Fondazioni e banche (ovvero del perché su Carim non ci si può chiamare fuori).
Incontro su Crisi e destino, due sere fa, qui a Rimini. Di quanto detto nell’incontro si darà conto a parte, avevo preparato un intervento, ma le cose sono state proposte in termine di risposte a domande: e probabilmente la gente si è annoiata di meno (chi è venuto ritroverà solo in parte quello che ho detto).
Anyway, prima dell’incontro, vengo avvicinato da un amico della Fondazione Carim, che sostiene “l’ingiusto ed ingeneroso giudizio” sulla Fondazione stessa, come emerso dall’intervista alla Voce di Rimini. In sostanza, i geniali amministratori ed i dirigenti che hanno condotto al commissariamento non sono frutto dell’attuale maggioranza che governa in Fondazione, ma di quella preesistente. La nuova non c’entra. E’ difficile poter condividere un simile ragionamento, che oltretutto fa torto all’intelligenza dei cosiddetti “nuovi”: ai quali evidentemente stava bene la scelta degli uomini fatta dalla precedente espressione dell’azionista di maggioranza e che nulla hanno fatto per modificare anche in minima parte gli indirizzi assunti. Profumo, che pure aveva dato (nel senso letterale della parola: aveva erogato robusti dividendi) è stato defenestrato, non ci sarebbe stato nulla di male se fosse accaduto qualcosa di simile anche a Rimini. In tempi non lontanissimi, nella vicina Ancona, l’azionista di maggioranza Popolare di Bergamo revocò l’intero CdA, evidentemente un po’ troppo autoreferenziale, si poteva fare lo stesso anche qua.
La sensazione è che la Fondazione abbia pensato alla Banca come ad una sorta di bancomat, di erogatore sempre carico, di macchina bancaria perfettamente funzionante, nel solco del comportamento delle altre fondazioni italiane maggiori, quelle che governano in Unicredit, per esempio. Senza preoccuparsi, però, di come nascessero i dividendi, di cosa ci fosse dietro al margine di intermediazione, quale fosse, in definitiva, la “formula di intermediazione” di una banca troppo grande per essere autenticamente locale e troppo piccola per fregiarsi del titolo di banca regionale o di gruppo bancario. La grandezza non è, infatti, solo nella dimensione, ma nel modo con cui la si raggiunge, nella qualità del lavoro svolto. E se parliamo di una banca locale, nel saper tenere fede alle origini, quelle che la Banca sembra aver smarrito: e, con essa, anche la Fondazione.