Categorie
Alessandro Berti Crisi finanziaria Educazione

Crisi e destino: raccontare il positivo.

Crisi e destino: raccontare il positivo.

MoMA, New York, copyright TroisiemeOeil

Qualcuno mi ha chiesto gli appunti di ciò che ho detto la sera di venerdì scorso, durante l’incontro su Crisi e destino. In realtà si tratta di appunti che, pur preparati come discorso organico, ho usato per rispondere ad alcune domande. Gli appunti sono alla sezione documenti del blog. Quello che, invece, mi piacerebbe riportare qua, sono tre cose positive, tre storie che costruiscono, nella generale narrazione negativa, qualcosa di positivo: che è possibile per chiunque.

(..) nei disordini di Londra e Birmingham, ci sono state certamente lamentele verso la polizia, ma ci sono stati soprattutto uomini e donne che, con le famose ramazze in mano, si sono messi a ripulire le strade, hanno difeso luoghi di lavoro e di culto, si sono dati da fare.

Io credo che l’esempio inglese sia l’esempio di come, se non possiamo aspettarci nulla dalla politica né dalla politica economica, tuttavia la crisi ci rimetta di fronte alla nostra responsabilità personale. Che è quella anzitutto di sapere di cosa si stia parlando, quali siano i numeri in gioco, quale siano i termini della realtà secondo la totalità dei suoi fattori: e poi di continuare solo e soltanto a costruire, in tutti i posti dove siamo, partendo da un positivo. Saper quello di cui stiamo parlando vuol dire, anche, tenere conto, se si fa gli imprenditori, dei numeri, di cosa fa stare in piedi un’impresa. Di interrogarsi sui licenziamenti e sulla flessibilità, sulla solitudine di chi fa impresa. Perché le tante storie di questo periodo dimostrano che è possibile.

Vicino a Padova esiste una manifattura tessile, come tutte le manifatture di questo tipo esposta ai venti della localizzazione, oltre che a quelli dell’estremo oriente. Il titolare ha inseguito risparmi di costo, andando dapprima in Cina, poi in India, infine in Romania. Ovunque trovava risparmi di costo, non la qualità: ha deciso che voleva fare un bel prodotto, e voleva farlo bene, ha cominciato a farlo quasi solo in Italia, pur lasciando qualcosa di marginale in Romania. Così è accaduto che non solo ha aumentato il fatturato, ma che ha dovuto rinunciare alla CIG, che aveva appena concordato con i sindacati.

A Paceco (provincia di Trapani) esiste una Banca di credito cooperativo assai minuscola, 5 sportelli in tutto. Mi invitano a parlare ad una loro convention, e mi raccontano di quello che hanno fatto, con i loro clienti della filiera agro-alimentare. A Houston, in Texas, si tiene la Fiera del Fancy Food, importantissima per il settore: la Banca paga lo stand ai suoi clienti interessati, i suoi clienti si pagano il viaggio ed il soggiorno e le altre spese extra-fieristiche. Questi vanno, quasi tutti, e succede quello che non immaginavi, ovvero rapporti, relazioni con le camere di commercio USA, richieste di cibo kosher (la banca organizza un convegno sul cibo kosher), sviluppo, esportazioni etc…certo poteva non accadere nulla. Non era garantito che accadesse, però qualcuno ha avuto la fantasia di fare qualcosa di realmente sussidiario (la banca non può vendere al mio posto, né fare prodotti buoni se io non sono capace, ma fare da levatrice all’impresa) e qualcuno ha avuto la fantasia di starci e di rischiare.

Infine, a Reggio Emilia incontriamo, alla Scuola d’Impresa, una vedova, che viene alla SDI portata dal suo concorrente, che la “invita” caldamente a venire a lezione: il suo concorrente è colui al quale il marito della signora, in punto di morte, ha detto di rivolgersi per farsi aiutare. La signora faceva l’estetista, non l’imprenditrice: l’impresa, a seguito della morte del titolare, sarebbe probabilmente morta anch’essa. Invece lei si fida e va a chiedere (mossa personale di grande libertà) ad un concorrente di farsi aiutare. Poteva vendere, due giorni dopo il funerale gli avvoltoi giravano in azienda, invece domanda: domanda aiuto, un criterio, non soldi. Quell’altro signore, con altra mossa personale di grande libertà, decide di andare ad aiutarla. E’ rimasto un suo concorrente, ma su alcuni “pezzi” lavorano insieme: e lui l’ha fatta venire alla Scuola d’Impresa.

Rimini, 28 ottobre 2011

Categorie
Alessandro Berti Banche Unicredit

Fondazioni e banche (ovvero del perché su Carim non ci si può chiamare fuori).

Fondazioni e banche (ovvero del perché su Carim non ci si può chiamare fuori).

Incontro su Crisi e destino, due sere fa, qui a Rimini. Di quanto detto nell’incontro si darà conto a parte, avevo preparato un intervento, ma le cose sono state proposte in termine di risposte a domande: e probabilmente la gente si è annoiata di meno (chi è venuto ritroverà solo in parte quello che ho detto).

Anyway, prima dell’incontro, vengo avvicinato da un amico della Fondazione Carim, che sostiene “l’ingiusto ed ingeneroso giudizio” sulla Fondazione stessa, come emerso dall’intervista alla Voce di Rimini. In sostanza, i geniali amministratori ed i dirigenti che hanno condotto al commissariamento non sono frutto dell’attuale maggioranza che governa in Fondazione, ma di quella preesistente. La nuova non c’entra. E’ difficile poter condividere un simile ragionamento, che oltretutto fa torto all’intelligenza dei cosiddetti “nuovi”: ai quali evidentemente stava bene la scelta degli uomini fatta dalla precedente espressione dell’azionista di maggioranza e che nulla hanno fatto per modificare anche in minima parte gli indirizzi assunti. Profumo, che pure aveva dato (nel senso letterale della parola: aveva erogato robusti dividendi) è stato defenestrato, non ci sarebbe stato nulla di male se fosse accaduto qualcosa di simile anche a Rimini. In tempi non lontanissimi, nella vicina Ancona, l’azionista di maggioranza Popolare di Bergamo revocò l’intero CdA, evidentemente un po’ troppo autoreferenziale, si poteva fare lo stesso anche qua.

La sensazione è che la Fondazione abbia pensato alla Banca come ad una sorta di bancomat, di erogatore sempre carico, di macchina bancaria perfettamente funzionante, nel solco del comportamento delle altre fondazioni italiane maggiori, quelle che governano in Unicredit, per esempio. Senza preoccuparsi, però, di come nascessero i dividendi, di cosa ci fosse dietro al margine di intermediazione, quale fosse, in definitiva, la “formula di intermediazione” di una banca troppo grande per essere autenticamente locale e troppo piccola per fregiarsi del titolo di banca regionale o di gruppo bancario. La grandezza non è, infatti, solo nella dimensione, ma nel modo con cui la si raggiunge, nella qualità del lavoro svolto. E se parliamo di una banca locale, nel saper tenere fede alle origini, quelle che la Banca sembra aver smarrito: e, con essa, anche la Fondazione.

Categorie
Calcio Imprese Inter Massimo Moratti

Mancanza di investimenti ed obsolescenza degli impianti conducono alla rovina aziendale (Inter-Juventus 1-2).

Mancanza di investimenti ed obsolescenza degli impianti conducono alla rovina aziendale (Inter-Juventus 1-2).

Non ci sarebbe molto da dire, nè da citare, se non questo pezzo, strepitoso, di interistiorg.org (http://interistiorg.wordpress.com/2011/10/28/ventisette-sono-troppi/)

Motta infortunato: davvero a volte si è pedine dell’imponderabile. Poli che riesce a essere ancora meno utile di quando contribuì a una retrocessione. Nagatomo, dal Giappone al Cesena, fino alla grande platea: con questo curriculum raramente non nascono fenomeni. Un trentottenne titolare fisso in uno sport professionistico di movimento. L’uruguaiano in fiore che ha giocato contro lo Strømsgodset ma non se ne è accorto nessuno e quindi non è schierabile in Champions. Tanto è infortunato, come tutti, compreso il portiere, che tre anni fa è uscito indenne da uno schianto in curva su una Lamborghini ma da due si stira guardando xFactor. Zarate preso in corsa per via di un’emergenza in attacco di cui non si era accorto nemmeno Zarate. Stankovic più fragile di un bicchiere façon de Venise. I sudamericani col daiquiri in mano mentre in Cina si giocava la Supercoppa. Paolillo che in italiano sa solo dire “Sono illazioni”, per il resto parla in cinese perché è convinto che il grande futuro dell’Inter sia in quel mercato. Gasperini che non è riuscito manco a farsi esonerare in ottobre; no, a settembre; che allora per avere gli stessi risultati identici potevano metterci l’orsetto Knut che almeno potevamo rovesciarlo sulla schiena e fargli i grattagrattatopolone.

Categorie
Alessandro Berti Crisi finanziaria

Crisi e destino. Ragioni, numeri e scenari della crisi economica.

Crisi e destino. Ragioni, numeri e scenari della crisi economica.

Ugo Bertone, giornalista
Alessandro Berti, professore Università di Urbino
28 ottobre, ore 21,15, Centro Tarkovskij, Rimini

crisi_e_destino

Categorie
Alessandro Berti Banche Crisi finanziaria Disoccupazione Imprese PMI Sviluppo

Intervista a JM.

Intervista a JM.

1) L’attuale crisi economico-finanziaria globale e nazionale, rende evidenti una mancanza di capacità di azione da parte di politica e istituzioni ma anche una mancanza culturale che riguarda tutti, a partire dal cittadino della strada. Mancanza di senso del sacrificio ecc. Qual e’ il suo giudizio su questo?

Ritengo che proprio le recenti manifestazioni dei cosiddetti “indignados” mostrino tutto il limite di una posizione personale (e collettiva) incentrata solo sul lamento e sulla pretesa: lamento circa i colpevoli, pretesa che altri risolvano, ma sempre al di fuori di un coinvolgimento e di una responsabilità personali. Gli ultimi anni raccontano in effetti proprio la mancanza di senso del sacrificio, per esempio nel campo dell’impresa come in quello del risparmio: è significativo che le imprese, concertando con il sindacato, abbiano svuotato di significato la manovra governativa sulla flessibilità, mancando ad un’assunzione di responsabilità che solo Marchionne ha mostrato di saper portare; così come fa riflettere che in tema di risparmio siamo tuttora fermi da un lato alla protezione de-responsabilizzante delle direttive europee, dall’altro alla detenzione pura e semplice di liquidità. In effetti, come lei ha affermato, il problema è culturale, ovvero di posizione personale.

2) Guardando al quadro locale riminese e romagnolo, c’e’ qualcosa che dovrebbero fare secondo lei gli enti locali, le organizzazioni di categoria ecc. per la ripresa dello sviluppo, oppure siamo dentro un vortice in cui non possiamo decidere niente?

Non parlerei di vortice, rischiamo di ricadere nel giudizio di cui sopra, ovvero che nulla dipende da noi e che non si può fare altro, in finale, che lamentarsi. Il problema della ripresa e dello sviluppo, ormai a questo punto è abbastanza chiaro, non è un problema finanziario (le difficoltà finanziarie sono una conseguenza di difficoltà che nascono prima), ma di voglia di rischiare, di intraprendere, di non lasciarsi risucchiare nel pessimismo: purtroppo, come accaduto anche all’inizio della crisi, fra il 2007 ed il 2008, molte imprese hanno chiuso per evitare il “passaggio” della crisi. Passaggio impegnativo, perché richiede a chi fa impresa di ripensare alla propria formula competitiva, a come stare sul mercato, alla qualità e, soprattutto, agli investimenti. In Romagna, e in particolare nel Riminese, la bolla immobiliare esemplifica, purtroppo con grande chiarezza, l’idea di investimenti che ha dominato molti imprenditori: compriamo un capannone, costruiamo un condominio, tanto gli immobili si rivalutano sempre. Il guaio è che molte banche li hanno assecondati, le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

3) Come giudica la crisi che ha interessato la Carim? Quali sono secondo lei le cause che hanno portato al commissariamento e obbligano alla ricapitalizzazione? Il problema-Cis, gli impieghi sbilanciati al 60% sull’edilizia, gli affidamenti sbagliati (come il caso-Merloni), la gestione troppo dipendente dalla politica, o cos’altro?

Ho seguito la crisi della Carim per l’ovvio interesse che la vicenda riveste per un addetto ai lavori ma senza coinvolgimento diretto. Giudico la crisi doppiamente grave, sia perché si tratta della principale banca del nostro territorio, sia perché per dimensioni, storia e tradizione è un interlocutore insostituibile per il tessuto sociale e produttivo. Quanto alle cause, mi sentirei di escludere, in tutta franchezza, il problema-Cis: le dimensioni della controllata sanmarinese erano e solo tali da non poter provocare da sole le perdite poi verificatesi nel bilancio di Piazza Ferrari, a tacer del fatto che per lungo tempo gli organi amministrativi dell’una hanno di fatto coinciso con quelli dell’altra. Mi pare piuttosto che la gestione abbia mostrato i limiti strategici e culturali di una visione assai miope dell’intermediazione bancaria, protesa all’assunzione di rischi eccessivi, in funzione di una dimensione forse troppo ampia per le stesse ambizioni del management che l’ha perseguita: d’altra parte lo sviluppo del territorio non passa dall’assecondare la rendita immobiliare e la Carim in questo, purtroppo, non è stata sola, in Romagna e fuori. Gli affidamenti sbagliati sono solo la conseguenza di una politica tesa allo sviluppo dimensionale fine a se stesso e dell’approssimazione di dirigenti che, di fatto, riferivano solo a sé stessi. Sotto questo profilo non parlerei di ingerenze politiche, ma di vera e propria carenza di indirizzo e di strategia, anzitutto da parte dell’azionista di maggioranza, le cui scelte, anzitutto a livello di Consiglio di Amministrazione, hanno mostrato i limiti che sono sotto gli occhi di tutti.

4) Quanto al futuro, sembra che si stiano scontrando due impostazioni, quella favorita da Bankitalia che mette al primo posto la solidità bancaria, e quella del sistema-Rimini che privilegia l’autonomia territoriale: lei da che parte sta?

Non faccio il tifo per nessuno, ammesso che sia in corso una partita e che ci sia da sostenere una compagine. Credo piuttosto che il senso di responsabilità, oltre che una lunga e consolidata tradizione di studi in materia di stabilità finanziaria, indichino nella tutela del risparmio il riferimento ultimo dell’azione del regolatore e del vigilatore. In tal senso Bankitalia, attenta in questo periodo soprattutto al rischio micro-sistemico, non può che privilegiare la solidità della banca, anche se questa dovesse essere assicurata da etichette “straniere” nell’azionariato. Il sistema-Rimini, del resto, che non è esente da colpe nella crisi della principale banca del territorio, avrebbe il buon diritto di rivendicare l’autonomia territoriale della Carim solo se fosse in grado di catalizzare risorse finanziarie adeguate per la ricapitalizzazione. Da ultimo, mi lasci dire che se le risorse finanziarie sono fondamentali, altrettanta importanza la rivestono la qualità del management e le strategie per il territorio: fattori, questi ultimi, che certamente sono mancati nella storia recente della Banca.

Intervista di Paolo Facciotto, La Voce di Rimini, 27 ottobre 2011

Categorie
Calcio

Man.UTD – Man.City 1-6 (A brighter day).

Man.UTD – Man.City 1-6 (A brighter day).

da http://www.dailymail.co.uk/sport

Some night say, we will find a brighter day.

Striscione esposto nella curva del Manchester City

Categorie
Economisti Imprese Indebitamento delle imprese Inter Keynes Massimo Moratti

La regola della finanza sana (?).

La regola della finanza sana (?).
(..) Per le squadre italiane la situazione è perfino peggiore, perché non essendo proprietarie degli stadi in cui giocano (l’unica eccezione è la Juventus, che peraltro per costruirselo ha appena denunciato un buco di quasi 100 milioni di euro) debbono pure pagarne i costi. In questo modo, la traduzione calcistica della regola della «finanza sana» rischia di indurre un avvitamento del nostro calcio verso il basso: minori possibilità di spesa implicheranno la rinuncia all’ingaggio di tecnici e giocatori che possano garantire risultati prestigiosi; il conseguente impoverimento del livello tecnico delle squadre determinerà la disaffezione dei tifosi e la diminuzione delle loro spese per abbonamenti e merchandising, e tutto ciò retroagirà negativamente sui bilanci delle squadre, inducendone ulteriori revisioni al ribasso. La prospettiva è di ritrovarci a vivere un campionato popolato di squadre come il Chievo o il Genoa: spese contenute e bilanci in ordine, ma tasso tecnico assai modesto e, in prospettiva, «zeru tituli».
Il declino dell’Inter nei quindici mesi successivi alla vittoria in Champions League illustra al meglio questa tendenza, affatto analoga a quella che Keynes pronosticava per le società industriali avanzate che fossero cadute preda della sindrome del bilancio in pareggio. Realizzata la storica tripletta nel maggio dell’anno scorso, la dirigenza nerazzurra non solo ha impiegato gli introiti delle vittorie al solo fine di abbattere l’indebitamento, ma per di più ha perseguito una strategia di dismissioni (Balotelli ed Eto’o su tutti) e mancati acquisti che ne ha oggettivamente impoverito la rosa. In aggiunta, non ha proceduto nemmeno a quelli che tecnicamente sarebbero dei semplici ammortamenti: basti pensare alla mediana di centrocampo, che da sei anni vede come protagonisti Zanetti, Cambiasso e Stankovic.
In un quadro del genere, è troppo facile accusare dell’avvio disastroso dei nerazzurri l’allenatore Gian Piero Gasperini. Al netto dei numerosi errori di quest’ultimo, è chiaro che è la rosa a soffrire di un deficit che è prima di tutto atletico: parliamo infatti di una squadra che conta ben 13 ultratrentenni sui 23 possibili titolari e che – come si è visto anche nell’ultima trasferta a Catania – soffre di vistosi cali di intensità nei secondi tempi, dove abbiamo registrato 4 delle 6 sconfitte riportate nelle 9 gare ufficiali finora disputate (e ben 15 dei 18 gol subiti). E a conferma di quanto avesse ragione Keynes ad ammonire che un ministro dell’Economia che avesse voluto ripianare il deficit tagliando le spese si sarebbe trovato a inseguire la sua stessa coda («la società si impoverirà fino a ridurre a zero il risparmio», scrisse nella Teoria generale), possiamo ricordare i due conti che ha fatto recentemente Rudi Ghedini: dato che l’Inter non sembra al momento in grado di andare oltre i 65-70 punti in campionato e difficilmente potrà arrivare in fondo nel suo cammino in Coppa, rischia di essere completamente bruciato, a causa dei mancati introiti futuri, il «risparmio» ottenuto dalla cessione di Eto’o.

Luigi Cavallaro, 18.10.2011 Il Manifesto

Categorie
Alessandro Berti Università

Tre 110 e lode ed un 107.

Tre 110 e lode ed un 107.

In bocca al lupo ad Anna, Giorgia, Michel e Giovanni, bravi neo laureati, soprattutto belle persone. Grazie ad ognuno di loro per qualcosa che non è appena stima e che non finisce con un voto. A presto!

Categorie
Crisi finanziaria Economisti USA

Cassandre.

Cassandre.

Bloomberg fa sapere che la Cassandra Roubini ritiene che sia una missione impossibile quella di un atterraggio morbido per l’economia cinese, la cui crescita perde sempre maggiore slancio ed i cui problemi si manifestano con sempre maggiore evidenza. Dato il curriculum di Roubini, c’è di che cercare cornetti ed altri talismani: la Cina si era candidata, qualche giorno fa, a sottoscrivere il debito Europeo per sostenere l’euro, un atterraggio problematico si ripercuoterebbe su tutti i principali debitori mondiali, USA in testa. Forse cesserebbe, forse, il dumping dei prodotti cinesi all’estero: ma se i consumi non riprendono, anche questa è una magra consolazione.

Categorie
Educazione Lavoro

La cultura degli alibi (o dell’indignarsi).

La cultura degli alibi (o dell’indignarsi).