Forfait fiscali e nuove marginalità: gli errori da evitare.
Ore 20,27. Nella manovra forfait fiscale del 5% pere le imprese di giovani Nella manovra «prevediamo un forfait fiscale del 5% complessivo riguardo alle imprese fatte dai giovani fino a 35 anni, con una durata di 5 anni». Lo afferma il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi, sottolineando che le misure «riguardano anche le persone escluse dal mondo del lavoro come i cassa integrati».
In attesa di vedere il testo del provvedimento, che a prima vista pare certamente interessante, al fine di evitare di creare nuove marginalità (ovvero imprese che non stanno in piedi, però non pagano tasse, tipo villaggio turistico su lago appenninico di cui alla foto, tanto per intenderci) bisogna augurarsi che tutti i soggetti interessati, giovani aspiranti imprenditori, banche che li finanzieranno (specie se locali), associazioni di categoria e categorie professionali, prima di fare l’impresa che non pagherà tasse, verifichino che ci sia un risultato operativo con il segno più davanti. Perché il 5% di zero è sempre zero, ma i debiti, nel frattempo, crescono lo stesso.
Un’impresa di autotrasporto vista qualche giorno fa nel Norditalia. 2 milioni di euro di fatturato, perdita operativa mediamente di 50mila euro, 800mila euro di debiti verso l’erario, a tacere dei debiti verso banche: inoltre, debiti verso il benzinaio (al quale si dovrebbe chiedere conto di un comportamento così dissennato, tale da dissipare margini irrisori con le dilazioni di pagamento ai clienti), verso il commercialista, forse anche verso il parroco. Eppure, ovviamente, vogliono continuare, vogliono nuovi debiti per coprire i vecchi. E nessuno, proprio nessuno, che si incarichi di mostrare loro che, tolti i debiti, tolte le tasse, arrivato lo zio d’America a pagare tutti i conti, la loro azienda rimarrebbe un buco nero, che fa sparire soldi. Nessuno lo dice. Finché nessuno lo dice, continueremo a lamentarci e non cambierà mai niente: soprattutto, quello che non cambierà è l’idea che il credito sia un diritto civile.
After the ordeal (again about BPM’s shareholders meeting).
Jeno Gyarfas, Ordeal of the bier
L’ineffabile Gianni Credit (il cui nom de plume poteva essere oggetto di qualche sforzo di fantasia supplementare), sul sussidiario.net di oggi parla della vicenda BPM, fra l’altro con queste parole.”La Banca Popolare di Milano presenta – non da oggi – dei profili problematici per la governance interna: ma tanto per cominciare Draghi, in cinque anni, non solo non li ha risolti, ma non li ha neppure affrontati (troppo impegnato al vertice del Financial Stabilty Board). Nel frattempo, la stessa Bpm non è fallita, il ricorso ai Tremonti-bond è stato limitato e in fondo non era indispensabile: centinaia di altre banche, altrove, hanno dato a banchieri centrali, azionisti, dipendenti, clienti, contribuenti problemi infinitamente maggiori (ed erano spesso grandi public company quotate, non cooperative).”
Ora, è noto che JM sia da tempo accanito sostenitore del lavoro del Governatore Draghi. Al netto del tifo e della preferenza, credo sia solo un eccesso polemico quello che porta il buon Gianni C. ad inveire contro Bankitalia, che non ha affrontato né risolto i problemi di governance interna alla BPM. Davvero Gianni C. fa finta di non sapere che la governance interna non può essere decisa dall’alto e che il regolatore può, al più, esercitare la moral suasion, nelle Bcc come nella BPM? E, ancora: se il ricorso ai Tremonti-Bond non era indispensabile, perché Ponzellini & co. lo hanno fatto? E’ così consolante sapere che, poiché altri si sono trovati in problemi maggiori, in finale quelli di BPM sono accettabili? Non è la Vigilanza a doversi occupare del prezzo di Borsa del titolo della Banca Popolare di Milano, ma non si è mai visto il mercato -irrazionale, stupido, euforico, e via aggettivando- bastonare così a lungo una banca: sopruso capitalista contro bontà cooperativa?
Gianni C. difende Fazio e le sue scelte contro quelle di Draghi. Come sempre, il povero Fazio viene assolto in quanto colpevole di essere cattolico (anche il fondatore del blog lo è: non pensa, per questo, di giustificare la propria dabbenaggine quando la stessa, ahimè, viene fuori) e di avere ceduto solo agli assalti della malvagia finanza laica: continuo a pensare che la vera colpa di Fazio sia stata quella della dabbenaggine. A proposito della quale, Gianni C. sostiene che il trascurabile reato di insider trading, commesso dall’ex-Governatore nelle sue telefonate notturne al sodale Fiorani sia, al più, un mezzo non convenzionale.
La conclusione di Gianni C. è giustamente coerente con le sue convinzioni:”Ecco, l’estensore di questa piccola nota, non ha un suo candidato per la successione a Draghi. Ha invece la convinzione che debba essere meno formalmente ideologico e meno sostanzialmente latitante del Governatore uscente. E che della tradizione interna della Banca d’Italia – che resta certamente un “patrimonio del Paese” – recuperi anche quello che il predecessore Fazio (non diversamente da Ciampi, Baffi, Carli, Menichella ed Einaudi) non aveva certo trascurato: l’attenzione per l’Azienda Italia e per le sue banche. Tutte.”
Viene sempre il dubbio che Gianni C.una banca vera l’abbia vista, andando nel back-office e non solo negli ovattati saloni dei consigli. Se l’avesse vista saprebbe che la “latitanza” del Governatore è stata tale che negli ultimi anni la frequenza delle ispezioni si è talmente infittita da essere talvolta infrannuale, a tutti i livelli e le dimensioni. Al punto che qualcuno, prima del Forex di marzo, se ne lamentò, in maniera anonima, definendola asfissiante. Se questa è latitanza.
Cosa fare se il prezzo della casa che hai comperato discende al di sotto del valore del mutuo che hai sottoscritto? A quanto scrive Bloomberg, le idee non sono chiare nemmeno nel sistema capitalistico più avanzato al mondo, quello americano. La storia della richiesta di rinegoziazione del mutuo da parte di Mr.Javier Gonzalez, che racconta che “the bank laughed when I said I wanted a principal reduction” è abbastanza significativa. Il columnist riassume efficacemente il problema quando afferma che “three years after the collapse of the housing bubble, one of the questions weighing on the real estate market is whether and when to write down the value of outstanding mortgages. Millions of houses, including almost a third of California’s mortgaged homes, are worth less than what was borrowed on them, according to CoreLogic, a real estate data company in Santa Ana, California.”
Il problema non sembra molto diverso in Italia, anche se l’atteggiamento delle banche sembra più morbido: ma accanto al write-down, le banche statunitensi hanno già fatto in molti casi anche il write-off, ovvero hanno registrato la perdita e messo le case all’asta. In Italia siamo lontani anni luce dagli Stati Uniti, nel bene e nel male. Il mercato immobiliare è fermo, con le banche ed i proprietari insolventi che si guardano, senza che nulla accada. Nel frattempo, sta per scadere la moratoria: ne faremo un’altra? Quando?
Il comandante della Guardia di Finanza di Bologna, Minervini, parlando qualche giorno fa dei risultati raggiunti dall’arma nella lotta all’evasione, ha affermato che “molte imprese evadono per sopravvivere“. Ora, poiché questa è la solita tuba che viene propinata ad anni alterni dalle associazioni di categoria e da chiunque cerchi di giustificare i pessimi risultati di molte aziende oramai marginali, forse sarebbe il caso di riflettere su un dato molto semplice: che se un’impresa non riesce a pagare le imposte, forse dovrebbe chiudere, così come quando non riesce a pagare i debiti (il seguito alla prossima puntata). Se non si riescono a pagare le imposte e questo serve per sopravvivere -s’intende, non a caviale e champagne, guidando una Bentley e viaggiando in prima classe- significa che c’è un problema prima delle tasse, ed anche prima degli oneri finanziari. Si chiama risultato operativo, e probabilmente non c’è più, o non c’è mai stato. Nel frattempo, quando imprese come queste evadono, il resto dei contribuenti fa un’opera di carità, mantiene posti di lavoro: ottima cosa, ma bisognerebbe dirlo.
Privilegiare le persone rispetto al capitale (End of BPM’s shareholders meeting).
Senza sapere cosa dirà Banca d’Italia, come ha ricordato il presidente Ponzellini, si è conclusa ieri l’assemblea di Banca Popolare di Milano, che ha respinto la proposta di allargamento delle deleghe, come da ampi resoconti di cronaca. Da rimarcare le contorsioni dialettiche del Presidente, il quale ha sostenuto che “non è che cambiando da tre a cinque deleghe l’associzioni Amici della Bpm ha paura di perdere il controllo della banca. Il problema della governance è diverso: dovremo stabilire insieme a loro cosa andrà cambiato. Quello delle deleghe è l’ultimo dei problemi. Il vero problema è qual è il limite per cui si riesce ad essere un’azienda che riesce a stare sul mercato senza perdere i valori e la tradizione di una banca cooperativa. Bisognerà trovare il giusto punto di equilibrio, tra la natura cooperativa e la capacità della banca di rimanere sul mercato quotata in Borsa.
Insieme ad altre perle dell’assemblea, per esempio quelle riguardanti il valore di Borsa, che ricordano tanto il buon Calimero, tutto l’insieme offre una sgradevole impressione, di ricucciana memoria. Privilegiare le persone rispetto al capitale non può portare a risultati talmente inefficienti da porre BPM al disotto dei risultati delle Bcc, che in quanto banche di relazione per eccellenza, da sempre privilegiano solo e soltanto il capitale umano. Le spiegazioni, più che convincere, graffiano i vetri. In ogni caso, a parte quella citata da Ponzellini, la “solita Tuba” non è poi così male.
Secondo una fonte anonima, citata da Bloomberg, sarebbe questa la percentuale di capitale addizionale che le banche più grandi, quelle too big to fail, dovrebbero dimostrare di possedere. Sempre secondo tale fonte, circa 30 banche dovrebbero essere in grado di fare fronte a tali impegni, fra cui le principali 8 degli Stati Uniti. Ed è qui che, complice quanto accaduto finora, sorgono dei dubbi: i dubbi che, alla fine, gli Stati Uniti quelle norme le applichino veramente.
La Bpm «dal punto di vista economico è solida» e in Borsa «paga un prezzo che non è il nostro»: ha detto ancora Ponzellini, parlando agli azionisti. «L’Europa – ha sottolineato Ponzellini – è sotto l’attacco della speculazione internazionale e tutto si riflette sulla Borsa, con il mercato dei titoli che è alle soglie del ridicolo e tutte le società quotate che valgono una porzione compresa tra il 10 e il 20% dei loro asset. In queste condizioni si fatica a fare il nostro lavoro e la gente si scoraggia». In Borsa il titolo è stato particolarmente «colpito» per colpa dei «pettegolezzi sui giornali» ma «dal punto di vista economico la banca è solida». «Giovedì – ha spiegato ancora il presidente ai soci – in Banca d’Italia abbiamo dimostrato che i rischi che per loro c’erano sono inesistenti e che i clienti che per loro sono pericolosi hanno sempre pagato regolarmente. Bankitalia ha continuato con la solita “tuba” perchè di questi tempi ci tengono a fare bella figura, ma ci hanno detto di continuare perchè abbiamo la rete più bella d’Italia: per la prima volta – ha rilevato ancora – ho sentito che dall’altra parte c’è chi ci apprezza».
Temiamo (?) gruppi organizzati (Live from BPM’s shareholders meeting).
Ponzellini, ha invitato i soci a non farsi spaventare dall’aumento delle deleghe di voto in assemblea e di votare sì all’aumento da tre a cinque ma i soci-dipendenti, per bocca del presidente dell’Associazione «Amici della Bpm» che li rappresenta, Alessandro Dall’Asta, ribadiscono il loro no alla proposta sostenuta da Bankitalia. «Sono sicuro che la Bpm non si farà spaventare da cinque deleghe, non è quello il problema, a noi non fa paura nessun tipo di delega» ha detto Ponzellini nel suo intervento introduttivo. «Non temiamo il mercato perchè nessuno ci può conquistare fino a che restiamo una cooperativa». Dopo Ponzellini ha preso la parola Dall’Asta: «Siamo tra coloro – ha spiegato – che temono che attraverso un nuovo aumento delle deleghe possano prevalere in assemblea gruppi organizzati che privilegiano il capitale nei confronti delle persone».
Con questa frase si concludevano immancabilmente le petizioni di principio con le quali il Movimento Studentesco decideva cosa si dovesse fare nel mio liceo. Era un’espressione che serviva a tagliare il dibattito, a circoscrivere il dissenso e a farsi forti della volontà popolare che, immancabilmente, era dalla parte di qualcuno. Domani ci sarà l’assemblea, sovrana anch’essa (o forse no?), di Banca Popolare di Milano, le cui vicende economiche si intrecciano ormai strettamente con quelle giudiziarie. Banca Popolare di Milano è quella banca dove comandano i sindacati, la FABI in particolare, e dove, nel corso degli anni, sono passati alcuni fra i più bei nomi della scienza economico-finanziaria, dal prof.Schlesinger al prof.Cesarini, a Mazzotta, via via fino ad arrivare all’attuale, Massimo Ponzellini, dal carisma non certamente smagliante ma, a quanto pare, tuttora in sella con il placet dei sindacati. Sindacati che, non lo si deve dimenticare, comandano in BPM grazie al fatto di non ampliare il meccanismo delle deleghe (la proposta di portarle a 5 sarà verosimilmente bocciata domani in assemblea), controllando, attraverso l’associazione “Amici della BPM” una quota irrisoria, ma organizzata, del capitale. Nel frattempo mai che a nessuno di costoro sia mai venuto in mente di farsi qualche domanda: per esempio sul perché, nonostante tanti bei nomi transitati nel CdA, la Banca non esprima da anni risultati di bilancio lusinghieri ed il suo prezzo di Borsa sia da lungo tempo depresso; o perché l’ispezione di Banca d’Italia abbia rilevato tante e tali sofferenze da domandarsi cosa facciano gli uffici preposti al controllo ed alla misurazione del rischio di credito; in sostanza sul perché questo modello di governance (che è cooperativo per modo di dire: le Bcc perlopiù funzionano molto meglio di BPM) abbia fallito. Potrei aggiungere altro, sulla base della mia modesta esperienza personale: perché nel sistema di pagamento on-line di BPM si può entrare solo con VISA? Niente Amex, niente Diner’s, niente di niente, solo VISA? Perché ogni volta che sono andato a comprare i biglietti della Champions League nelle filiali dove mi sono recato (una in particolare: recidiva) ho avuto la sensazione che la gente facesse flanella? Posso lamentarmi di questa banca, senza esserne cliente? Certo che posso, sciaguratamente, per aver dato retta a qualcuno, ne sono azionista (per giunta non iscritto a libro soci).