La rivoluzione proposta da Eric Cantona, consistente in una corsa generalizzata e collettiva agli sportelli bancari, per ritirare la liquidità in danno alle banche, ovviamente avide e ladre, ha sortito miseri e circoscritti effetti. Lo stesso ex-calciatore del Manchester United ha, nella realtà, effettuato qualche piccolo spostamento e/o ritiro di spiccioli. Nessuno discute gli eccessi delle banche, così come nessuno nega che si verifichino sovente abusi ai danni dei risparmiatori. Il problema, una volta ritirati i denari, rimane sempre quello, che farne? Il materasso? Una cassettina, giù in cantina? Oppure seppellirli in giardino? Ammesso che nessuno li rubi, ammesso che siano ben custoditi, la redditività della liquidità è per definizione nulla, non essendoci premio per chi (non) se ne priva. E’ uno sporco lavoro, qualcuno deve pur farlo, alla men peggio lo fanno le banche. Ovvero le banche si possono scegliere, e non sono tutte uguali: ma non se ne può fare a meno.
Giorno: 13 dicembre 2010
Una di queste studentesse – occhi limpidi e lentiggini sparse – avanzava fieramente fra la folla brandendo un cartello con la scritta: “E va bene, vorrà dire che farò la spogliarellista”. Lo slogan, molto più sintetico in inglese, intendeva essere graffiante ma rivela lo spirito intrinseco della sua generazione. Migliaia di sue coetanee sono state inconsapevolmente educate dalla società commerciale britannica ad affollare catene come Primark o Topshop (a seconda del ceto) che si fanno un vanto della dicotomia “ama la moda, odia i prezzi”. Pavlovianamente rispondono a questi principii: tutto dev’essere acquistabile, siano dei jeans fucsia o la laurea in lettere antiche; bisogna pretendere sempre di comprare il meglio; bisogna trovare una maniera di pagarlo il meno possibile; se non si ha denaro per l’acquisto bisogna barcamenarsi a tirarlo su in ogni maniera, facendo lezioni private o la spogliarellista. Bene, andate a dirlo ai pari età italiani, che a Pavia ho visto agitare cartelli con su scritto “Né veline né tronisti”. Costoro rispondevano all’impulso opposto, allineandosi alla seriosa retorica genitoriale del non-si-fa, applicata a ogni risultato che possa essere conseguito non con lacrime sudore e dedizione ma con una strada scintillante di lustrini.
Fondete i cortei italiani e britannici e vedrete che dopo mezz’ora inizieranno a darsele di santa ragione, avendo scoperto che pur rassomigliandosi protestano per ragioni opposte: gli italiani per l’ideale che la cultura non si compri, i britannici perché esigono un forte ribasso. In particolare sarebbe interessante mettere faccia a faccia la studentessa che a Pavia brandiva la scritta “Il futuro non è un marito ricco” con quella che a Londra protestava: “Se non vado all’università non incontrerò mai il mio principe azzurro”.
Antonio Gurrado, Il Foglio 11 dicembre 2010
Questioni monetarie.
(..) In realtà questi episodi, lungi dall’essere frutto di una pianificazione, sono degli atti mancati di squisito freudismo, espressione esasperata delle differenti pulsioni sottostanti alle proteste dei giovani italiani e dei britannici. Per comprendere la distanza incolmabile che intercorre fra loro basta leggere i manifesti che hanno portato in piazza. A Londra, ai teppisti incappucciati che montavano sul tetto dei furgoni della polizia si sono affiancate candidissime liceali in divisa, preoccupate dall’eliminazione del tetto massimo alle tasse universitarie: se iscrivendosi l’anno scorso avrebbero pagato 3.200 sterline annue sia iscrivendosi a Oxford o Cambridge sia consegnandosi nelle spire della più scassata università del Regno, ora per ottenere il meglio dell’accademia inglese dovranno sborsare forse anche il triplo.
Antonio Gurrado, Il Foglio, 11 dicembre 2010