Liera, nel titolare che di 569 imprese quotate ne sono rimaste 272, sottolinea anzitutto le aspettative di venditori e compratori, “molteplici ed a volte in conflitto”. In particolare chi colloca dovrebbe non soltanto puntare a massimizzare l’incasso, ma anche a “individuare un prezzo equo che lasci spazio per un’ulteriore remunerazione ai soci (…).” Al contrario, chi acquista o è mosso da puro intento speculativo oppure è un cassettista. Pur comprendendo le necessità della scrittura giornalistica, è difficile sottrarsi al dubbio dell’eccesso semplicistico acuito, purtroppo, da una lunga esperienza accademica e di studi. Le Initial Public Offering (IPO) rammentano i luccichii ed i brillantini, lo strass e la moltiplicazione dei riflessi utilizzati per attrarre. Quasi che l’interesse -o la ragion d’essere di un mercato mobiliare- si esaurisse nel consentire nuove quotazioni. I giornali, economici e non, in questi casi fanno sempre titoli che riflettono, si ritiene erroneamente, una concezione per la quale ci si stanca subito di qualunque cosa. La Borsa è interessante solo se i ballerini e le danze cambiano, la novità muove i risparmi, i fondamentali sembrano perdere di valore. La borsa, in buona soatanza, è un punto SNAI (o B-win), dove si scommette.

A parte le considerazioni circa l’educazione finanziaria dei risparmiatori, le affermazioni di Liera sembrano un po’ ingenue: i collocatori mirerebbero, tutti indistintamente, a massimizzare gli incassi, ma fra di essi gli interessi delle banche d’affari e dei soci senior sono notoriamente in contrasto. Le une vorrebbero un prezzo che consenta di fare il pieno di adesioni, gli altri vogliono massimizzare i flussi in entrata, subito. E ancora: i compratori, anche i più sprovveduti, sono a conoscenza del noto fenomeno dell’undepricing, in forza del quale chi ottiene le azioni in fase di IPO nella quasi totalità dei casi otterrà lauti guadagni rivendendo subito dopo, dal momento che il prezzo iniziale di quotazione risulta essere sempre inferiore a quello di mercato, perlomeno per un certo lasso di tempo iniziale. Poi, come insegna la ricca letteratura citata da Liera, i prezzi vanno giù, ma nel frattempo chi ha ottenuto le azioni in fase di IPO fa, o avrebbe dovuto fare, cassa (se non l’ha fatto, come insegna la saggezza popolare romagnola, “dormiva nella paglia”).

L’editoriale è interessante, sia ben chiaro: ed andrebbe letto con attenzione dai miei studenti e non solo. Inoltre, e di questo vale la pena occuparsi a parte, l’articolista richiama l’importanza per l’investitore di seguire nel tempo le vicende delle società di cui si è azionisti, valutandone i fondamentali, le scelte strategiche, i mutamenti negli assetti proprietari. Un lavoro meno semplice di quanto sembri: e, soprattutto, per il quale sono richieste competenze e capacità specifiche, e non solo. Sempre più quello che manca è l’educazione finanziaria.

Di johnmaynard

Associate professor of economics of financial intermediaries and stock exchange markets in Urbino University, Faculty of Economics
twitter@profBerti

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