Gianfranco Ursino, con un articolo su Plus 24 di ieri, dal titolo “Il no-profit inciampa sull’Aim” mette insieme una discreta mole di semplificazioni giornalistiche e, con rispetto parlando, di distorsioni, riguardo all’etica ed alla finanza, al ruolo della quotazione, ai criteri di valutazione del buon esito delle quotazioni stesse.
“Etica e finanza spesso non riescono ad andare a braccetto. E la quotazione di Vita Società Editoriale non è stata, al momento, un’eccezione. La casa editrice, attiva nel settore dell’informazione e della consulenza sul mondo del «no-profit», è sbarcata all’Aim (Alternative investment market) di Borsa Italiana lo scorso 22 ottobre ed è partita subito con il botto. Dopo aver archiviato brillantemente il collocamento, a un prezzo di 0,94 euro per azione, il titolo ha chiuso il primo giorno di negoziazioni con un balzo del 22,34%, per poi proseguire l’ascesa nei tre giorni successivi fino a quota 1,648 euro (+77,3%). Un rialzo vanificato, nel giro di poche sedute, con una discesa vorticosa su valori prossimi al prezzo di collocamento. Un brusco andirivieni su cui molti investitori hanno lasciato le proverbiali penne, perdendo forse un po’ di fiducia verso gli investimenti cosiddetti «etici». All’Aim possono infatti accedere anche i piccoli risparmiatori che, attratti dai balzi iniziali, acquistano le azioni sul mercato secondario (mentre il collocamento è stato finora riservato agli istituzionali) con il rischio di restare con il classico cerino in mano.”
Fin qui l’attacco dell’articolo di Ursino: che lascia a desiderare sia che l’articolo sia destinato ad esperti, sia che il lettore sia un profano. Cosa significa che il rialzo è stato vanificato? Che qualcuno lo aveva garantito? E, vivaddio, se qualcuno dopo aver guadagnato il 77,3% in pochi giorni non vende, di chi è la colpa? Del mercato? Dei titoli “etici”? Perché i titoli etici devono essere incolpati di normali saliscendi di mercato e, soprattutto, del fatto che coloro che, secondo Ursino, sono rimasti col cerino in mano, facciano troppo spesso merenda a “pane e volpe”? Era così difficile realizzare le prese di beneficio dopo una crescita iniziale così ampia? E ancora, veramente questo episodio dimostra che è colpa del mercato se etica e finanza non vanno d’accordo?
Ursino prosegue con la scoperta dell’acqua calda (ovvero l’underpricing): “Ma la partenza a razzo nei primi giorni di quotazione, con successivo crollo dei prezzi, non è solo una prerogativa della società di area Comunione e Liberazione che opera nel terzo settore. Tutte le 11 società quotate all’Aim, chi più chi meno, dopo un esordio scoppiettante hanno visto precipitare le loro quotazioni. Solo Vrway communication quota attualmente sopra il valore del prezzo di collocamento. E su qualche operazione si è anche acceso il faro della Consob: House Building su tutte. Con la quotazione di Vita, quindi, il segmento di Borsa dedicato alle Pmi, ha perso ancora una volta l’occasione per rendere veramente appetibile il mercato per gli investitori e per le stesse piccole e medie imprese. La prossima società pronta a sbarcare all’Aim è First Capital, investment company indipendente costituita nel 2008 per iniziativa di Gabbrielli & Associati, Alessandro Binello e Strategy Invest Srl, finanziaria della famiglia di imprenditori bresciani Torchiani, soci di Banca Profilo. Vedremo se gli uomini del private equity riusciranno a dare fiducia a un mercato che stenta a decollare, là dove anche il «no-profit» ha fallito.”
In altre parole, anche la quotazione di Vita (che mi sentirei, peraltro, di escludere faccia parte dell’area di C.L.) deve essere ascritta all’incapacità del mercato dedicato alle Pmi di rendersi “appetibile” per i risparmiatori. Che si fa per rimediare? Si fanno salire le quotazioni “il giusto“? Qualcuno fa in modo che i piccoli risparmiatori guadagnino, ma non troppo? Chi decide cosa sia il giusto? Che cosa è appetibile?
Infine, in un mercato, come quello azionario italiano, di qualunque taglia e dimensione, anche tenendo conto della fusione con il LSE e della sua esperienza con l’AIM inglese, il problema, da tempo immemorabile resta quello della scarsità dell’offerta, non della domanda, come Ursino ben sa, per avere certamente letto gli articoli dei suoi colleghi che assimilano le scarsissime IPO alla nascita dei panda allo zoo di Pechino. E, con buona pace di tanta speranza, non lo risolveranno certamente gli uomini del venture capital.