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Lavorare pochi, lavorare peggio.

Il presidente Giuseppe Mussari, commentando il Rapporto Abi 2010 sul mercato del lavoro ha affermato che le banche italiane sono “penalizzate dall’alto costo del lavoro“. Le cifre del saldo occupazionale, a livello aggregato -2% circa, sembrano dare ragione al capo dei banchieri italiani, che richiede una “opportuna combinazione di moderazione salariale e acquisizione di nuove flessibilità all’ingresso, nella gestione della prestazione di lavoro e in uscita.” (Il linguaggio delle relazioni industriali, applicato alle banche, si mescola con il bancariese, creando ibridi orrendi).

Una cosa Mussari ha dimenticato di sottolineare o, forse, di domandarsi: come mai nelle banche piccole il saldo occupazionale è pari a zero e nelle minori è addirittura positivo (+0,7%)? Forse esiste un legame fra ciò che ha consentito alle banche più piccole si sopravvivere alla crisi e di fare bene il loro lavoro, aiutando, per quanto possibile, le Pmi e le famiglie, e un costo del lavoro elevato, necessario presupposto della banca di relazione? Risparmiare sul costo del lavoro, per il sistema bancario principale, è la normale premessa di un solo obiettivo strategico di fondo: creare valore per l’azionista con la banca di transazione, quella che prescinde dalle persone. Meno sono, meglio è: ma anche, a quanto pare, meno sono, più lavoreranno.

Di johnmaynard

Associate professor of economics of financial intermediaries and stock exchange markets in Urbino University, Faculty of Economics
twitter@profBerti

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