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Banche Crisi finanziaria Cultura finanziaria Educazione Liquidità Mutui e tassi di interesse Regno Unito

La coscienza bancaria.

La coscienza bancaria.

Simone Giacomelli, Campagna marchigiana, presa di coscienza sulla natura (dalla rete).

Il Corriere della Sera, in un articolo che riprende un servizio del Daily Telegraph, parla di “coscienza bancaria” in riferimento all’attività di alcune banche inglesi che stanno mettendo sull’avviso (o lo faranno presto) i loro clienti riguardo al fatto che è necessario tagliare le spese e pagare i mutui. Il giornalista trova il modo di affermare che “in barba alla privacy dei dati e dei consumi, l’Inghilterra si difende anche così dallo spauracchio della crisi.”

Forse l’articolista non ha mai visto l’operatività dei back-office bancari, non è mai stata nei retro-bottega, quelli dove si fa il lavoro sporco; o forse pensa che le banche che finanziano persone fisiche con i mutui non conoscano vita, morte e e miracoli di costoro. Non è una questione di privacy, è che attraverso la lettura del conto, di addebiti e di accrediti, si conosce praticamente tutto quello che fa il cliente: che avrebbe solo un modo per difendersi dalla curiosità del finanziatore, ovvero usare solo contante.

Il problema, peraltro, non è appena di privacy, ma di educazione e di cultura finanziaria. Più volte mi è capitato di vedere clienti chiedere alla banca di procedere comunque ad addebitare le rate di Sky e di posticipare l’addebito del mutuo, comportamento che non può essere altro che frutto di mancanza di educazione finanziaria e di uno stile di vita e di consumi privo di senso del sacrificio, in cui tutto è dovuto. Le banche non avranno una coscienza, forse: ma se facessero anche in Italia quello che fanno nel Regno Unito non difenderebbero appena le loro ragioni creditizie, ma un modello di consumi e uno stile di vita che talvolta sembra non essersi reso conto della crisi.

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Alessandro Berti Analisi finanziaria e di bilancio Banche Lavorare in banca Lavoro Relazioni di clientela

Persone che leggono (e lavorano).

Persone che leggono (e lavorano).

Una lettera, ricevuta come commento ad un post sulla qualità degli affidamenti, mi ha fatto ritornare al motivo della scelta di ciò che sta scritto sotto il nome del blog, “banche, imprese, persone”. Già ti fa sorridere che qualcuno compri i tuoi libri, se poi qualcuno li regala pensi che sei riuscito ad aiutare qualcuno a lavorare meglio, perché gli hai offerto un metodo e una strada, oltre a qualche strumento. Non togli mai la fatica, quella rimane, ed è personale, di magico ed automatico non c’è nulla: la fatica di capire chi è l’imprenditore che hai davanti, di non ridurlo a suoi numeri senza prescindere dai suoi numeri, la fatica di misurare e gestire il rischio. Ma se, pur non togliendo la fatica, hai contribuito a dare un senso al lavoro, indicando il metodo, hai aiutato qualcuno a crescere ed essere più consapevole, cioè cosciente e responsabile delle scelte che fa: e quando lavori, sei più contento, e ringrazi, non appena perché insegnare è sempre meglio che andare a lavorare in fabbrica, no, ringrazi perché sei dentro il compito bellissimo di educare.

Di trovare interlocutori come colui che ha scritto il commento gli imprenditori avrebbero bisogno come il pane, così come ne avrebbero bisogno le banche, alle prese con la necessità di fare quadrare i conti di sofferenze, margini risicati e costi operativi. Di trovare interlocutori come questa persona dovrebbero avere bisogno i formatori e gli educatori, perché quando insegni e spieghi accade qualcosa solo se ti implichi e ti coinvolgi e se chi hai di fronte, nella sua libertà, lo permette. Grazie per averlo reso possibile con una lettera.

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Crisi finanziaria Giulio Tremonti Silvio Berlusconi

Un attore prestato a noleggio (Cavalieri nella tempesta).

Un attore prestato a noleggio (Cavalieri nella tempesta).

Cavalieri nella tempesta
Cavalieri nella tempesta
Dentro questa casa siamo nati
Dentro questo mondo siamo stati gettati
Come un cane senza un osso
Un attore prestato a noleggio
Cavalieri nella tempesta.

Jim Morrison, Riders on the storm

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Banche Unicredit

Conflitti d’interesse.

Conflitti d’interesse.

Di certo il CONI porrà pure la questione del conflitto di interessi in cui si è andato a ficcare Beretta, dal 14 marzo presidente della Lega di serie A, ma pure addetto alle relazioni esterne di UniCredit. Che, per chi avesse un vuoto di memoria, possiede almeno il 40 per cento delle azioni della Roma all’americana.

Alberto Costa, Il Corriere della Sera, 28 agosto 2011

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Capitalismo Educazione

Ragliare con gli asini e ballare con i lupi.

Ragliare con gli asini e ballare con i lupi.

La modernità consisteva nel rendere completamente immanente e antropocentrica la speranza cristiana. La postmodernità consiste nel proporre false trascendenze, un falso trasumanar, per riprendere il meologismo formato da Dante, e dunque ancora parodie del paradiso. La tecnica non è cattiva in sé, al contrario; fin dall’origine il Dio della Bibbia comanda di dominare la terra e di sottometterla. Ma il tecnicismo interpreta questo dominio non come il compito di accogliere e prolungare il dato naturale di un’azione di grazia, ma come l’orgoglio di sfruttarlo e deformarlo secondo i nostri capricci. Parimenti l’ecologia non è cattiva in sé, al contrario: l’uomo è chiamato, come nei Salmi, a lodare l’Eterno con la creazione tutta intera, dal sasso all’angelo, dalla formica alla Vergine Santa. Ma l’ecologismo interpreta questa lode come una regressione allo stadio animale che consiste nel ragliare con gli asini e ballare con i lupi.

Fabrice Hadjadj, Meeting di Rimini, 25 agosto 2011

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Felicità PIL Rischi welfare

Non siamo padroni del nostro destino.

Non siamo padroni del nostro destino.

L’incertezza ci si presenta così come una sorta di “precariato” dell’esistenza: ma se da un lato noi continuiamo ad aspettarci dalla tecno-scienza un controllo previsionale della natura fisica, e a rivendicare dallo Stato la tutela dei nostri diritti individuali e sociali; dall’altro lato queste aspettative e queste rivendicazioni finiscono forse con il coprire quel livello più radicale e più inquietante che sempre, poco o tanto, l’insicurezza rende evidente, e cioè che non siamo i padroni del nostro destino. Ma allora si pone una domanda: la mancanza di certezza coincide totalmente ed esclusivamente con la nostra incapacità a far fronte agli imprevisti della vita, ai casi della natura e agli accidenti della storia? Se la risposta è sì, allora l’incertezza è solo il riverbero di uno scacco, di una condanna, qualcosa come una maledizione. Ma se guardiamo più attentamente, essa è in grado di attestare anche qualcos’altro, vale a dire il nostro essere-esposti costitutivamente a ciò che accade, che ci raggiunge, ci tocca, e per ciò stesso ci spiazza, ci provoca, ci chiama in causa.
Costantino Esposito, Meeting di Rimini,23 agosto 2011

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Felicità Rischi welfare

Un continuo e incurabile stato d’incertezza.

Un continuo e incurabile stato d’incertezza.

A livello di esperienza individuale, sono cambiate soprattutto le nostre preoccupazioni e le nostre ansie rispetto all’incapacità di far fronte con i nostri mezzi alle minacce dell’imponderabile e del caso: «A farci sentire un’incertezza più orrenda e devastante che in passato sono la novità nella percezione della nostra impotenza e i nuovi sospetti che essa sia incurabile» . Da un lato dunque l’incertezza appare insuperabile; dall’altro lato, però, questo non significa – come ci si aspetterebbe – una rinuncia a trovare assicurazioni per l’esistenza: e da tale contrasto nasce una sempre più diffusa paura.
Così l’organizzazione sociale, che nell’epoca moderna era stata pensata come un argine rispetto all’instabilità e alla conflittualità della natura (pensiamo per esempio a Hobbes), finisce per amplificare e moltiplicare i motivi dell’incertezza. Le soluzioni che finora lo Stato sociale e assistenziale presumeva di poter garantire ai cittadini sono state scaricate sulla capacità dei singoli a trovare risposte individuali a problemi di ordine sociale ; e tuttavia il più delle volte tale capacità appare come una finzione, perché non ci sembra proprio di possedere la conoscenza e la potenza adeguate per far fronte ai pericoli e agli imprevisti della vita. E questo ha come esito «perdita di autostima, vergogna per essere inadeguati di fronte al compito e umiliazione». E quasi a suggello di questa breve storia dell’insicurezza moderna, Bauman conclude: «Tutto ciò concorre all’esperienza di un continuo e incurabile stato di incertezza, cioè l’incapacità di assumere il controllo della propria vita, venendo così condannati a una condizione non diversa da quella del plancton, battuto da onde di origine, ritmo, direzione e intensità sconosciuti».

Costantino Esposito, Meeting di Rimini, 23 agosto 2011

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Crisi finanziaria Felicità Rischi

Contingenza, casualità, ambiguità e irregolarità sono caratteristiche inalienabili di tutto ciò che esiste.

Contingenza, casualità, ambiguità e irregolarità sono caratteristiche inalienabili di tutto ciò che esiste.

(..) Tuttavia, questa strategia di controllo non riuscì vittoriosa come si sperava. Ancora nel XVIII e nel XIX secolo si pensava che la mancanza della vittoria definitiva sull’incertezza dipendesse da una serie di problemi non ancora scientificamente affrontati, ma che, con il progresso della scienza, alla fine essi sarebbero stati risolti. La vera novità, il cambiamento drastico, secondo Bauman, è arrivato invece negli ultimi cinquant’anni (ma io direi anche prima), quando ha cominciato a mutare lo stesso significato attribuito alla “contingenza”, cioè alla nostra condizione di essere finiti, e dunque dipendenti dai casi della natura e dagli eventi della storia. Se in precedenza, infatti, ciò che era puramente casuale, imprevisto o incontrollabile era considerato come un fenomeno marginale di disturbo, a partire dalla seconda metà del XX secolo è come se tutto invece convergesse verso la precarietà: dalla conoscenza del cosmo all’analisi dell’io individuale, dalle strutture elementari della materia alla dinamica delle società complesse, i fenomeni collaterali di disturbo venivano interpretati come «attributi primari della realtà e sua principale spiegazione». Così, «[o]ggi ci stiamo rendendo conto che contingenza, casualità, ambiguità e irregolarità sono caratteristiche inalienabili di tutto ciò che esiste, e pertanto sono irremovibili anche dalla vita sociale e individuale degli esseri umani».

Costantino Esposito, Meeting di Rimini, 23 agosto 2011

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Crisi finanziaria Felicità

L’incertezza come condizione diffusa del nostro tempo.

L’incertezza come condizione diffusa del nostro tempo.

Sembra che la condizione più condivisa dagli uomini del nostro tempo – tanto diffusa da risultare quasi insuperabile, come una condizione ormai “naturale” – sia l’incertezza. E la cosa ha una sua innegabile evidenza, sia come percezione di una fragilità strutturale a livello psicologico, sia come l’esito di un’insicurezza endemica a livello economico, sociale e politico. Ma il fenomeno merita un’attenzione particolare, perché del tutto particolare è la sua posta in gioco, la provocazione che esso ci lancia, e che difficilmente riusciremmo a cogliere in tutta la sua portata limitandoci alle consuete analisi psico-sociali.
Intervenendo ad un Festival di filosofia dedicato l’anno scorso al tema della “fortuna”, il sociologo Zygmunt Bauman osservava acutamente che tutta la cultura moderna era nata con la promessa di sfidare, in una «guerra totale di logoramento» quel «mostro policefalo» che è l’incertezza. A seguito delle guerre di religione che avevano infiammato e sfigurato l’Europa tra il XVI e il XVII secolo, i filosofi avevano concluso che «Dio si era ritirato dalla supervisione diretta e dalla gestione quotidiana della sua creazione», e che quest’ultima, da parte sua, risultava definitivamente «sorda rispetto ai bisogni e ai desideri degli uomini». Occorreva dunque sottoporre il mondo a «una nuova gestione (umana, questa volta) indirizzata a chiudere i conti una volta per tutte con i più terribili demoni dell’incertezza: la contingenza, la casualità, la mancanza di chiarezza, l’ambivalenza, l’indeterminazione e l’imprevedibilità». Questo avrebbe permesso di non far dipendere più la felicità degli uomini dai “colpi di fortuna”, né di attenderla come un dono del cielo, ma di conquistarla come «il prodotto di una programmazione fondata sulla conoscenza scientifica e sulle sue applicazioni tecnologiche».

Costantino Esposito, Meeting di Rimini, 23 agosto 2011

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Crisi finanziaria Ripresa Rischi Sviluppo

Bisogna finalmente liberarsi di approcci angusti e strumentali.

Bisogna finalmente liberarsi di approcci angusti e strumentali.

Le difficoltà sono serie, complesse, per molti aspetti non sono recenti, vengono dall’interno della nostra storia unitaria e anche, più specificamente, repubblicana. Ad esse ci riporta la crisi che stiamo vivendo in questa fase, nella quale si intrecciano questioni che a noi spettava affrontare da tempo e questioni legate a profondi mutamenti e sconvolgimenti del quadro mondiale. Ma se a tutto ciò dobbiamo guardare, anche nel momento in cui ci apprestiamo a discutere in Parlamento nuove misure d’urgenza, bisogna allora finalmente liberarsi da approcci angusti e strumentali.
Possibile che si sia esitato a riconoscere la criticità della nostra situazione e la gravità effettiva delle questioni, perché le forze di maggioranza e di governo sono state dominate dalla preoccupazione di sostenere la validità del proprio operato, anche attraverso semplificazioni propagandistiche e comparazioni consolatorie su scala europea ? Possibile che da parte delle forze di opposizione, ogni criticità della condizione attuale del paese sia stata ricondotta a omissioni e colpe del governo, della sua guida e della coalizione su cui si regge ? Lungo questa strada non si poteva andare e non si è andati molto lontano. Occorre più oggettività nelle analisi, più misura nei giudizi, più apertura e meno insofferenza verso le voci critiche e le opinioni altrui. Anche nell’importante esperienza recente delle parti sociali, giunte ad esprimere una voce comune su temi scottanti, ci sono limiti da superare nel senso di proiettarsi pienamente oltre approcci legati a pur legittimi interessi settoriali. Bisogna portarsi tutti all’altezza dei problemi da sciogliere e delle scelte da operare.
Scelte non di breve termine e corto respiro, ma di medio e lungo periodo. E’ da vent’anni che è, sempre di più, rallentata la crescita della nostra economia ; è da vent’anni che si è invertita la tendenza al miglioramento di alcuni fondamentali indicatori sociali ; è da vent’anni che al di là di temporanee riduzioni del rapporto tra deficit e prodotto lordo, non siamo riusciti ad avviare un deciso abbattimento del nostro debito pubblico. La crescita è rallentata fino a ristagnare, la competitività della nostra economia, in un mondo globalizzato e radicalmente trasformato nei suoi equilibri, ha particolarmente sofferto del calo o ristagno della produttività.

Giorgio Napolitano, Intervento al Meeting di Rimini, 21 agosto 2011