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Strangolatori in Riviera.

Un articolo di Manuel Spadazzi, sul Resto del Carlino, titola che, causa crisi, centinaia di famiglie sono “strangolate” dal mutuo.

Nonostante l’incipit, frutto di un diffuso e non condivisibile sistema giornalistico di porgere la notizia, in realtà l’articolo prosegue -intervistando per la verità solo banche del territorio, ovvero Bcc- illustrando situazioni certamente non entusiasmanti, ma neppure da strozzinaggio.

E’ vero che “il ricorso alla moratoria è  diventato sempre più diffuso. Alla Banca Valmarecchia il provvedimento è stato fin qui richiesto “da oltre un centinaio di clienti, tra famiglie e imprese. La sospensione del mutuo ha riguardato un importo totale di 20 milioni di euro, ma ancora continuiamo ad avere richieste. E cerchiamo di rispondere positivamente a tutti, per aiutare sia le famiglie che le imprese”. Tutte le banche concordano. “Il sostegno, ai privati così come alle aziende riminesi, non è venuto a mancare. Anzi”. Le banche hanno addirittura aumentato, dati alla mano agli impieghi.

Prosegue il servizio annotando che “la situazione del credito alle imprese, com’è emerso anche di recente nell’incontro promosso dalla Provincia, resta molto difficile. Tanto che alcune aziende hanno dovuto addirittura chiudere i battenti, perché impossibilitate a pagare i finanziamenti. «Le banche ci remano contro, dicono di sostenerci ma la realtà è un’altra», attaccava qualche giorno fa il presidente di ConfApi (l’associazione delle piccole e medie imprese) Bruno Bargellini. A rendere le cose ancora più complicate la situazione della Banca Carim. Il commissariamento sta infatti avento ripercussioni pesanti su tutto il sistema economico riminese, anche perché poche banche possono garantire la liquidità di cui dispone Carim.

Non spetta agli accademici insegnare ai giornalisti come fare il loro mestiere, ma è difficile sottrarsi alla sensazione che l’articolo sia stato scritto usando un titolo facile, che tuttavia non è neutrale: scrivere che i mutui strangolano le famiglie impedisce di giudicare un certo modello di consumi, di valutare correttamente la dimensione assurdamente elevata raggiunto dalla bolla immobiliare in Rimini, impedisce qualunque ragionamento diverso dallo slogan “è colpa delle banche”.

Infine, la situazione della Banca Carim non è colpa dei commissari inviati da Bankitalia. Le notizie che arrivano ogni giorno rendono poco credibile il mantra che colloca le colpe a San Marino. E oltre a rendere necessaria qualche riflessione sul come si è fatto credito in tutti questi anni da parte della principale banca del territorio, non fa muovere di un millimetro il dibattito nell’unica direzione in cui dovrebbe andare, ovvero la messa in discussione di un modello che, prima ancora che economico, è sociale e culturale. Un modello che non riesce neppure ad aggregare i capitali necessari ad evitare l’intervento di Banca delle Marche.

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Saremo perciò costretti a testimoniare un’esperienza.

Il Censis centra di nuovo il bersaglio quando identifica la vera urgenza di questo momento storico: «Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare una società troppo appagata e appiattita». Ma chi o che cosa può ridestare il desiderio? È questo il problema culturale della nostra epoca. Con esso sono costretti a misurarsi tutti coloro che hanno qualcosa da dire per uscire dalla crisi:
partiti, associazioni, sindacati, insegnanti. Non basterà più una risposta ideologica, perché di tutti i progetti abbiamo visto il fallimento. Saremo perciò costretti a testimoniare un’esperienza.
Anche la Chiesa, il cui contributo non potrà limitarsi a offrire un riparo assistenziale per le mancanze altrui, dovrà mostrare l’autenticità della sua pretesa di avere qualcosa in più da offrire. Come ha ricordato Benedetto XVI, «il contributo dei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà». Dovrà mostrare che Cristo è così presente da essere in
grado di ridestare la persona − e quindi tutto il suo desiderio − fino al punto di non farla dipendere totalmente dalle congiunture storiche. Come? Attraverso la presenza di persone che documentano un’umanità diversa in tutti i campi della vita sociale: scuola e università, lavoro e imprenditoria, fino alla politica e all’impegno nelle istituzioni. Persone che non si sentono condannate alla delusione e allo sconcerto, ma vivono all’altezza dei loro desideri perché riconoscono presente la risposta.

Comunione e Liberazione, Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo, dicembre 2010

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Università

La spesa per gli stipendi, l’unica rimasta.

(..) Immaginiamo un ateneo che spenda 70 per le retribuzioni dei dipendenti e 30 per tutte le altre funzioni. A causa della crisi, i suoi fondi sono tagliati del 25% e supponiamo che nulla si possa fare per evitarlo o che si preferisca riformare il sistema prima di rifinanziarlo. Alla gravità del taglio si aggiunge, però, il fatto che esso deve interamente concentrarsi sul 30 costituito dalle altre spese, perché le retribuzioni dei dipendenti e il loro numero sono intoccabili. E così l’ateneo si ritrova a spendere solo 5 per tutto quel che deve fare, oltre ai 70 dell’invariato monte salari. In particolare non può, come sembrerebbe logico, distribuire i tagli nel modo più efficiente tra le varie voci di spesa, inclusa quella per i dipendenti.
Che senso ha strangolare l’attività dell’ateneo limitando la sua flessibilità di gestire i tagli, mentre ci sarebbero dipendenti che costano molto e producono poco (un caso purtroppo assai frequente nell’accademia italiana), e quindi sui quali scaricare i tagli avrebbe effetti molto meno deleteri?

L’intoccabilità del monte salari congiunta alla flessibilità obbligata delle altre voci di bilancio è il motivo per cui oggi gran parte degli atenei italiani si ritrovano con oltre il 90% del loro budget bloccato da spese per i dipendenti e sono per questo incapaci di svolgere le loro funzioni. Questo accade anche per gli atenei fino a qualche anno fa ritenuti virtuosi, perché pure per questi, a furia di tagliare solo le altre voci, la spesa per dipendenti è l’unica rimasta.

Ciò di cui gli atenei avrebbero bisogno invece, soprattutto in un momento di contrazione del finanziamento complessivo, è di poter ridurre anche il monte salari licenziando i cattedratici improduttivi e usando le imponenti risorse che loro libererebbero per assumere e promuovere i migliori (ma solo i migliori) giovani ricercatori. Lo scambio tra minore quantità e maggiore qualità, anche se meglio retribuita, potrebbe consentire di contrarre il monte salari con danni meno pesanti per il buon funzionamento degli atenei.

Andrea Ichino, Il Sole 24 Ore, 10 dicembre 2010

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BCE

You pay much more by defaulting than by not defaulting.

“People forget to look at what happens when a country defaults, which is something I have been studying for several decades (..) Financial markets make you pay for the default with higher interest rates. They make you pay for the present value of losses, plus a big premium with the uncertainty linked to that. You pay much more by defaulting than by not defaulting.”

Christian Noyer, Parigi, 11 dicembre 2010.