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Pink power.

Pink power.

Dunque il Senato ha approvato la normativa che prevede l’obbligo di riservare il 30% dei posti nei Consigli di Amministrazione delle società quotate alle donne. Reputo queste ultime non solo eccellenti analiste finanziarie, così come mi è capitato di verificare personalmente a più riprese, ma anche investitrici sovente dotate di maggior fiuto per gli investimenti, nonché imprenditrici capaci di ottenere performances significative in tutti i settori (basterebbe pensare, fra le altre, a Marina Berlusconi). Ci sarebbe di che essere contenti, aggiungendo che nel lavoro bancario le donne sono spesso le migliori. La strada scelta dal nostro legislatore, spesso vittima del politically correct, è tuttavia semplicemente sbagliata. Non si fanno passi avanti con le regole, ma con una educazione ed una cultura imprenditoriale e finanziaria in grado di valorizzare il capitale umano, non in base al genere (la madre degli imbecilli è sempre incinta e non fa distinzioni di sesso: è molto egualitaria, sotto questo profilo) ma in base al merito. Confidando, da ultimo, che i sempre solerti giuristi d’impresa non trovino il sistema, una volta entrata a regime la disposizione, di fare delle quote rosa qualcosa di poco più che decorativo.

Di johnmaynard

Associate professor of economics of financial intermediaries and stock exchange markets in Urbino University, Faculty of Economics
twitter@profBerti

Una risposta su “Pink power.”

A mio avviso, una tale imposizione accentua ancor di più la discriminazione di genere. Non credo sia molto gratificante, per le future nuove entranti, sapere di ricoprire una posizione lavorativa di prestigio solamente perchè legalmente raccomandate.
Eventuale conseguenza di tale provvedimento potrebbe essere la mera comparsa, nell’elenco degli amministratori, di gradevoli nomi femminili quali Beatrice, Caterina o Susanna che però, in qualità di mogli e sorelle dei reali detentori del potere decisionale, potrebbero sentirsi ancora più frustrate percependo l’effettiva inconsistenza del proprio contributo intellettuale nella gestione della società.
Voler incastonare in modo forzato figure femminili all’interno dei CDA non mi sembra un buon metodo per far emergere il potenziale delle donne nel mondo del lavoro. Pare piuttosto un atto di solidarietà verso soggetti considerati incapaci.
Sono certa che, attraverso una corretta valutazione, anche i responsabili del reclutamento del personale sapranno attribuirci il giusto merito, pur senza l’intervento del legislatore per ciascuna mansione esistente. “Perchè noi valiamo”- recita lo spot.

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