La nostra specialità? La liquidità.
Maximilian Cellino, in un articolo sul Sole 24 Ore di ieri intitolato Credit crunch. La ricetta del Club Ambrosetti: separare retail da investment bank a livello europeo riporta la lapidaria ricetta della grande maison italiana di consulenza: «Più liquidità senza modello universale». Nel servizio si afferma che “secondo il rapporto la riforma potrebbe far risparmiare agli istituti italiani 33 miliardi in aumenti di capitale.”
Il rapporto riprende l’idea, fatta propria anche dall’ABI, che non ha mai voluto intendere le ragioni dlel’EBA, che poiché i rischi sono maggiori nell’attività finanziaria e di trading, sarebbe ingiusto penalizzare le banche italiane che, al contrario, sono da sempre orientate all’attività bancaria tradizionale. I nuovi requisiti patrimoniali, applicati indiscriminatamente, sarebbero pensati per banche anglosassoni, non per le nostre: dunque, meglio evitarne l’applicazione, mettendo in soffitta il modello della banca universale e ritornando a quello della banca specializzata.
Ora, a prescindere dalle discussioni sull’efficienza allocativa di un sistema finanziario che, orientato alle banche, adotta il modello della banca universale anzichè di quella specializzata, è quantomeno discutibile che in Italia, stante il TUB del 1993, il modello applicato ed utilizzato sia effettivamente quello della banca universale. Quest’ultima, in effetti, sembra più una cornice legislativa, all’interno della quale il quadro disegnato dai protagonisti del sistema bancario italiano ricalca tuttora forme e colori della banca specializzata. Se così non fosse non si spiegherebbero le fatiche così grandi e così drammaticamente manifeste nei bilanci di quelle banche, le Bcc, che: a)-erano le più capitalizzate di tutto il sistema; b)-hanno fatto sempre e solo il mestiere di raccogliere il risparmio presso le famiglie ed affidare le Pmi.
Il problema del capitale è un problema vero, molto sentito da tutti i grandi azionisti delle banche maggiori, che intravvedono un futuro gramo fatto di nessun dividendo e di portafoglio sanguinante. Ma è agitato impropriamente come spauracchio per le imprese, e dunque per la politica e per le autorità di Vigilanza, perchè sarebbe la via per l’ineluttabile credit crunch. Il contributo presentato a Cernobbio, dove oggi arriverà Caronte-Profumo, sotto questo profilo non si discosta di molto dalla pubblicistica pro-ABI degli ultimi mesi.
Di una cosa va però dato atto al rapporto, ed è di rimettere al centro della questione la capacità delle banche di saper valutare il merito di credito: argomento di cui nessuno, a cominciare dal noto avvocato calabrese presidente dell’ABI, ha mai parlato, quasi che le sofferenze e la bolla immobiliare fossero il frutto di sfortunate coincidenze e non di un’ormai evidente incapacità di valutazione e gestione del rischio di credito, resa più acuta dalla crisi. Da ultimo, e non è poco, si parla anche di imprese, finalmente smettendo di blandirle, ma richiamandole alle loro responsabilità. Queste ultime «si devono comportare in modo diverso nei confronti delle banche, offrendo maggiore trasparenza e riducendo la commistione fra patrimonio dell’imprenditore e azienda».
Manca solo un’annotazione, a margine del rapporto: ringraziare Mario Draghi e quello che sotto di lui sta facendo la Bce. Perché con buona pace della signora Merkel (che non gradisce) e di tutti i premi Nobel del PdL, (che strepitano chiedendosi dove sono finiti i soldi della Bce), le richieste di rientro e le sofferenze del sistema sarebbero ben più elevate. Con vere, gravissime conseguenze sulla liquidità.
2 risposte su “La nostra specialità? La liquidità.”
Mi piacerebbe far notare che il credito dato alle imprese edili,!ha significato anche la (s)vendita di terreni in zone comode per la costruzione e che, che strana la pedologia, risultano essere anche le pi fertili. Gli ortaggi che ci fanno sentire più sani e più belli quando acquistati nei banchi otofrutta dei centri comm.li o addirittura bell’e pronti in una busta di plastica da scongelare trova(va)no i loro terreni ideali nei fertili fondovalle, ad oggi espropriati per una funzione molto più elevata a livello economico e sociale: la zona industriale-commerciale comunale. Quale miliore grande opera di un capannone da lasciare semivuoto e senza lavoratori? Quale miglior vanto per ciascun comune di avere una zona ind.le tutta propria? E che importa se poi costruiamo in zona esondazione, tanto anche l’amm.ne dirimpettaia l’ha fatto da tanti anni…non è mai successo nulla; così, grazie ai soldi dl
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[continua]della concessione e ai vincoli imposti, s’è anche risolto il problema della viabilità. E la verdura? La verdura si prende da un’altra parte: 3 volte il VAN aiutano a comperare un terreno in collina ben esposto. E se poi parlando con la banca l’imprenditore agricolo capisce che c’è una coltivazione nuova che interessa anche la banca stessa, quale scelta può essere più saggia del fotovoltaico?
Anche questo è LAND GRABBING. #nonsoloafrica
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