In effetti la questione del territorio e delle banche che ad esso si richiamano sta diventando un po’ irritante, giusto per usare una parola soave. E la desiderabile -almeno nelle intenzioni- maggiore vicinanza ai territori se è stata sicuramente una delle motivazioni che hanno spinto Alessandro Profumo a rivoluzionare l’organizzazione di Unicredit, è tuttavia obiettivo arduo da raggiungere, usando solo le parole.
Ricapitolando, a larghe maglie: la crisi fa emergere la distanza siderale fra la tradizionale modalità di fare banca, tipica delle banche locali e le grandi banche nazionali; le banche locali nel nostro Paese sono le banche di credito cooperativo, le poche popolari rimaste autonome, qualche Cassa di Risparmio che non ha venduto l’anima al capitale; la crisi dimostra che le grandi banche si fermano alla transazione, le banche locali, non ossessionate dal profitto di breve periodo, prediligono la relazione; le grandi banche pensano che sia giunto il momento, per non perdere clienti e salvare la reputazione, di diventare più locali e, appunto, stare vicino ai territori.
Il problema è proprio questo: il localismo non si improvvisa, la storia non si inventa, le tradizioni non si creano dal niente, altrimenti non sarebbero tradizioni, consuetudini, cultura.
La parola territorio, per le banche locali che vi insistono, è scritta nella loro stessa nascita, poiché sorgono per rispondere alle esigenze di famiglie ed imprese del territorio stesso: non è un caso che siano cooperative. L’abitudine a stare sul territorio ce l’hai perché nasci lì, perché vieni di lì, perché non parli appena il dialetto, ma lo conosci: ed hai l’abitudine, meglio, la cultura, di starlo a sentire, ed ascoltare le sue esigenze.
La banca di relazione si fa così: il marketing è nel modo di fare delle persone, nella loro cultura. Non nelle insegne. Altrimenti è cialtroneria.