Il credit crunch? Non esiste. (La gestione del credito deteriorato 2).
Mentre si fa un gran parlare di TFR e gli imprevidenti (ovvero, quasi tutti gli imprenditori) si scagliano contro l’idea renziana, perché “metterà in ginocchio milioni di imprese“, qualcuno dovrebbe chiedersi come mai, senza pagare un centesimo di TFR, vi siano già ora imprese indebitate fino al collo. In una banca locale della Lombardia, non più tardi di qualche giorno fa, mi sono imbattuto in una situazione a loro dire “delicata“, rappresentata da un’impresa “cliente storico“, “buon nominativo“, con palese mancanza di equilibrio economico e capacità di rimborso, perlomeno negli ultimi tre anni. Poiché di rado le crisi scoppiano all’improvviso e, di norma, nascono lontano nel tempo, mi sono messo a guardare con gli addetti dell’ufficio fidi sia il magazzino (gonfiato all’inverosimile: trattasi di Società per azioni, con collegio sindacale di avventurieri=difesa dell’Inter contro il Cagliari) sia l’andamento storico dei bilanci: scoprendo quello che purtroppo viene fuori sempre più spesso, ovvero che le difficoltà non solo pre-esistevano rispetto agli anni più duri della crisi, ma già all’epoca venivano nascoste. Quei bilanci sono manifestamente gonfiati -perlomeno dal 2005- alla voce magazzino, ma nessuno ha avuto mai il coraggio di dirlo: e, soprattutto, nessuno ha mai avuto il coraggio prima di staccare la spina.
Con il risultato paradossale che il mor(to)ibondo, pronto per essere imbustato dal coroner, si ribella, quasi che il rigor mortis fosse un’opinione. Incomincio a pensare che il credit crunch, quello sì, sia un’opinione. E che, come afferma un mio collega, forse dovremmo cominciare a chiamare le cose col loro nome e smettere di pensare alla crisi come qualcosa di passeggero, ma al momento attuale come qualcosa che certifica stabilmente un mutamento. Prima cominciamo a chiamare le cose con il loro nome, prima affronteremo la realtà, secondo la totalità dei suoi fattori.