
(..) qualcosa che interessa un’attività mia, del mio intelletto, che interessa il cuore mio, la mia affettività. Noi che siamo qui, abbiamo dapprima cercato la vostra conoscenza e la vostra presenza, non abbiamo cercato per prima cosa la vostra amicizia; ma una volta cercata la vostra presenza, non abbiamo potuto non cercare la vostra amicizia, perché senza amicizia non c’è presenza reale. Sarebbe come un barquiño che se ne va e diventa sempre più piccolo, finché scompare, svanisce all’orizzonte(*). Non poter far nulla per voi dopo avervi incontrati sarebbe come non avervi trovati, come non avervi incontrati. Invece, diventando amici, qualche cosa per voi si fa. Che cosa abbiamo voluto fare per voi, dunque, avendovi trovati per caso, essendo diventati poco o tanto amici? Innanzi tutto abbiamo voluto parlare di destino e di scopo, perché tutto va a finire lì.
Destino e scopo: questa parola è talmente poco astratta che entra dentro tutto, dal modo con cui ti stropicci gli occhi al mattino fino al fiato sospeso davanti al professore che ti interroga, fino alla fatica, sudata se è estate, sul libro da studiare, fino al palpito che il tuo cuore prova all’emozione di vedere da lontano la tua bella. Si chiama «dovere» o «lavoro» la parte più eminente e più vasta del nostro rapporto con le cose, cui siamo destinati dalla nostra natura; questo rapporto più vasto con la realtà è lo scopo del tempo che viviamo, è il lavoro vero, nel quale il destino c’entra con il nostro specifico lavoro. È augurabile che, in tanti anni di compagnia e di cammino, sia diventato più chiaro per voi cosa voglia dire lavoro.
(*) Si fa riferimento a una strofa del canto «Sevillanas del adios», in Canti, Ed.Jaca Book, 237 s.
Luigi Giussani, Avvenimento di libertà. Conversazioni con giovani universitari, Marietti 1820, Genova 2002