Valorizzare gli intangibles.
“In attesa di contabilizzare i benefici della cessione degli immobili, Siena pensa anche a possibili mosse su asset come Consum.it («Abbiamo diverse manifestazioni d’interesse che valuteremo con attenzione») e appunto il 4,6% di Bankitalia, sul quale Vigni dice che «è arrivato il momento per affrontare la questione della sua valorizzazione», con la prospettiva di «poterlo anche cedere», se le regole lo consentiranno.”
Così il Sole 24 Ore nel servizio di venerdì sulla comunicazione dei dati di bilancio periodici della Banca senese. Dunque, in attesa di contabilizzare gli effetti degli spin off immobiliari, alla banca di Rocca Salimbeni non resta che invocare la valorizzazione delle partecipazioni nel capitale di Banca d’Italia, partecipazioni notoriamente iscritte nummo uno nei bilanci delle banche azioniste e sterilizzate nei fatti ai fini del controllo sul controllore. Basterebbero queste due considerazioni per fare delle partecipazioni in parola dei veri e propri intangibles, il cui valore è puramente nominale o non emerge affatto. Non esiste mercato per le partecipazioni nel capitale di Banca d’Italia, non esiste un prezzo, non esiste nulla di ciò che invoca Vigni. A tacer del fatto che, escludendo l’ipotesi che Banca d’Italia sia privatizzata, il prezzo di cessione resterebbe a carico del bilancio dello Stato, che non avendo denari non può attuare quanto previsto nella legge di riforma della stessa Banca d’Italia, varata nel 2005.
Dunque la proposta di Vigni sembra poco più che un ballon d’essai, da utilizzare per depotenziare gli effetti del rafforzamento patrimoniale richiesto da Basilea 3, perlomeno in chiave di trattativa. D’altra parte, consentire ad un soggetto vigilato di rafforzare il patrimonio attraverso una plusvalenza meramente contabile, di quasi impossibile realizzo, sarebbe difficilmente accettabile per l’autorità di Vigilanza, doppiamente chiamata in causa nella questione.
E se magari Monte dei Paschi ricominciasse a fare banca seriamente?