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Green à porter.

Green à porter.

Viaggi in macchina, ascolti Radio 3 ed invece della classica o del jazz viene fuori dall’altoparlante un’intervista a Daniela Guerra. La Guerra ha fatto tre legislature regionali a Bologna nel gruppo dei Verdi e poi è diventata imprenditrice aprendo un negozio a Bologna (nella centralissima galleria Falcone Borsellino, affacciato su piazza Galilei) che si chiama ‘Green à porter’.
La signora Guerra ha dichiarato, in un’intervista al Resto del Carlino di qualche mese fa, che «semplicemente, passo dal dire al fare. Lavoro a questa idea da oltre un anno, da quando ho fondato ‘Impronta leggera’, un’associazione per la promozione dell’ecosostenibilità. In questo campo la scommessa è trasformare le attività da sfizio a lavoro vero; abbiamo promosso gelato, profumi e cosmetici biologici e alla fine anch’io ho deciso di fare un lavoro vero». (..)
«Il risultato sono capi unici e in fondo di alta moda. In questo caso non si può scegliere la taglia, il capo è quello e non viene riprodotto. Si può invece scegliere per gli abiti confezionati con prodotti biologici, cotone, canapa e lino. Compro dagli artigiani e da chi lavora con materiali riciclati: ci sono borse realizzate con cartelloni pubblicitari in pvc, collane fatte con bottoni, abiti vintage ristrutturati. In questo campo chi produce vende in maniera quasi diretta».
I prezzi? «Non sono quelli stracciati dei cinesi. Sono medi: abiti da 80-100-120 euro e borse dai 30 ai 60. E lo stile è molto creativo».

L’intervista radiofonica non mi è piaciuta, c’erano un po’ troppe petizioni di principio e tanto moralismo, imperativi etici ed inviti alla clientela a comprare, in nome, appunto, dell’etica. Insomma, si affacciava il buonismo di prodiana memoria e JM provava diffidenza istintiva. Però…però poi sono andato a farmi un giro sul sito dell’imprenditrice ecologista, che è  http://www.greenaporter.it/ . Segnalo anche http://www.improntaleggera.org/ e http://natura.forpassion.net/2011/05/23/sviluppola-via-emiliana-all%E2%80%99eco-fashion/

Non mi metto a dare giudizi sui vestiti, non ne ho mai comprato uno via internet perché  i vestiti vanno visti e provati: ma la giornalista finanziaria che mi ha dato una mano per questo post sostiene che i vestiti, pur non piacendole, costano il giusto. Ripensandoci, la formula competitiva non è male, anche se sarebbe interessante vedere i conti. A pelle o, se si preferisce, un tanto al kg., eliminerei dal marketing un po’ di moralismo. E, comunque, l’affermazione che “il risultato sono capi unici e in fondo di alta moda. In questo caso non si può scegliere la taglia, il capo è quello e non viene riprodotto” mi fa venire in mente un signore che produceva auto negli Stati Uniti e che diceva che il cliente poteva scegliere il colore che voleva: purché fosse nero.

Di johnmaynard

Associate professor of economics of financial intermediaries and stock exchange markets in Urbino University, Faculty of Economics
twitter@profBerti

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