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Banche Unicredit

Eroi?

Dieter Rampl, Presidente Unicredit

Unirsi al coro delle autorevoli deplorazioni non è cosa, si potrebbe anche tacere. Ma dopo aver letto per un giorno intero, complice un lungo viaggio di ritorno dalla Sicilia, che ieri sera, in piazza Cordusio, ha lasciato la carica un “eroe” del mercato, vittima della politica, suona alquanto strano: non per le logiche del potere manifestatesi ieri (ma non sono mai state fuori da Unicredit), quanto per l’ipocrisia di certi commenti. Il Sole 24 Ore è in prima fila, con i suoi editoriali, lamentando che l’economia di mercato sia stata lasciata fuori, che la politica impropriamente entri in campo, che non si lascia senza amministratore delegato la più grande banca del Paese, che Silvio Berlusconi è impegnato a fare altro, la Libia etc…

Eppure manca un pezzo, forse quello più importante: cosa ha fatto Unicredit in questi anni, cosa è diventata, a chi è servito, veramente, il suo fare banca.

La lettura prevalente è nota: le Fondazioni, in testa Cariverona, per conto della Lega, non hanno gradito l’arrivo dei libici, poiché sentivano di contare sempre meno e temevano di vedere ridotta la loro capacità di erogare risorse al territorio, intuendo che il disegno di Profumo guardava lontano, ad una banca sempre più internazionale. D’altra parte sono le stesse Fondazioni che, man mano che la banca cresceva non trovavano nulla da dire, accettando dividendi che di locale avevano ben poco; e che non si sono mai interrogate su quale politica del credito stesse facendo la banca di cui erano divenute socie. Quella grande banca che è diventata tale, non lo si deve dimenticare, perché qualcuno l’ha venduta, a peso d’oro, appunto a Unicredit.

Una grande banca, una volta raggiunta la dimensione di Unicredit, difficilmente accetta di svolgere la propria funzione di intermediazione in senso tradizionale ché, anzi, insegue continuamente la creazione di valore.

Come questo sia avvenuto forse non è noto alle Fondazioni, ma sarebbe il caso di ricordarlo, perché nella crescita della grande Banca di piazza Cordusio il territorio non c’entra nulla. Unicredit, dopo aver perseguito politiche creditizie perlomeno dubbie, ha ridotto gli impieghi, proprio nell’anno della grande crisi, di oltre il 7%, ha venduto derivati “tossici” a micro e piccole imprese, creando valore per l’azionista e disvalore per il territorio. Ha impostato la propria concezione del rapporto banca-impresa sulla transazione e non sulla relazione, ovvero ha affermato un’idea di relazioni di clientela la più distante possibile dalle necessità di un territorio, quello italiano, dove prevale la piccola impresa.

Siamo così sicuri che ieri sera abbia lasciato un eroe? E che buoni e cattivi siano suddivisi così nettamente?

A margine di tutto questo, è difficile non ricordare che il Presidente, più che decennale, di Fondazione Cariverona, ovvero Paolo Biasi, può annoverare fra le sue performances un’azienda fallita, finanziata, vedi caso, proprio da Unicredit, in palese conflitto di interesse e senza alcun senso dell’opportunità. Quella stessa banca che, peraltro, non ha mancato di sostenere, fra le altre, Mariella Burani e A.S.Roma. E’ questo il credito di qualità di cui c’è bisogno per il territorio?

Di johnmaynard

Associate professor of economics of financial intermediaries and stock exchange markets in Urbino University, Faculty of Economics
twitter@profBerti

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