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Vi serve, vi serve.

Vi serve, vi serve.

Matteo Arpe

Da Finanza e Mercati de Il Sole 24 Ore del 3 settembre 2011

Arpe in BPM? Non ci serve.

«Matteo Arpe? È benvenuto nel capitale di Banca Popolare di Milano, come chiunque altro decida di investire della banca. Ma non abbiamo bisogno di manager in questo momento, anche se lui è anche un bravissimo manager, tra l’altro non credo che sia interessato». Il presidente della Bpm Massimo Ponzellini frena sull’ipotesi dell’arrivo di Arpe – ex banchiere di Mediobanca e Capitalia, ora a capo del private equity Sator – in Piazza Meda. Che Arpe sia interessato al dossier Bpm è noto ormai da oltre sei mesi, fin da quando si era fatto avanti con Ponzellini proponendo il fondo Sator come capofila di una cordata di investitori e imprenditori pronta a rilevare una quota di rilievo dell’istituto. Ovviamente, dato il curriculum manageriale di successo al vertice di Capitalia e il riscontro avuto dagli investitori, si dà per scontato che l’eventuale investimento della cordata Arpe si baserebbe sul presupposto di un suo diretto coinvolgimento come capoazienda di Bpm, poco conta se nel ruolo di presidente o di amministratore delegato (carica attualmente non prevista in Piazza Meda e che richiederebbe, dunque, una modifica statutaria).

Servirebbe molto a BPM, delle cui vicende assembleari JM si è già occupato, un manager come Matteo Arpe: d’altra parte Banca Popolare di Milano, in questo momento, probabilmente potrebbe essere gestita meglio anche da un soviet. Il problema non è se serva o no uno come Arpe, servirebbe come il pane ad un affamato: il problema, per BPM, è che Arpe non entrerà mai in un banca dalla governance non chiara, in mano a sindacati ribelli anche a Banca d’Italia, senza poter contare in consiglio dopo aver messo denari a titolo di capitale (altra cosa che a BPM) serve molto. Non è che non serva, è che non è stupido.

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BCE Crisi finanziaria Disoccupazione Economisti Giulio Tremonti Silvio Berlusconi

La mia droga si chiama BCE.

La mia droga si chiama BCE.

Qualche lettore e qualche amico mi ha chiesto: “Perché non parli di più della crisi? Che cosa ne pensi?”. Sono restìo, mi sembra che si rischi di fare a gara a chi fa la migliore orazione funebre. Ma io non sono Brando che interpreta Marco Antonio nel Giulio Cesare di Shakespeare: e penso che questa non sia una tragedia, ma una farsa, perché gli interpreti non sono rispettabili, non più.

Francesco Giavazzi sul Corriere di oggi, con un titolo certamente forte, ci rende edotti circa l’essere diventati morfinomani. La droga ci viene fornita dalla Bce, che compera i nostri titoli di Stato, impendendo che lo spread sui Bund tedeschi si allarghi ulteriormente. Dopo che Alberto Alesina aveva ricordato qualche settimana fa, che la nave è senza capitano, o meglio, che il capitano è incapace, ora è il turno di un altro economista di grande valore, certamente, non accusabile di partigianeria per le prese di posizione equilibrate degli ultimi anni, nell’elencare puntigliosamente tutto ciò che, in maniera assolutamente bipartisan, non è stato fatto. Niente interventi sulle pensioni, niente riduzioni dei costi della politica, niente salto dei ponti per le festività laiche non più soppresse, niente più imposte in aumento, per non grondare lacrime e sangue: lotta all’evasione e un po’ di galera, per qualcuno che non ci andrà. Nel frattempo, Il Sole 24 Ore rende noto che i tempi di accertamento dei reati tributari si sono dilatati, grazie alla manovra, fino a 15 anni. Niente male, per essere un governo che non avrebbe messo le mani nelle tasche degli italiani. Ha ragione Julián Carrón quando dice che non dobbiamo aspettarci nulla dalla politica, lo ha ripetuto Scholz al Meeting di Rimini, subito dopo aver ascoltato Tremonti che divagava di battaglie e di sconfitte. Proprio per questo non resta che la responsabilità personale di fronte alla realtà, ponendo continuamente noi stessi di fronte alle difficoltà: che si affrontano solo se sappiamo costruire guardando al positivo, come due sere fa, a Predappio. Di tutto il resto sono, sinceramente, stanco.

in inglese, è ancora meglio

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Analisi finanziaria e di bilancio Borsa Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese

Bicchieri mezzi pieni.

Bicchieri mezzi pieni.

Il supplemento del sabato del Sole 24 Ore, Plus 24, nella consueta rubrica “Chi sale” e “Chi scende” inserisce rispettivamente il gruppo della moda Aeffe spa e Landi Renzo (manifattura meccanica), con il seguente trafiletto: “Aeffe, nonostante la volatilità delle borse, prosegue a beneficiare del buon trend del mercato del lusso: il titolo sale da un anno (+171,6%) e anche nell’ultima settimana (+25,7%). Prosegue l’effetto della semestrale della società guidata da Massimo Ferretti: +16,6% del fatturato a 119,97 milioni di euro e +292% della marginalità lorda a 4,4 milioni.

Settimana borsistica difficile per la Landi Renzo guidato da Stefano Landi: -8,4% e -54,6% in un anno. Sconta un fatturato nei primi sei mesi sceso del 25,8% a 127,7 milioni di euro, un’ebitda in calo del 66,7%, a 10,9 milioni. I conti chiudono con una perdita di 2,4 milioni, contro l’utile di 18,5 milioni di un anno prima. Citigroup ha abbassato il giudizio a sell da hold.

Non è un servizio, d’accordo, non c’è un affronto serio a partire dai dati di bilancio dei fondamentali aziendali. Ma c’è il consueto malvezzo giornalistico di presentare dati mescolati fra loro, peraltro, come nel caso di Ferretti, omettendone alcuni. Per esempio, che la società è anch’essa in perdita operativa, anche se meno di un anno fa: e che tale risultato migliorativo non si riflette sul risultato netto di gruppo (negativo quasi come un anno fa) causa oneri finanziari crescenti, dovuti ad indebitamento crescente (+16 mln.di € circa in 18 mesi, fino ad arrivare ad un indebitamento netto pari all’84,42% del fatturato). D’accordo, il MOL è tornato positivo e, ammesso che il risultato della semestrale si proietti sul bilancio di fine anno negli stessi termini e che i debiti non aumentino, il rapporto MOL/debiti finanziari sarà pari a 9, non proprio un gran segnale di solvibilità. Che la Borsa abbia premiato Aeffe ci può stare, la narrazione che il mercato azionario ci presenta non è credibile: ma che Aeffe, come tutte le griffes grande inserzionista di ogni tipo di giornale, sia presentata, sul più grande quotidiano economico italiano, come un gruppo che sprizza salute da tutti i pori non è il modo di fare giornalismo che ci aspetteremmo.