Pannicelli caldi.
Quando, una vita fa, facevo ancora un mestiere vagamente assomigliante a quello del commercialista, ricordo che una delle domande più frequenti da parte degli imprenditori riguardava il pagamento delle imposte: anzi, la domanda esattamente era: “Ma adesso posso scaricare questo anzichè quello, la macchina anzichè il cellulare etc…?” Nessuno che mi abbia mai chiesto come fare a monitorare la redditività o a controllare i costi, l’utile pre-tax era concepito come normale, scontato.
Leggere dei provvedimenti del Governo Renzi sulla deducbilità dei crediti bancari come toccasana di tutti i mali fa sorridere: se da una parte pone rimedio ad un’evidente incongruità (le perdite su crediti si verificano e basta, e quando si spesano in bilancio devono poter essere dedotte, tutte, al 100%, come avviene in tutti gli altri Paesi), dall’altro non rende le banche più capitalizzate e, improvvisamente, più disponibili ad erogare credito. Le attività fiscali erano e sono un elemento negativo del patrimonio di vigilanza, ma non faranno lievitare il capitale di rischio di banche che generano perdite su crediti ed intaccano il patrimonio non per colpa delle attività fiscali, ma perché non sanno più fare il loro mestiere. Il quale, come ricorda la circolare 263 di Bankitalia (che forse qualche giornalista ed anche qualche tecnico di associazione di categoria dovrebbe cominciare a studiarsi) consiste nella misurazione del rischio.
Se si misura correttamente il rischio lo si remunera, e attraverso lo spread, come sa ogni studente di economia, si coprono le perdite: nè servirà a fare buon credito accelerare le procedure di recupero, se, appunto, il primo recupero non comincia dalla “sana e prudente gestione“. Diversamente, ridurre il carico fiscale sotto la riga dell’utile pre-tax, lasciando che sopra continui a farla da padrone la voce 130 è, appunto, un impacco di camomilla. Dà sollievo, ma dopo che lo hai tolto non ti trasformi in Uma Thurman: rimani Cita, Cita Hayworth.