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Un continuo e incurabile stato d’incertezza.

Un continuo e incurabile stato d’incertezza.

A livello di esperienza individuale, sono cambiate soprattutto le nostre preoccupazioni e le nostre ansie rispetto all’incapacità di far fronte con i nostri mezzi alle minacce dell’imponderabile e del caso: «A farci sentire un’incertezza più orrenda e devastante che in passato sono la novità nella percezione della nostra impotenza e i nuovi sospetti che essa sia incurabile» . Da un lato dunque l’incertezza appare insuperabile; dall’altro lato, però, questo non significa – come ci si aspetterebbe – una rinuncia a trovare assicurazioni per l’esistenza: e da tale contrasto nasce una sempre più diffusa paura.
Così l’organizzazione sociale, che nell’epoca moderna era stata pensata come un argine rispetto all’instabilità e alla conflittualità della natura (pensiamo per esempio a Hobbes), finisce per amplificare e moltiplicare i motivi dell’incertezza. Le soluzioni che finora lo Stato sociale e assistenziale presumeva di poter garantire ai cittadini sono state scaricate sulla capacità dei singoli a trovare risposte individuali a problemi di ordine sociale ; e tuttavia il più delle volte tale capacità appare come una finzione, perché non ci sembra proprio di possedere la conoscenza e la potenza adeguate per far fronte ai pericoli e agli imprevisti della vita. E questo ha come esito «perdita di autostima, vergogna per essere inadeguati di fronte al compito e umiliazione». E quasi a suggello di questa breve storia dell’insicurezza moderna, Bauman conclude: «Tutto ciò concorre all’esperienza di un continuo e incurabile stato di incertezza, cioè l’incapacità di assumere il controllo della propria vita, venendo così condannati a una condizione non diversa da quella del plancton, battuto da onde di origine, ritmo, direzione e intensità sconosciuti».

Costantino Esposito, Meeting di Rimini, 23 agosto 2011

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Contingenza, casualità, ambiguità e irregolarità sono caratteristiche inalienabili di tutto ciò che esiste.

Contingenza, casualità, ambiguità e irregolarità sono caratteristiche inalienabili di tutto ciò che esiste.

(..) Tuttavia, questa strategia di controllo non riuscì vittoriosa come si sperava. Ancora nel XVIII e nel XIX secolo si pensava che la mancanza della vittoria definitiva sull’incertezza dipendesse da una serie di problemi non ancora scientificamente affrontati, ma che, con il progresso della scienza, alla fine essi sarebbero stati risolti. La vera novità, il cambiamento drastico, secondo Bauman, è arrivato invece negli ultimi cinquant’anni (ma io direi anche prima), quando ha cominciato a mutare lo stesso significato attribuito alla “contingenza”, cioè alla nostra condizione di essere finiti, e dunque dipendenti dai casi della natura e dagli eventi della storia. Se in precedenza, infatti, ciò che era puramente casuale, imprevisto o incontrollabile era considerato come un fenomeno marginale di disturbo, a partire dalla seconda metà del XX secolo è come se tutto invece convergesse verso la precarietà: dalla conoscenza del cosmo all’analisi dell’io individuale, dalle strutture elementari della materia alla dinamica delle società complesse, i fenomeni collaterali di disturbo venivano interpretati come «attributi primari della realtà e sua principale spiegazione». Così, «[o]ggi ci stiamo rendendo conto che contingenza, casualità, ambiguità e irregolarità sono caratteristiche inalienabili di tutto ciò che esiste, e pertanto sono irremovibili anche dalla vita sociale e individuale degli esseri umani».

Costantino Esposito, Meeting di Rimini, 23 agosto 2011

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L’incertezza come condizione diffusa del nostro tempo.

L’incertezza come condizione diffusa del nostro tempo.

Sembra che la condizione più condivisa dagli uomini del nostro tempo – tanto diffusa da risultare quasi insuperabile, come una condizione ormai “naturale” – sia l’incertezza. E la cosa ha una sua innegabile evidenza, sia come percezione di una fragilità strutturale a livello psicologico, sia come l’esito di un’insicurezza endemica a livello economico, sociale e politico. Ma il fenomeno merita un’attenzione particolare, perché del tutto particolare è la sua posta in gioco, la provocazione che esso ci lancia, e che difficilmente riusciremmo a cogliere in tutta la sua portata limitandoci alle consuete analisi psico-sociali.
Intervenendo ad un Festival di filosofia dedicato l’anno scorso al tema della “fortuna”, il sociologo Zygmunt Bauman osservava acutamente che tutta la cultura moderna era nata con la promessa di sfidare, in una «guerra totale di logoramento» quel «mostro policefalo» che è l’incertezza. A seguito delle guerre di religione che avevano infiammato e sfigurato l’Europa tra il XVI e il XVII secolo, i filosofi avevano concluso che «Dio si era ritirato dalla supervisione diretta e dalla gestione quotidiana della sua creazione», e che quest’ultima, da parte sua, risultava definitivamente «sorda rispetto ai bisogni e ai desideri degli uomini». Occorreva dunque sottoporre il mondo a «una nuova gestione (umana, questa volta) indirizzata a chiudere i conti una volta per tutte con i più terribili demoni dell’incertezza: la contingenza, la casualità, la mancanza di chiarezza, l’ambivalenza, l’indeterminazione e l’imprevedibilità». Questo avrebbe permesso di non far dipendere più la felicità degli uomini dai “colpi di fortuna”, né di attenderla come un dono del cielo, ma di conquistarla come «il prodotto di una programmazione fondata sulla conoscenza scientifica e sulle sue applicazioni tecnologiche».

Costantino Esposito, Meeting di Rimini, 23 agosto 2011