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Banche Indebitamento delle imprese Moratoria dei debiti Mutui e tassi di interesse PMI

Frozen credit and expired ideas.

Groenlandia

Secondo le stime di fine maggio del Ministero per l’Economia, le domande per la sospensione delle rate, in base al cosiddetto Avviso comune o moratoria, sono salite a quota 197mila, con circa 10,5 miliardi di debiti “congelati”, a fronte di un debito residuo pari ad oltre 4 volte (46 miliardi di euro).

Se il sistema bancario ha accolto il 77% delle richieste, dai Confidi sono arrivate garanzie per oltre 5 miliardi.

Francesco Bellotti, presidente di Federconfidi, in occasione dell’assemblea annuale ha evidenziato che, nonostante questi numeri, la situazione resta critica e che servono “interventi straordinari della politica per un rafforzamento patrimoniale.” Forse sarebbe il caso di dirlo a voce alta e non nascondersi più dietro ad un dito –in altri Paesi, la Francia per esempio, lo fanno già- evidenziando che i Confidi, originariamente nati con finalità mutualistica fra imprenditori, associati fra loro per ottenere una maggiore capacità contrattuale e di garanzia, sono diventati un ente pubblico, che svolge una funzione di interesse pubblico, con denari prevalentemente pubblici. Il che significa certamente chiedere allo Stato che faccia la sua parte, ma anche usare quei denari più responsabilmente di quanto numerose esperienze, al Sud come al Nord, documentino.

Quanto a Vincenzo Boccia, presidente della Piccola Industria di Confindustria, ha affermato che obiettivo del sistema imprenditoriale è rafforzarsi, ovvero (sic) “avere strumenti di finanziamento a medio termine, non più a breve, come è il private equity.”

Ma chi scrive i discorsi del Presidente Boccia? Ma davvero è convinto che il credito a medio-lungo termine ed il private equity risolvano i problemi delle Pmi, il cui fabbisogno è spesso tutto da verificare, legato ad iniziative avventate, sbagliate alla radice, frutto di speculazione immobiliare? Perché il private equity possa svolgere il compito di sostenere il capitale di rischio delle imprese occorrono certamente gli operatori: ma se c’è l’offerta e manca la domanda? Se la questione è, di nuovo e drammaticamente, quella del modello del capitalismo italiano, familiare e perciò chiuso, a cosa serve il private equity? Se Myers (non proprio uno qualunque) documenta l’esistenza del famoso ordine di preferenze delle Pmi, nel quale al primo posto, dopo l’ovvio autofinanziamento c’è il debito bancario e solo all’ultimo c’è il capitale di rischio di provenienza esterna, il private equity è destinato a fare la fine di un concerto di musica classica programmato la sera della Notte Rosa.

Infine, l’ignoto, ma certamente poco innovativo ghost writer del Presidente Boccia gli fa dire che le aziende chiedono di essere valutate non solo sulla base dei numeri di bilancio, ma sulla base dell’analisi qualitativa. Se l’analisi qualitativa è quella che mi è capitato di esaminare in tante pratiche di fido, dove si chiedeva alla banca di fidarsi ciecamente di numeri non documentati, di percentuali in crescita prive di riscontro, forse sarebbe meglio lasciar perdere. E rimettere al centro la questione, dai più dimenticata, che il problema delle Pmi è anzitutto di gap di cultura gestionale e finanziaria. Nessun Confidi, private equity investor o banca specializzata del credito a medio-lungo termine può cavare il sangue dalle rape. Se poi le rape sono immobili, meglio, molto meglio lasciar perdere.

Di johnmaynard

Associate professor of economics of financial intermediaries and stock exchange markets in Urbino University, Faculty of Economics
twitter@profBerti

2 risposte su “Frozen credit and expired ideas.”

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