La notizia della cessione della Maison Ferré al Paris Group di Dubai sarebbe una non-notizia, ovvero una notizia da rubricare fra quelle che riguardano i cambiamenti degli assetti proprietari nelle imprese, come ne avvengono tante, ogni giorno, in tutte le economie del mondo. Senonché, trattasi di azienda leader del made in Italy, del settore moda, ed ecco sorgere i lamenti e le domande sul perché nessun italiano si sia fatto avanti etc…
C’è una strana attitudine dei giornali e dei giornalisti nei confronti del settore moda, che cattura spesso pagine e pagine di servizi, ampi spazi per le inserzioni ed articoli spesso benevoli o indulgenti. Solo quando lo stilista è in crisi, peggio ancora se si è macchiato di delitti amministrativi o fiscali, come nel caso di Mariella Burani, solo allora il giornalista infierisce; d’altra parte, difficilmente ci saranno nuove inserzioni ed i nuovi proprietari saranno, appunto, nuovi.
Il caso Ferré andrebbe inquadrato nella cultura capitalista -senza offesa per il capitalismo- italiana, quella che prevede che i capitali è bene che ci siano, soprattutto se li mette qualcun altro. E dove crescere a debito è la regola non deve stupire che le crisi, quando arrivano, facciano sconquassi, perché l’organismo aziendale è fragile e debole. Così si finisce a Dubai, dove pure la bolla immobiliare ha fatto molto male, perché evidentemente il concetto di accumulazione primitiva del buon Carlo Marx qualcosa vale ancora. E dove, altrettanto evidentemente, chi ha capitali sa anche quando è il momento di fare affari.