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Banche PIL Vigilanza bancaria

Patrimoni.

Mentre l’ineffabile Gabriello Mancini, presidente della Fondazione Montepaschi, dichiara di essere pronto a fare la sua parte per contribuire al rimborso dei Tremonti-bond sottoscritti dalla controllata (il dubbio che tale disponibilità sia legata all’insperato ritorno al dividendo della banca dei valori e dell’etica della responsabilità sorge spontaneo), mentre passano in secondo piano i problemi di ricapitalizzazione e, forse, Basilea 3 non fa più paura, in tutto questo quasi nessuno ha colto la dirompente novità dell’apertura, a Milano, di uno sportello di ICBC (Industrial and Commercial Bank of China). Certo, tutti a sottolineare che la capitalizzazione di ICBC vale quanto il PIL italiano e che la banca ha aperto, contemporaneamente, nelle altre principali capitali europee. Certo, la banca si propone di sostenere la presenza delle principali industrie cinesi che esportano in Italia e di promuovere l’interscambio. Tutto vero, tutto giusto.

Ma se ICBC ha un patrimonio come il PIL del nostro Paese, dunque un’operatività infinitamente superiore a quella di qualunque concorrente italiano, che ne sarà di costoro? Condannati, in prospettiva, alla marginalità o alla subalternità: certo, non a scomparire, le autorità garanti della concorrenza vigilano. Ma mentre Gabrielli parla di 1,9 miliardi di Tremonti-bond che potrebbero essere rimborsati anticipatamente, ICBC comunica di avere raggiunto, a fine dicembre, la stratosferica cifra di 3,8 trilioni di yuan di patrimonio gestito (575 bilioni di dollari). Auguri.

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Inter

Elogio della follia.

Pazzini, Pazzini, Eto’o. Inter-Palermo 3-2

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Energia, trasporti e infrastrutture

Pannelli inefficienti (e dirigisti).

Insufficiente adozione di strumenti di mercato

L’impianto generale del decreto prevede una sostanziale riorganizzazione degli strumenti di incentivazione per le fonti rinnovabili, imprimendo una sterzata al percorso originale, quello coerente con le liberalizzazioni e con un utilizzo preferenziale di efficienti meccanismi di mercato. Si nota infatti un orientamento verso meccanismi amministrati che, oltre a non dare garanzie sulla capacità di minimizzare i costi di sistema, risultano pure distonici rispetto alle logiche di fondo da cui muovono tutte le principali direttive e decisioni UE di settore, tutte orientate a rafforzare il ruolo dei mercati regolati e della concorrenza, anche per rafforzare sicurezza, adeguatezza, economicità, qualità ed ecocompatibilità del sistema energetico e dei suoi servizi. È ben vero che il decreto prevede il ricorso ad aste, per la scelta dei progetti da incentivare, ma lo fa con modalità tali da lasciare amplissimi varchi al rischio di inefficienze e, addirittura, di inapplicabilità.

Dal Documento dell’Authority per l’Energia

L’ottimo Newclear, nel frattempo, ci ricorda che il costo per le energie rinnovabili è cresciuto di oltre il 50%.

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Disoccupazione Educazione Lavoro

Le colpe dei padri ricadono sui figli (il cerchio si chiude).

Il problema del precariato dei figli è l’altra faccia della medaglia del posto fisso dei padri. Il sistema occupazionale e di welfare in Italia si basa sul reddito sicuro di un membro della famiglia (il padre) e qualche volta della madre. Questo reddito da posto fisso prima, e pensione poi, genera l’assicurazione sociale per i figli, nel periodo in cui come precari attendono di entrare nel mondo del lavoro.
Il precariato è una specie di balzello che il sistema impone per poter accedere al posto fisso, dato che il posto fisso immediato per tutti era troppo costoso per il sistema stesso. I trasferimenti all’interno della famiglia provvedono a far funzionare questo meccanismo di attesa che permette alle imprese e al settore pubblico di usare lavoro pagato poco per poter poi provvedere ai posti fissi, appunto costosi data la loro rigidità.
Tra l’altro, un precario può aspettare il posto fisso sempre che viva in famiglia, e non si sposti magari dove un lavoro migliore lo troverebbe. Le imprese e lo stato possono quindi contare su un esercito di precari in attesa del posto fisso e mantenuti da chi il posto fisso l’ha. Ecco che il cerchio si chiude.

Alberto Alesina, Il Sole 24 Ore, 28 gennaio 2011

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Banche Imprese

Etica della responsabilità.

Etica della responsabilità
Riferire ogni comportamento all’etica della responsabilità, che impegna ad essere sempre orientati al servizio, all’integrità e alla trasparenza, alla correttezza negli affari, alla salvaguardia dell’ambiente ed al rispetto di tutte le persone.
Orientamento al cliente
Sviluppare l’ascolto e quindi l’attenzione alle relazioni con i clienti, migliorando la qualità dei servizi forniti e la customer satisfaction attraverso una costante attenzione all’efficienza e all’efficacia nei processi di produzione e di erogazione dei servizi stessi.

Monte dei Paschi di Siena, Valori e principi

Il 2009 è stato un anno complicato per la finanza e per l’economia italiana in generale. Un anno in cui il prodotto interno lordo è diminuito del 5%, in cui abbiamo avuto un aumento estremamente significativo della cassa integrazione, del numero dei disoccupati, delle famiglie in difficoltà, delle imprese che non riuscivano a mantenere i fatturati necessari a sostenere il proprio ciclo economico. In questo contesto, non avere smarrito la vocazione tradizionale della nostra Banca, quella di banca vicina al territorio, con un profilo profondamente retail e che mantiene la sua natura a prescindere dalle condizioni del mercato, ci ha consentito di navigare in un mare difficile senza perdere la rotta. Dentro questa navigazione, coscientemente, abbiamo perso forse delle opportunità, ci siamo rifiutati di assumere determinati rischi, siamo rimasti legati ad un concetto di ricavi tradizionali ricorrenti; e tutto questo trova la sua compiuta raffigurazione nel conto economico di fine anno.

Monte dei Paschi di Siena, Bilancio sociale 2009.
Ecco perché scegliere come banca Monte dei Paschi di Siena. Ecco perché, se in un derivato (venduto come assicurazione) il nozionale è il doppio del fido accordato, si tratta sicuramente di un’operazione orientata al servizio, all’integrità, alla trasparenza.


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Borsa Liquidità MIFID Risparmio e investimenti

Inutile dire.

Un articolo di Antonella Olivieri sul Sole 24 Ore on line esamina le conseguenze della Mifid sulla concentrazione degli scambi in Borsa, ormai dirottati su piattaforme alternative e, a quanto affermato da Carmine Di Noia di Assonime, intervistato nell’articolo, con effetti di liquidità poco più che sostitutivi (ciò che si genera in più da una parte si perde dell’altra. Ma, come ricorda Olivieri, “il punto è che buona parte dei volumi – secondo Grob in Europa si tratta del 40% (contro il 60% degli Usa) – è alimentata dall’high frequency trading, cioè dai sistemi automatizzati ad altissima velocità che sfruttano anche minime differenze di prezzo tra le diverse piattaforme, senza alcuna considerazione per i fondamentali della società oggetto di negoziazione. Alla lunga si porrà una questione di significatività dei prezzi. Inutile dire che gli emittenti sono preoccupati dal fenomeno, perchè vorrebbero sapere dove va la liquidità e chi sono i loro azionisti.

Sì, forse è davvero inutile dire: basterebbe rammentare la pressoché totale non-contendibilità delle Società quotate sul mercato italiano, il peso dei patti di sindacato e l’esiguità del flottante di molti Gruppi, per ritenere il timore di Emittenti Titoli abbastanza infondato. Ma poiché di qualcosa si deve pur parlare, parliamo di questo, in attesa di vedere come la vicenda sarà trattata, sotto il profilo dell’efficienza informativa ed allocativa, nel prossimo manuale per addetti ai lavori.

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Borsa Imprese Indebitamento delle imprese PMI

Seduzioni.

Un articolo di Piero Gnudi, Presidente di Emittenti Titoli, si pone il problema di come rendere “attrattiva” la Borsa Italiana per le Pmi. Gnudi sottolinea che “gran parte dei collocamenti fatti sia dai privati che dallo stato, però, non sono stati effettuati per reperire risorse finanziarie per le aziende ma per far cassa per gli azionisti. Una delle eccezioni più importanti è data dall’aumento di capitale dell’Enel di 8 miliardi del 2009 che fu fatto, invece, per finanziare parzialmente l’acquisto di Endesa.
Emittenti titoli ha promosso una ricerca che fornisce un quadro a luci e ombre su costi e qualità dei servizi di listing, trading, post-trading e regolatori in Europa e in particolare in Italia.
Avere allora una struttura di Borsa che sia più efficiente e meno costosa, certamente è un passo importante, ma occorre anche creare le condizioni perché le imprese richiedano la quotazione. Penso sia utile ripristinare agevolazioni fiscali e forse anche ripensare a un’imposta simile alla Dit che prevedeva un onere d’imposta inferiore per le imprese che aumentavano il patrimonio netto“.

Gnudi coglie nel segno quando ricorda che lo scarso peso di Borsa Italiana sul Pil nazionale è una questione che riguarda il lato dell’offerta, non della domanda di titoli. Riguarda, appunto, gli emittenti, della cui associazione non a caso l’autore dell’articolo citato è Presidente. Che si quotano quasi sempre, Italia oppure no, piaccia o no a Gnudi, per fare cassa e non per “crescere, ridurre l’indebitamento, disporre di risorse fresche per fare investimenti etc…” ovvero la ben nota e ormai stanca vulgata accademica in materia. Viene il dubbio che agevolare la quotazione, mediante una fiscalità di vantaggio o proposte simili non si risolva in altro che in nuove quotazioni, destinate a rendere liquidi patrimoni degli azionisti senior. In Italia questo aspetto è accentuato, ma ipotizzare che regole meno rigide e prezzi più economici servano a rendere più etico e capace di rischio e responsabilità il nostro capitalismo è quantomeno velleitario, perché evita la questione culturale del fare impresa. Ovvero, che senso abbia farlo e perché, se è vero che l’azienda non ci appartiene.

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Banche Capitale circolante netto operativo Crisi finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Giulio Tremonti Indebitamento delle imprese PMI

Sane e indebitate.

Isabella Bufacchi, sul Sole 24 Ore on line riporta i dati relativi all’utilizzo del plafond di Cassa Depositi e Prestiti, pari a 8 miliardi.

Questo bacino di liquidità, a condizioni favorevoli rispetto ai tassi di mercato, è stato messo a disposizione delle piccole e medie imprese sane dalla Cassa fin dal settembre del 2009, tramite la rete del sistema bancario. Dopo un avvio lento, la macchina ora va a pieni giri. Dei fondi finora impegnati dalle banche, pari a circa 5,5 miliardi, a fine 2010 ne risultavano erogati per 2,8 miliardi. Entro la fine di febbraio, la quota dei “tiraggi” arriverà a 3,5 miliardi: il target è di chiudere il 2011 con oltre 5 miliardi stanziati, utilizzando l’intero importo impegnato dal sistema creditizio. L’incremento dei prestiti richiesti e concessi alle Pmi sfruttando i tassi favorevoli della Cdp – che vengono aggiornati in tempo reale in base alle condizioni di mercato – è un segnale importante della ripresa economica in atto: non basta infatti mettere la liquidità a disposizione delle banche, sono le imprese che devono presentare piani sostenibilità di sviluppo, di crescita, di investimenti e di internazionalizzazione.”

Dunque, tutto va bene, i segnali di ripresa ci sono, se la domanda di credito cresce, significa che le imprese investono, che ci sono ordinativi, che cresce la domanda. Sorge anche una domanda, di altro tenore: se questo è il plafond per le imprese sane, che accade delle altre? Le tante sleeping beauties che, prima o poi, usciranno dalla sanatoria ma non dalle difficoltà? Che ne sarà di loro?

Senza dimenticare che il fabbisogno finanziario che la crisi ha evidenziato è, soprattutto, fabbisogno finanziario di capitale circolante, legato alle difficoltà nei pagamenti, non è -dunque- fabbisogno per investimenti, non ci si può non domandare che ne sarà delle altre, che sono tante, le cui difficoltà pongono problemi sociali, legati alla disoccupazione, alla CIG, alle probabili perdite su crediti generate nei bilanci bancari. E, infine, senza indulgere al pessimismo, ma semplicemente tenendo a mente le tante situazioni viste negli ultimi tre anni, rimane il dubbio sulla sostenibilità dei piani (piani?) presentati; che come accade per il fotovoltaico, sono sostenibili perché c’è copertura e contributo pubblico.

Sane, forse; indebitate, di sicuro.

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ABI Banche

Il palio dei somari.

Quello vero si corre a Turrita di Siena. Quello bancario si corre a Siena, come ricordato nell’articolo di Alessandro Penati su Repubblica e che riportiamo grazie alla segnalazione del prof.Ripani.

Per la cronaca: sono gli stessi che fanno il “bilancio sociale“, vantandosi di non finanziare quelli che producono i paracadute per l’esercito, ma solo per chi ne fa un uso sportivo.

Il sonno della ragione genera somari.

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ABI Banche di credito cooperativo Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese Moratoria dei debiti PMI Relazioni di clientela

Operazioni lunghe e costose.

Scrive Dario Di Vico, sul Corriere del 18 gennaio, a proposito della possibilità che si proceda -ed a quali condizioni- al prolungamento che “un passaggio qualificante di quest’ ipotetico patto per lo sviluppo è quello di una partnership tra le associazioni di categoria e il sistema bancario per migliorare il rating dei Piccoli, il cosiddetto merito di credito. Per una banca conoscere in profondità lo stato di salute di una piccola azienda è un’ operazione lunga e costosa, se invece questo gap informativo viene colmato da una rapporto costante con le associazioni e i Confidi, le banche possono conoscere di volta in volta meglio le esigenze dei clienti, le particolarità dei territori e nel contempo mettere a punto i prodotti più congeniali. La partnership è propedeutica ad affrontare il tema della crescita dimensionale dei Piccoli (se non ora, quando?), del rafforzamento delle competenze interne alle aziende e dell’ internazionalizzazione.

L’articolo è di grande respiro e tocca, con la consueta (ed insolita, in un giornalista) capacità di approfondimento di Di Vico, molte delle questioni che il rapporto banca-Pmi da sempre sollecita in Italia. Nel contempo, pur consapevoli che il dibattito e le numerose iniziative di conoscenza e di approfondimento che si devono al vice-direttore del Corriere sono assi meritori e degni di ripresa- non si può non nutrire qualche perplessità. Non certamente su internazionalizzazione, creazione di partnership sul territorio, aggregazioni distrettuali e non, spinta verso l’export etc… No, il punto non è questo.

Il punto dolente riguarda, al solito, la spasmodica ricerca, soprattutto, da parte delle imprese, e non solo Pmi, di quelli che Di Vico chiama “strumenti più congeniali“. Ovvero, riprendendo un tema caro a Piccola Industria di Confindustria, troviamo il modo di mettere capitali senza tirare fuori un soldo, oppure facciamoli mettere a qualcun altro, Stato, distretto o Confidi che sia. Il capitalismo italiano, condannato ad essere straccione a qualunque livello dimensionale, sembra girare a vuoto, fra parole d’ordine e petizioni di principio, senza riuscire ad andare al nocciolo dei problemi e, peraltro, confondendo(si) spesso le idee.

Che per le banche sia costoso conoscere le imprese, è ben noto: ma è anche noto che dovrebbe essere il loro mestiere, per il quale sono lautamente pagate, quello di saper pesare e valutare il rischio. Il gap informativo non può venire colmato dal rapporto con Associazioni e Confidi il cui ruolo sindacale e di lobbying li pone in evidente conflitto di interessi con la banca, né quest’ultima può pensare di delegare il proprio lavoro al soggetto, affidato o affidando, e/o ai suoi rappresentanti. Le banche sono alle prese con problemi di margini, difficile pensare che abbiano voglia di fare investimenti, soprattutto se si tratta di investimenti in capitale umano, pur con la lodevole eccezione delle Bcc. Forse sarebbe il caso che le imprese riprendessero in mano l’iniziativa, non appena nel senso della lamentazione, per la quale non hanno bisogno di stimoli, quanto piuttosto in quello della proposizione. Consapevoli che non si può essere capiti se non si è i primi a capire come si sta lavorando, da dove origina il proprio fabbisogno finanziario, perché manchi così spesso la liquidità; e che il problema non è quello della copertura, ma della sostenibilità. Solo allora, potremmo anche immaginare che si possa cominciare a scegliere, fra banche che non sono tutte uguali, quella con cui instaurare un rapporto di partnership. Si può chiedere tanto solo se si offre tanto, mantenendo il tiro alto: e non è appena un questione tecnica, è anche culturale. Non mancano i progetti in questo campo, né difettano le iniziative: ma finché si continuerà a parlare di nuovi strumenti, senza affrontare il nodo del fabbisogno finanziario d’impresa, continueremo a parlare di vestiti senza aver preso le misure al cliente. E senza sapere se potrà pagare l’abito che gli abbiamo cucito addosso.