Diritti acquisiti, risorse non acquisite.
(…) Un ragionamento analogo viene applicato, su ben più vasta scala, ai trattamenti pensionistici: sino ai primi anni ’90 era concesso ai dipendenti pubblici femmine di andare in pensione con quattordici anni, sei mesi e un giorno di contributi e ai maschi con diciannove anni, sei mesi e un giorno. Il riscatto della laurea e il periodo del servizio militare rientravano a pieno titolo nel computo di tali requisiti. Questi casi estremi sono stati superati dalle riforme senza peraltro chiedere, sempre per la ragione dei diritti acquisiti, nessun sacrificio ai già beneficiati; sono rimaste inoltre le pensioni di anzianità che è ragionevole sussistano per chi fa lavori pesanti ma non certo per chi lavora ad una scrivania.
Siamo sicuri che tutti questi diritti acquisiti siano davvero intoccabili? Si tratta di diritti acquisiti che richiedono risorse che tuttavia non sono state per nulla acquisite. A chi dobbiamo sottrarle allora per pagare questi diritti? E i possessori delle risorse espropriande non dovrebbero avere anch’essi acquisito il diritto di non vedersele sottrarre dal legislatore corrente per pagare gli onerosi diritti che i legislatori passati hanno allegramente elargito a destra, a manca e soprattutto (come direbbe Crozza) ad minchiam? Il contribuente attuale, che ha iniziato a lavorare quando la pressione fiscale era al 25, 30 o 35% non ha dunque acquisito il diritto di non vedersi espropriare i frutti del suo lavoro al fine di distribuire ad altri benefici che egli non potrà tuttavia avere quando si ritroverà in identiche condizioni?