Municipal lending.
Le cronache che si occupano, purtroppo, di Dexia, riportano che si tratta di una banca attiva nel municipal lending. L’attività sembrerebbe meno rischiosa di quanto in realtà sia, dal momento che Dexia è già stata salvata nel 2008 e, a quanto pare, lo sarà nuovamente in nottata, prima della riapertura delle Borse, previo accordo fra il Governo Francese e quello del Belgio (singolare coincidenza: si ritrovano un governo dopo mesi di mancato accordo fra fiamminghi e valloni, si vara il nuovo governo e si salva subito, con grane annesse, una banca). Alcune banche tedesche con competenza territoriale nei Laender, del resto, nonostante la garanzia statale e la distorsione che essa comporta, sono state messe sotto tiro nel recente round di stress test. Pubblico è bello, come urlano le anime belle degli indignati, ma la verità è che il pubblico non solo ha finito i soldi, ma ha anche commesso stupidaggini, in proprio o per interposta persona.
Dexia aveva, ed ha tuttora al suo attivo un elevato quantitativo di titoli di stati sovrani quali Grecia, Spagna, Portogallo, Italia, oltre ad un imprecisato ammontare di titoli tossici risalenti al primo default, quello del 2008. Non si conoscono esattamente i contorni del salvataggio, i cui oneri devono essere ripartiti fra Francia e Belgio ed andranno ad influenzare il rating dei rispettivi debiti sovrani. In compenso di parla di bad bank, ovvero di un contenitore finanziario di asset tossici e di dubbia esigibilità, la cui gestione, lontana dagli occhi, rimarrà tuttavia assai vicina al cuore, lato portafoglio, dei paesi che ne sostengono l’attività. Sarebbe interessante sapere perché Dexia sia ricaduta nell’errore, ma non è questo il luogo per un tale approfondimento; in compenso il caro vecchio sistema di raccogliere il rusco e portarlo in un’altra stanza, oppure nei cassonetti o nelle discariche altrui, ovvero la bad bank, funziona sempre.