Default è quando Banca Centrale Europea dice (La misurazione del rischio di credito 3: quello che le imprese neppure lontanamente immaginano).
Riassunto delle puntate precedenti: come si misura il rischio di credito? E cosa comporta tale misurazione nei comportamenti e nei rapporti bancari?
Dopo gli incagli oggettivi, le sofferenze oggettive: ovvero se ci sono criteri per rendere meno opinabile la constatazione dello stato di difficoltà temporanea, devono esisterne altrettanti per dichiarare lo stato di insolvenza irreversibile e conclamato.
In altre parole, la dichiarazione dello stato di insolvenza non a sentimento, non dopo un bel “parliamone”, non in una riunione del consiglio di amministrazione nella quale si dice che “però poi i suoi dipendenti sono “mutualizzati” da noi” o ancora “però così poi smette di pagare i fornitori”. No, semplicemente una bella definizione di default oggettivo, rispetto alla quale non resta che prendere atto che la posizione del cliente è da svalutare, portare a sofferenza etc…
Anche in questo caso, se ci si chiede la genesi di un simile provvedimento (per amor di precisione il tutto trovasi all’art.178, regolamento UE 575/2013) è facile rintracciarla nella ritrosìa delle banche –in questo sempre incoraggiate da imprese altrettanto restìe a prendere atto della realtà- a dichiarare lo stato di deterioramento di crediti derivanti da operazioni spesso nate male e proseguite peggio.
E poiché la discrezionalità in materia implica, molto semplicemente, la sostanziale falsità dei bilanci bancari e l’inconsistenza del patrimonio in rapporto ai rischi, meglio eliminare la discrezionalità.
Ecco come:
“Il default di un debitore:
1. Si considera intervenuto un default in relazione a un particolare debitore allorché si verificano entrambi i seguenti eventi:
a) la banca giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quale l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie verso la banca stessa;
b) il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni su una obbligazioni creditizia rilevante verso la banca (n.d.a.: ovvero è in situazione di incaglio oggettivo).”
E ancora:
• “la rilevanza di un’obbligazione creditizia in arretrato è valutata rispetto a una soglia fissata dalle autorità competenti. Tale soglia riflette un livello di rischio che l’autorità competente ritiene ragionevole;
• gli enti hanno politiche documentate in materia di conteggio dei giorni di arretrato (una banca popolata da genii, recentemente commissariata, si vantava di aspettare 99 rate di impagato per dichiarare l’incaglio NdA) Queste politiche sono applicate in modo uniforme nel tempo e sono in linea con i processi interni di gestione del rischio e decisionali dell’ente”.
Inoltre, a parte ovviamente incagli, fallimenti e ristrutturazioni del debito con saldo e stralcio, si ha default quando:
• “la banca riconosce una rettifica di valore su crediti specifica derivante da un significativo scadimento del merito di credito successivamente all’assunzione dell’esposizione (traduzione dell’autore: bisogna monitorare il credito, sempre, e soprattutto bisogna evitare che scada…);
• la banca cede il credito subendo una perdita economica significativa”.
Infine, tanto per non dimenticare che il merito di credito non è un’opinione, la stessa direttiva disciplina all’articolo 179 “i requisiti generali per il processo di stima”, e in particolare, stabilisce che:
• “Le stime di basano sull’esperienza storica e su evidenze empiriche e non semplicemente su valutazioni discrezionali (…) Quanto più limitati sono i dati di cui dispone una banca, tanto più prudente deve essere la stima”.
L’ultimo punto merita un piccolo commento, rimandando altre considerazioni alla prossima puntata.
Esperienza storica ed evidenze empiriche fanno rientrare dalla porta l’analisi fondamentale, quella che i rating avevano scacciato nelle grandi banche e quella che la conoscenza diretta (e la storicità del rapporto) avevano fatto accantonare nelle piccole.
Non solo: appare evidente come la conoscenza del cliente non possa che essere fondata su dati (bilanci, performance, etc…) e non su mere opinioni di confidenza: “In Dio infatti noi confidiamo, ma tutti gli altri ci portino dei dati”, ci ricorda uno studioso USA.
Ne deriva che (chissà se di queste cose Sebastiano Barisoni ne parla a Radio 24?) minori sono i dati disponibili, scarni i bilanci e semplificate le contabilità, minori dovranno essere i rischi assunti: in altre parole, le idee le finanzi qualcun altro.
(segue: la puntata precedente è stata pubblicata il 1 luglio 2014)