Marziani a Milano (credit crunch percepito).
Grazie all’ottimo Carlo Alberto Carnevale Maffè e con il contributo fattivo di Fabio Bolognini (e l’intenso appoggio morale del sottoscritto) è stata organizzato nella giornata di ieri, a Milano, un incontro di discussione sul tema del credit crunch e del problematico rapporto banca-impresa. Poiché gli interlocutori, riuniti solo l’egida dell’associazione The Ruling Companies, erano di assoluto spessore (fra gli altri, Davide Croff, Franco Keller e il direttore di Confindustria Bergamo, Venturini), le riflessioni che ne ho tratto sono tanto più rilevanti perché provengono da osservatori qualificati, personaggi del mondo dell’imprenditoria e della finanza attenti alla realtà, leader non banali nel loro settore.
La prima riflessione marziana che emerge dal pomeriggio di ieri riguarda quelle che Akerlof e Shiller chiamano “narrazioni“, ovvero il modo di rappresentare la realtà che qualcuno utilizza. Le narrazioni sono personali, ad evidenza, pretendere che siano oggettive è negare il valore dell’esperienza di chi le condivide: ma ascoltare, per esempio, che “ormai quasi tutte le imprese adottano processi di programmazione e pianificazione economica e finanziaria” mi ha fatto domandare se vivere nella metropoli sia così distorsivo della realtà. La programmazione finanziaria, come emergeva da una ricerca che il sottoscritto, il prof.Comana ed altri colleghi dell’Università di Bergamo e non solo presentammo nel 2004, proprio a Confindustria Bergamo, veniva adottata, anche in quel caso lì (non proprio una zona sottosviluppata e periferica) da n.2 (due: two; deux; zwei; dos) imprese sul totale del nostro campione, di cui non poche quotate. Che riferimento alla realtà è quello che è stato offerto ieri? Come hanno fatto certe imprese ad inguaiarsi se non per mancanza di programmazione economico finanziaria? Di cosa stiamo parlando?
Seconda riflessione marziana. Mentre si afferma che le banche hanno smarrito la capacità di analizzare e valutare il merito di credito (sacrosanto), incolpandone la delega ai computer per la valutazione del rischio (qualcuno di quelli che hanno creato valore in quel modo c’era ieri? se c’era, si vergognava? o si è dimenticato? Croff, presidente di due banche brillantissime?), si sostiene, con impunità degna di miglior causa, che in questo modo non emergono gli intangibles, così decisivi nella valutazione delle imprese. Ancora gli intangibles? Un disco rotto, che nemmeno la creazione di valore si porta più, eppure qualcuno ci prova. Domanda corrosiva di JM fatta via twitter, e non amplificata perché corrosiva: ma se gli intangibles sono così importanti, chi càspita ha comprato tutti i tangibles che intasano il mercato immobiliare, quello delle garanzie e la liquidità bancaria?
Terza riflessione marziana. In palese spregio al principio di non contraddizione, il dir.gen. di Confindustria Bergamo afferma che: a)-se si reca nelle valli e lungo i litorali (come la nebbia) a parlare con gli associati, non può parlare loro di finanza e di fabbisogno finanziario, perché non ne capiscono nulla; b)-che alla faccia di tutto ciò, fra i 4 punti principali che la sua associazione enfatizzerà, vi è, oltre alla globalizzazione, ai tempi accelerati, all’internazionalizzazione, la responsabilità sociale dell’impresa. La responsabilità sociale dell’impresa: detto dal dir.gen.dell’associazione territoriale che ha espresso il neo-presidente di Confindustria, non fa bene sperare per la soluzione dei problemi del rapporto banca-impresa. Probabilmente, come ha affermato uno dei relatori, esiste il credit crunch ed il credit crunch “percepito”: a Bergamo non percepiscono (scommettono sulle partite di calcio?).
Quarta riflessione. Uno dei principali cattivi pagatori quotati alla borsa italiana, che afferma di avere tempi lunghi ma di essere sempre regolare (regolare nel tirare il collo ai fornitori, per esempio contestando regolarmente l’ultima tranche di pagamenti) se ne viene fuori affermando che la crisi di liquidità del circolante è causata dall’inasprimento dei requisiti patrimoniali imposta dalla BCE e dalle regole di Basilea 3, quelle che entreranno in vigore nel 2019. Any suggestion is welcome.
Infine. In un soprassalto di crudo realismo, quello che ho notato essere talvolta chiamato cinismo o “essere corrosivi”, qualcuno ha detto che
- i margini delle imprese di sono compressi e che non è più conveniente investire per gli imprenditori nelle imprese;
- per risolvere le crisi ci vogliono i soldi.
E che i soldi sono finiti. Bene. Se è così, qualcuno è in grado di spiegare perché ai salvataggi dovrebbero pensare solo le banche? Con i soldi dei risparmiatori?