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La “banca dei poveri”.

Dunque, non è tutta etica quella che riluce. E forse meriterebbe qualche riflessione la storia che viene raccontata da Nicoletta Tiliacos sul Foglio, quando riporta le affermazioni dell’economista Esther Duflo, che dice, testualmente non c’è “alcun segno di trasformazione profonda nella vita delle famiglie: nessuno dei due studi (su Filippine e India: NdR)  dimostra un vero impatto sulla salute, sulla scolarizzazione o sul potere di decisione delle donne”. E ancora: “Nelle strade indiane, indonesiane o bengalesi, si vedono innumerevoli piccoli negozi di spezie, che vendono tutti la stessa cosa, e i cui ricavi sono a malapena sufficienti per pagare un salario minimo al proprietario”.

Cosa c’è che non va in un’invenzione, la “banca dei poveri” così piena di etica e di buoni propositi? Forse è l’etica slegata da qualunque altro riferimento, che diventa moralismo, la finanza solidale, e si riduce a regole e buoni propositi? Si accettano idee e contributi.

 

Di johnmaynard

Associate professor of economics of financial intermediaries and stock exchange markets in Urbino University, Faculty of Economics
twitter@profBerti

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