Pensieri improvvisi
Mi capita di parlare con un conoscente, un ex-imprenditore edile marchigiano finito nel tritacarne della crisi, della bolla immobiliare e di scelte sbagliate, per investimenti fatti a debito, crescita disordinata e altre amenità. Mentre parliamo mi dice che è contento perché il Tribunale ha approvato il concordato (non in bianco, ad onor del vero, ma con qualche contenuto, a differenza di molte situazioni aziendali che mi capita di vedere ultimamente) e che il Giudice è stato molto severo: chiude dicendo che “probabilmente avranno capito che se li fanno fallire tutti non si può più andare avanti“. Il personaggio in questione è stato vice-presidente di un’associazione di categoria assai importante, ha rivestito cariche a Roma: il che non gli impedisce, al netto degli sconti per l’emotività e per il dramma vissuto, di dire sciocchezze davvero sesquipedali. La bancarotta governata dalla legge fallimentare, nelle sue varie forme, è un meccanismo di mercato, come tutti i meccanismi ampiamente rivedibile e migliorabile, ma che serve al mercato per fare il suo mestiere, ovvero quello di premiare chi è competitivo ed espellere chi è inefficiente. Non lo si può invocare per gli altri, immaginando che la propria virtù (presunta) generi eccezioni. Ma, soprattutto, non si può pensare che tenere in vita degli zombie (a me piacciono di più i vampiri) li faccia tornare uomini. Essere dei non-morti non significa essere vivi. Tenere in vita imprese decotte aggrava i problemi (ricordarsi la famigerata GEPI).