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Banche Bolla immobiliare USA Vigilanza bancaria

Sorpresa.

Miami

Anzi, doppia sorpresa. Anche negli USA fanno lo stress test. I risultati non sono proprio lusinghieri, anche se le 4 principali banche resterebbero indenni e non necessiterebbero di nuovo capitale: in effetti, la ricapitalizzazione complessiva dovrebbe aggirarsi sui 76 miliardi di dollari, non proprio spiccioli. Ma la seconda sorpresa deriva dalla composizione del segmento di banche più esposte ai rischi e meno capitalizzate, ovvero le banche piccole e medie: e non per la tradizionale attività di prestito, ma per la loro esposizione sul settore immobiliare. Gli immobili continuano a fare danni, per la soddisfazione di tutti coloro che affermano la loro costante rivalutazione. E li fanno dappertutto.

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Banche

7 giorni su 7.

Carte di credito in 15 minuti, burocrazia bancaria ridotta al minimo, banca aperta il sabato e la domenica. Il banchiere americano Vernon Hill apre a Londra il primo sportello di Metro Bank, promettendo di rivoluzionare il mercato retail.

In realtà, come afferma il corrispondente da Londra del Sole 24 Ore, a parte la rapidità nel disbrigo delle pratiche e nel rilascio delle carte di credito, non pare esservi granché; e le condizioni non sono certamente favorevoli (tasso sullo scoperto superiore al 15%, on-line banking limitato).

La notizia dell’apertura di Metro fa comunque riflettere, perché si apprestano a fare lo stesso Tesco e Virgin. Ma è difficile non pensare alla difficile conciliabilità di costi operativi mediamente più elevati -il personale che lavora al sabato ed alla domenica, anche ammesso che non costasse di più per ora lavorata, certamente inciderebbe maggiormente sui volumi prodotti- e “povertà” del business. Certo, il 15% sullo scoperto è un tasso remunerativo, ma parliamo di una banca retail, per la quale la clientela imprese rappresenterà una quota ridottissima; ed alla quale difficilmente potranno essere erogati servizi qualificati. Rimane il grande pubblico: che forse non si lamenterà più dei disservizi, ma potrebbe cominciare a farlo dei costi, se questi, come è probabile, si riveleranno più elevati, tassi a parte.

C’è un trade-off nell’erogazione del servizio bancario, fra innalzamento della qualità del servizio e basso costo del medesimo. Ed è un trade-off difficilmente superabile, poiché imperniato sull’elemento decisivo del costo del lavoro. Le foto del debutto di Metro Bank sono, al riguardo, significative, mostrando lunghi banconi densi di impiegati in divisa blu e cravatta rossa. E se è vero che il costo del lavoro bancario negli Stati Uniti o in Inghilterra non è paragonabile a quello italiano, riesce tuttavia difficile pensare che possa essere compresso all’infinito, riducendo i profitti o riversandosi sui prezzi al consumatore. Non esistono pasti gratis, figuriamoci una banca.

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Energia, trasporti e infrastrutture USA

Calcoli errati.

Si è dato ampio risalto, nei gironi scorsi, dapprima negli States da parte del New York Times, poi nel resto del mondo, ai risultati emersi da un paper di John Blackburn e Sam Cunningham, intitolato Solar and Nuclear Costs . The historic crossover dal quale risulterebbe il minore costo dell’energia pulita, finalmente più conveniente del nucleare. Vari commentatori si sono occupati dell’argomento, fra questi segnalo, oltre al blog di Chicco Testa, anche Rod Adams nel suo blog. A parte le considerazioni sul piccolo problema della produzione di energia elettrica in assenza di sole (realizzabile solo con il carbone, il gasolio e, appunto, il nucleare) ciò che colpisce nel paper, come è stato sottolineato da Carlo Stagnaro e Daren Bakst sul Foglio di ieri, è che i due autori americani dimenticano, nel loro calcolo, l’incentivo fiscale federale e quello del North Carolina, lo stato rispetto al quale sono stati fatti i calcoli. Si tratta di cifre rispettivamente pari al 30 ed al 35 per cento, analogamente a quanto evidenziato in Italia. E i calcoli non cambierebbero se, anziché incentivare i consumi, li si defiscalizzasse: ovvero, come ricordano Stagnaro e Bakst, “anziché pagare i consumatori in proporzione a quanto consumano, lo farebbero i contribuenti i base a quanto dichiarano“.

Continuiamo ad essere così sicuri che il fotovoltaico sia più conveniente?

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Energia, trasporti e infrastrutture Indebitamento delle imprese PMI

Uomini e camion.

Mi fanno vedere i dati di una ditta di autotrasporto, a conduzione familiare. 250mila euro scarsi di fatturato, reddito operativo all’osso (quasi all’1%), debiti finanziari pari ad una volta e mezzo il fatturato. Inoltre, debiti verso erario per Iva non assolta nei termini, debiti verso fornitori, debiti verso i benzinai, debiti. Richiesta alla banca di dare ulteriore finanza: perché? Non è difficile capire che il settore è sovraffollato, che l’offerta eccede la domanda, che le imprese sono troppe e si faranno concorrenza in un solo modo, al ribasso, soprattutto se per entrare nel settore non serve avere studiato, basta la patente. E dal 2012 autisti polacchi, bulgari, slovacchi, ucraini chiederanno sempre meno: perché pagare di più?

Per quale motivo distruggere ancora ricchezza, perché rischiare la vita per guadagnare meno di un dipendente? Perché, soprattutto, fissare tariffe minime, quando chiunque, richiesto se preferisce pagare un servizio poco o tanto risponde, quasi sempre: “Poco!”. In specie se si tratta di un servizio che incide sul costo finale del prodotto. Invece no: tariffe minime, aiuti vari (di Stato, ma non si può dire), contribuzioni ed altro per mantenere in vita aziende che sarebbero -duole dirlo ma è la verità- da far fallire, prima che consumino altre risorse. Prima, sopratutto, che consumino se stessi.

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Borsa Mariella Burani

Pilastri.

“Forse Giovanni Burani con questa iniziativa voleva dare ossigeno ad un titolo che dopo l’infortunio di bilancio poteva crollare. (…) Sono convinta che Giovanni Burani ha promosso l’Opa per evitare che il titolo Mbfg avesse un tracollo. Le azioni Mbfg all’epoca presentavano un andamento decrescente. Giovanni era intervenuto e continuava a intervenire a sostegno con molte iniziative, gli acquisti massicci di Bdh e i derivati stipulati con Lehman, Natixis ed Euromobiliare. Per Giovanni l’andamento del titolo era un pilastro della sua visione dell’impresa”.

Maria Rita Galli, dirigente di Burani designer holding

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Banche Germania profitto Rischi Vigilanza bancaria

Facciamo a capirci.

Ubi banca. All’indomani (finanziario) della pubblicazione degli stress test il titolo Ubi banca è il più penalizzato fra gli istituti italiani coinvolti nella maxi-valutazione europea con un ribasso superiore all’1 per cento. L’istituto – che l’anno scorso ha sottoscritto un 1,9 miliardi di euro in bond ibridi – non sta prendendo in considerazione un aumento di capitale e continuerà a distribuire dividendi, secondo quanto comunicato dall’amministratore delegato Victor Massiah. Ma l’impatto degli stress test, da cui è emerso un Tier 1 al 6,8% in caso di scenario avverso, non è piaciuto agli analisti. «È stato superiore al previsto a causa di un maggiore costo del credito. Anche le perdite previste sul trading book sono state ben superiori – spiegano gli analisti di Equita -. Sul risultato degli stress test ha inciso negativamente anche la minor base di partenza del trading income che nel 2009 aveva contribuito per solo il 7% al risultato operativo rispetto al 15% della media di settore. In ogni caso, anche se il risultato dello stress test è deludente, la posizione di capitale di Ubi è ben sopra il livello di guardia», concludono gli analisti, che per il 2010 stimano un Core Tier 1 all’8% circa.

Così Il Sole 24 Ore on line di oggi, che ritorna sulla questione degli stress test.

Ora, a parte la sensazione, abbastanza sgradevole, che da parte di molti si siano presi i risultati degli stress test unicamente in chiave di “come reagiranno i mercati“; a parte che i suddetti mercati fanno, come sempre, quello che vogliono e al riguardo si è assistito alla diffusione di ogni sorta di notizia più o meno difforme; a parte che gli americani hanno sostenuto essere gli stress test europei non sufficientemente affidabili, che è un po’ come se il piromane esperto desse del dilettante al ragazzino con la molotov; a parte che le banche tedesche non hanno comunicato integralmente tutti i loro dati (e la pietosa difesa di Bundesbank and co. è stata che “non possiamo obbligarli“) e a questo punto non sai più di chi fidarti, poiché persino la Merkel viene meno. A parte tutto questo, facciamo a capirci, appunto.

Se UBI ha realizzato perdite sul trading bookben superiori“, nonostante il modesto contributo del trading income al risultato operativo, se ne dovrebbero trarre due conclusioni:

  1. UBI non è neppure capace di fare profitti nel modo con cui tutte le banche, più o meno orgiasticamente, sono riuscite negli ultimi due anni;
  2. UBI, che ha svolto attività tradizionale (se fai trading non fai lending e viceversa), l’ha svolta male, visto l’elevato costo del credito.

Di conseguenza si potrebbe rilevare e rimarcare che l’annunciata ininterrotta distribuzione di dividendi della banca guidata da Victor Massiah sia quantomeno incongrua: e scagliarsi, con opportuna vis polemica, contro chi fa strame dei precetti delle autorità di Vigilanza e del bon ton del mercato del credito. Invece no, niente di tutto questo. Ci pensa una SIM, una banca d’affari, qualcuno che offre gli elementi di riflessione, ma i giornali no. Perché è così difficile parlare chiaro?

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Indebitamento delle imprese PMI

Maracaibo, provincia di Rimini.

Tratto dalla photogallery dell'Hotel Maracaibo, Rimini

La notizia che nella capitale del turismo accadano certe cose mi ha spinto a cercare di capire di più, visto che questo modello di sviluppo turistico così meravigliosamente pieno di bellezza ed innovazione, così “europeo” -vedi i titoli fuori dalle righe del Resto del Carlino all’indomani della Notte Rosa, ovvero di quella manifestazione che, la mattina dopo, ha reso la battigia un immondezzaio e Rimini, per due giorni, la capitale nel nulla- deve avere una marcia in più.

La marcia in più, per un albergo che non paga i dipendenti, ovvero il principale costo, nonché fisso, deve essere sicuramente da qualche altra parte.

Così sono andato a vedere sul loro sito, http://www.hotelmaracaiborimini.eu, dalla cui photogallery (col ph) ho tratto la foto che accompagna il post. Ma soprattutto, ho visto le foto che accompagnano la testata del sito. Ogni commento è superfluo. Nel frattempo, mentre ci sono degli stagionali che non prendono lo stipendio, il comune di Rimini difende a spada tratta i bagnini del 62 e del 63, che pur qualche irregolarità la devono avere commessa, se hanno visti sigillati gli stabilimenti. Ma di queste cose non sta bene parlare, è il 25 luglio.

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Banche don Giussani Educazione Goldman Sachs profitto Rischi USA

Lo scandalo di Goldman Sachs.

Lloyd Blankfein, CEO di Goldman Sachs

Lo scandalo, se la memoria vacillante del greco (a sua volta vacillante)  non mi inganna, è qualcosa nel quale si incappa, si inciampa. E’ posto lungo il cammino, non si può ignorarlo, come uno di quei sassi che in montagna, durante le camminate, obbligano il sentiero a deviare. Lo scandalo sono i profitti di Goldman Sachs, i cui boys sono collocati nei gangli del potere, lobbistico e non, degli States.

Su tutto ciò che rappresenta il caso Goldman Sachs, ma anche il dibattito che ha suscitato, sul potere ed il suo utilizzo, sulle conseguenze di questo uso e sul giudizio che ognuno deve darne, io credo sia opportuno rileggere le considerazioni iniziali riportate nell’intervento che Juliàn Carròn ha fatto nel corso dell’assemblea generale della CdO lo scorso anno.

“Noi siamo chiamati a vivere questa sfida in un contesto culturale in cui la risposta a questa tensione sembra palese: l’individualismo. Detto con una frase: io raggiungo meglio il mio bene se prescindo dagli altri. Di più: l’individualista vede nell’altro una minaccia per raggiungere lo scopo della propria felicità. È quanto si può riassumere nello slogan che definisce l’atteggiamento proprio di questa mentalità: homo homini lupus. Ma dicendo così la modernità si mostra incapace di dare una risposta esauriente, vale a dire che contempli tutti i fattori in gioco. Infatti la concezione individualista risolve il problema cancellando uno dei poli della tensione. E una soluzione che deve eliminare uno dei fattori in gioco, semplicemente,non è una vera soluzione. Fino a quale punto questa impostazione è sbagliata si vede dal fatto, emerso clamorosamente, della sempre più urgentemente sentita richiesta di regole. Quanto più l’altro è concepito come un potenziale nemico, tanto più viene a galla la necessità d’un intervento dall’esterno per gestire i conflitti. Questo è il paradosso della modernità: più incoraggia l’individualismo, più è costretta a moltiplicare le regole permettere sotto controllo il“lupo”che ognuno di noi si rivela potenzialmente essere. Il clamoroso fallimento di questa impostazione è oggi davanti a tutti,malgrado i tentativi di nasconderlo. Non ci saranno mai abbastanza regole per ammaestrare i lupi.
Questo è l’esito tremendo quando si punta tutto sull’etica invece che sull’educazione, cioè su un adeguato rapporto tra l’io e gli altri. Ma non è tanto l’incapacità delle regole a costituire il problema. La vera questione è che l’individualismo è fondato su un errore madornale: pensare che la felicità corrisponda all’accumulo. In questo la modernità dimostra ancora una volta la mancanza di conoscenza dell’autentica natura dell’uomo, di quella sproporzione strutturale di leopardiana memoria. Per questo l’individualismo, ancor più che sbagliato, è inutile per risolvere il dramma dell’uomo. Inoltre occorrerebbe aggiungere anche un ulteriore inganno, proclamato dal potere dominante: che si possa essere felici a prescindere dagli altri.”

Il problema, dunque, non sono le regole, anche se le regole ci vogliono e vanno applicate; ed il problema non è neppure il potere, che da sempre ha zone grigie e zone d’ombra, che da sempre è contiguo alla vita economica, in Italia, come negli Stati Uniti come altrove. Il problema, e lo sottolinea bene Carròn, siamo noi, è dentro di noi. Come quando don Giussani diceva che “se ci fosse una educazione del popolo tutti starebbero meglio.” Voleva dire che se le persone fossero educate a stare di fronte alla realtà secondo la totalità dei suoi fattori, ci si accorgerebbe che il problema non è mai di qualcun altro che è normalmente più forte, più cattivo, più approfittatore ed in grado di fare male, dividendo in modo manicheo il bene ed il male in capo agli uomini. Ci si accorgerebbe che la questione riguarda noi, che non siamo normalmente più buoni, o generosi o altruisti degli altri: cioè, come dicevo un anno fa, non siamo migliori di loro. A mio parere vuole dire, per esempio, che si può cominciare a scegliere la banca con cui lavorare, educandosi a capire cosa questo significhi, che si può cominciare a farsi domande sul senso del proprio lavoro, che si può spendere la propria consapevolezza facendola diventare apertura alla realtà. Ci si può interrogare tutta la vita sul potere e sulla cattiveria umana, senza cambiare nulla, prima di tutto dentro noi stessi. Oppure si può cominciare a educare se stessi, cercando maestri e la loro compagnia, lavorando sul significato di quello che si fa e confrontandosi con chi ti può aiutare, concependo sè non come qualcosa di astratto, ma come vivo e presente nel mondo, nell’ambiente, nelle aule, nelle banche, ovunque. Cioè facendosi domande e cercando risposte, ma non in modo astratto, perché per essere astratti basta poco: basta pensare che il problema riguardi gli altri e non la mia vita. Per educare ed educarsi occorre porsi la domanda del significato, prima di tutto per sè. So che questo mi interpella personalmente, per esempio nel modo di fare lezione in università, nel modo con cui rispondo agli studenti ed ascolto quello che hanno da dirmi; ma anche nel modo con cui sollecito ognuno di loro ad andare oltre quelle 60 ore finalizzate a dare un esame. Questo della ricerca del significato è il lavoro della vita, e non finisce mai. Accettare questo vuol dire mettersi in gioco, ora, sapendo, come diceva Giussani nel post che ha preceduto la vacanza di John Maynard, che “abbiamo voluto parlare di destino e scopo perché tutto va a finire lì.” Anche Lloyd Blankfein.

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Educazione Formazione Università

Università telematica.

Non so perché il presidente del Milan abbia scelto di visitare il campus (campus? se l’università è telematica che campus è? un magazzino di pc?) telematico dell’università telematica gestita dal CEPU. So che mi basterebbe sapere da dove viene il gestore per poter dire che l’università telematica non solo non mi interessa, ma anche che credo sia la cosa più lontana da ciò che serve ad educare e formare una persona. Molti anni fa, occupandomi per la prima volta di promozione di Ateneo e di Facoltà, ebbi l’occasione di incontrare madri che venivano ad Urbino con i loro figli, quando non al posto dei loro figli, per informarsi se la frequenza fosse obbligatoria, se si potesse studiare a distanza, se bastassero i libri ed, eventualmente, il CEPU. Ho smesso di stupirmi, dopo le prime volte, non ho smesso di mettere in guardia, alla prima ora di lezione all’inizio di ogni semestre accademico, dal cercare di passare i miei esami con il metodo CEPU.

L’università è rapporto fra persone, che si implicano e si mettono in discussione, che si fanno interrogare dall’altro, da chi hanno di fronte e che facendo questo rendono nuovo ed impegnativo ogni momento, fosse anche la spiegazione dell’argomento più classico e stranoto. L’esperienza di questi anni, senza nulla togliere all’impegno di chi studia e lavora, e che si colloca, evidentemente, in una posizione diversa, è stata straordinariamente interessante e ricca perché ha sempre approfondito e ricercato il rapporto. Quello che, nella sfida educativa, non prevede ruoli, ma compiti e, comunque, pur nell’oggettività di una posizione differente, richiede l’implicazione ed il coinvolgimento personale. Quel rapporto a cui io non intendo rinunciare.

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Blog in modalità vacanza.