Fabio Tamburini, nella sua rubrica No comment, sul Sole 24 Ore di sabato scorso, sottolinea la ripresa di Unicredit, e di Alessandro Profumo, a partire anzitutto dall’archiviazione del modello S3 (le tre banche specializzate), passando per il rafforzamento dei conti aziendali ed il superamento degli stress test, il rafforzamento della compagine azionaria (con l’ingresso dei libici) per arrivare al rilancio della squadra dei manager. E’ lecito sbagliare, per carità, ed una volta resisi conto dell’errore, sarebbe diabolico perseverare: ma il passaggio dal modello S3 a quello One4C, meglio noto come il “bancone“, sembra aver resi felici solo i consulenti di organizzazione -chissà se sono sempre gli stessi-, non certamente gli azionisti, perlomeno quelli storici. E come si può evitare di domandarsi se davvero quello che sarà adottato è il modello più adatto ad una vera e propria banca “transnazionale“, come la chiama Tamburini? La dimensione non dovrebbe servire a conseguire economie di scala e di scopo, ciò a cui dovrebbe condurre il nuovo progetto? Eppure la crescita internazionale è stata sicuramente pianificata anni fa, non ci si poteva pensare prima? Tamburini rileva il miglioramento dei conti aziendali ed il superamento degli stress test: sarebbe bene anche ricordare l’abisso nel quale i conti stessi erano precipitati, le operazioni non proprio di primaria qualità messe in atto (il coinvolgimento nella vicenda Madoff, nella crisi della Roma, nel fallimento Burani), la debolezza del Core Tier 1 all’indomani della crisi. Profumo dice che facendo credito si fanno anche le sofferenze, a significare che è stata fatta la propria parte: ma se proprio Unicredit ha ridotto di oltre il 7% i propri prestiti nel 2009, le sofferenze da dove arrivano? E, infine, se il progetto One4C serve a migliorare i conti aziendali, riducendo i costi operativi -leggi: costi del personale, in prevalenza- perché Profumo, a metà dicembre, ha dichiarato che non vi sarebbero stati esuberi?