Ancora tu (la finanza innovativa per le Pmi).
Un articolo dell’ottimo Fabio Pavesi sul Sole 24Ore on line di ieri riporta le stanche considerazioni del Centro Studi Confindustria su come (sperabilmente) uscire dalla stretta creditizia. JM forse è incattivito dalla crisi e dalle circostanze -e la cattiveria induce talvolta al cinismo- ma leggere che la finanza innovativa, i mini-bond, i bond di distretto e le cartolarizzazioni (sic) potrebbero essere, secondo Confindustria, una soluzione al credit crunch non offre nemmeno il brivido di una promessa elettorale allusiva ed affascinante, ma che non può essere mantenuta. Leggere che secondo il Csc nuovi finanziamenti «vanno trovati aprendo canali alternativi a quello bancario, da tempo individuati ma mai diventati realmente efficaci» e «bisogna superare i tradizionali limiti di accesso delle aziende italiane ai mercati»; che maggiori risorse «devono venire dal capitale proprio delle imprese. Ciò richiede il rilancio di vari strumenti. La crisi ha frenato in Italia lo sviluppo del mercato del private equity, importante per le PMI che non accedono alla Borsa. Anche l’espansione degli strumenti ibridi di capitale, come il mezzanine finance, va rilanciata»; ecco, leggere tutto questo è deprimente. Deprimente come l’avvertire la vacuità di parole d’ordine che Confindustria ripete stancamente da anni, pensando che il problema siano gli strumenti e non, per esempio, la mancanza di trasparenza delle Pmi, la loro modestissima -quando non assente- propensione al to go to market, la chiusura al capitale esterno, tranne che per il debito. Il private equity è invocato ritualmente, come la manna da cielo; ma mentre la manna era per tutti, il private equity è per pochi e in Italia si fa solo per operazioni che non riguardano la fase iniziale del ciclo vitale dell’impresa. Ciò di cui il Csc, al solito, non parla è ciò che è più faticoso, ovvero rilanciare il rapporto banca-impresa, coinvolgere entrambi i protagonisti della relazione di clientela in un rapporto trasparente e fiduciario, provando a condividere giudizi, culture, tecniche e, vivaddio, anche strumenti. Anche: perché non c’è mercato dei capitali che tenga per chi non voglia attingervi con coscienza e responsabilità.
7 risposte su “Ancora tu (la finanza innovativa per le Pmi).”
Mi ritorni in mente (la crescita e lo sviluppo)
Approvo, il problema non sono gli strumenti finanziari, le PMI devono cambiare pelle e affrontare un mondo e un mercato geneticamente modificati per sempre…..ma le banche no?…
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A quanto pare Battisti e Mogol hanno detto parole sante anche in economia. Le banche devono cambiare, certamente: ma è inutile prendersi le misure gli uni con gli altri, pensare che la trasparenza debba essere a senso unico e che gli altri sbaglino sempre. Messa la vicenda in questi termini non si cambierà mai. Se le imprese cominciassero a capire che è in gioco il loro stesso futuro e che la questione è, anzitutto, economica e non finanziaria, avremmo già fatto qualche passo avanti. Quanto alle banche credo che molte di esse si stiano ancora leccando le ferite: ci vorrà del tempo, ma nessuno può cambiare al tuo posto. Devi farlo tu.
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I confidi sono gli attori da valorizzare per potenziare la relationship lending
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I Confidi sono attori da valorizzare: ma non si può dimenticare che lavorano in prevalenza con denari pubblici, ovvero che tutto va a finire sempre lì. A caricare lo Stato di qualche onere: possibile, a patto che lo si sgravi di qualcos’altro. Any suggestion?
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Spending review: bisogna eliminare tutti quei confidi (troppi) che agiscono ancora con logica politico-clientelare, che garantiscono soltanto il suicidio assistito, di solito quindi alle imprese meno meritevoli, a solo vantaggio delle banche e a svantaggio del contribuente. Rafforzare invece i confidi che fanno da “imprenditore di sostegno” per un tempo determinato e in vista di obiettivi prefissati, alle imprese meritevoli. Si può fare? Qualcuno in Europa ci riesce, io una bella vacanza-studio la farei….
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Le banche per logica operativa devono o meglio “dovrebbero” sempre lavorare a favore di quella clientela che di espone a 360 gradi, e quindi meritevole: le ferite come dice JM. se le lecca anche quella banca che ha fatto i fidi politici, che siano convenzionati o meno, poco importa, senza logica, passando sottobanco i bilanci, evitando il dialogo tra banca-impresa. E il prof Berti lo sa eccome quanto sia decisivo il confronto con la controparte. Le banche hanno le loro colpe e responsabilità, di sicuro, ma resta sempre il non parlando che deriva dal non fidarsi e qui e’ in gioco la tua stessa esistenza. Non facciamoci del male!
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[…] sono una soluzione a breve termine. Anche qualche altro la pensa nello stesso modo (vedi l’articolo sul blog John Maynard) E intanto cosa succede nel rapporto tra banche e imprese? Gli spunti raccolti sul campo nei primi […]
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