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Energia, trasporti e infrastrutture

Pannelli inefficienti (e dirigisti).

Insufficiente adozione di strumenti di mercato

L’impianto generale del decreto prevede una sostanziale riorganizzazione degli strumenti di incentivazione per le fonti rinnovabili, imprimendo una sterzata al percorso originale, quello coerente con le liberalizzazioni e con un utilizzo preferenziale di efficienti meccanismi di mercato. Si nota infatti un orientamento verso meccanismi amministrati che, oltre a non dare garanzie sulla capacità di minimizzare i costi di sistema, risultano pure distonici rispetto alle logiche di fondo da cui muovono tutte le principali direttive e decisioni UE di settore, tutte orientate a rafforzare il ruolo dei mercati regolati e della concorrenza, anche per rafforzare sicurezza, adeguatezza, economicità, qualità ed ecocompatibilità del sistema energetico e dei suoi servizi. È ben vero che il decreto prevede il ricorso ad aste, per la scelta dei progetti da incentivare, ma lo fa con modalità tali da lasciare amplissimi varchi al rischio di inefficienze e, addirittura, di inapplicabilità.

Dal Documento dell’Authority per l’Energia

L’ottimo Newclear, nel frattempo, ci ricorda che il costo per le energie rinnovabili è cresciuto di oltre il 50%.

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Disoccupazione Educazione Lavoro

Le colpe dei padri ricadono sui figli (il cerchio si chiude).

Il problema del precariato dei figli è l’altra faccia della medaglia del posto fisso dei padri. Il sistema occupazionale e di welfare in Italia si basa sul reddito sicuro di un membro della famiglia (il padre) e qualche volta della madre. Questo reddito da posto fisso prima, e pensione poi, genera l’assicurazione sociale per i figli, nel periodo in cui come precari attendono di entrare nel mondo del lavoro.
Il precariato è una specie di balzello che il sistema impone per poter accedere al posto fisso, dato che il posto fisso immediato per tutti era troppo costoso per il sistema stesso. I trasferimenti all’interno della famiglia provvedono a far funzionare questo meccanismo di attesa che permette alle imprese e al settore pubblico di usare lavoro pagato poco per poter poi provvedere ai posti fissi, appunto costosi data la loro rigidità.
Tra l’altro, un precario può aspettare il posto fisso sempre che viva in famiglia, e non si sposti magari dove un lavoro migliore lo troverebbe. Le imprese e lo stato possono quindi contare su un esercito di precari in attesa del posto fisso e mantenuti da chi il posto fisso l’ha. Ecco che il cerchio si chiude.

Alberto Alesina, Il Sole 24 Ore, 28 gennaio 2011