(..) Veniamo da un decennio in cui la finanza l’ ha fatta da padrona, i banchieri d’ affari si sono autonominati maestri dell’ universo e il lavoro è rimasto ai margini. Per avere il plauso degli analisti bastava annunciare il taglio di migliaia di job mentre si dava per scontata l’ avanzata dei robot e la morte del lavoro operaio. Ora sappiamo che molte di queste cose erano sbagliate e possiamo ricominciare a produrre sviluppo partendo proprio dal lavoro. Non sarà una passeggiata. Anche il lavoro si va globalizzando e quindi bisogna fare i conti con i nuovi big del manifatturiero. In questa competizione conteranno l’ italian style e la nostra cultura laburista, ma se qualcuno pensa che un Paese di 60 milioni di abitanti possa campare solo vendendo macchine Ferrari e vestiti Armani ai ricchi arabi e asiatici, se lo tolga dalla testa. Dovremo abituarci a lavorare di più, ad avere una produttività non così bassa rispetto ai partner europei, dovremo rinunciare a qualche week end e happy hour. Così facendo non distruggeremo la nostra civiltà del lavoro, creeremo le condizioni per tramandarla. Perché, sia chiaro, nessuno ci propone di diventare cinesi ma solo di imparare dai tedeschi.
Dario Di Vico, Corriere della Sera, 17 dicembre 2010