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Mariella Burani Fashion Group, cronache da una crisi annunciata. 1a parte, il triennio ante I.P.O.

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Mariella Burani Fashion Group, in data 3 agosto 2009, sul proprio sito http://www.mariellaburani.com/investors/investors.htm ha pubblicato il seguente comunicato
“Su richiesta delle Autorità di Mercato a seguito della pubblicazione di notizie apparse sulla stampa di ieri, in merito al piano di rinegoziazione del debito del Gruppo, la Società conferma che è allo studio un piano di rinegoziazione del debito che prevede, in materia di rafforzamento patrimoniale, un’ipotesi di aumento di capitale fino a Euro 50 milioni. In tale ambito la società conferma di aver ricevuto proposte di sottoscrizione di aumento di capitale mediante “equity line”. Al momento l’azionista di riferimento di MBFG sta approfondendo la valutazione di tali proposte.”
La storia di Mariella Burani merita alcuni approfondimenti, legati alla tipologia di prodotto, il c.d.fashion, definito “accessibile” dall’azienda, alle azioni pubblicitarie svolte, all’importanza della comunicazione finanziaria e del trattamento delle notizie per soggetti, come quelli che lavorano nel settore della moda, caratterizzati dall’essere grandi inserzionisti dei giornali, di tutti i giornali.
Su questo punto sarà opportuno ritornare, penso sia opportuno svolgere un vero e proprio lavoro scientifico.
Quanto al Gruppo Burani, il lettore trova qua i bilanci dei tre anni precedenti l’offerta pubblica iniziale di vendita (le cifre sono in 000.000 di lire; i costi intermedi fra margine industriale lordo e valore aggiunto sono stati raggruppati per quadratura, ritenendo non rilevando la disaggregazione per natura; le elaborazioni sono state fatte con software di analisi R&A t-trend).
Vi sono alcune aspetti significativi da notare:
1)-la forte crescita del Gruppo nei tre anni evidenziati, con il fatturato che si incrementa di oltre il 50%;
2)-la modesta redditività operativa, peraltro erosa dal peso di oneri finanziari la cui incidenza sulle vendite è elevatissima;
3)-l’irrisoria redditività netta, inferiore all’1% del fatturato, fino al 1998 pari a quella di un buon notaio di provincia, che nel 1999 schizza ad oltre 4,7 mld.di lire;
4)-il balzo della redditività netta non è ascrivibile in alcun modo all’ottenimento di economie di scala ed al miglioramento della redditività operativa legati allo sviluppo, ma esclusivamente a componenti non-core, finanziarie e straordinarie;
5)-l’indebitamento lordo (la cassa a fine 1999 è già impegnata per effettuare nuove acquisizioni) è superiore al fatturato;
6)-l’azienda, che opera con livelli di circolante strutturalmente elevatissimi, non genera mai liquidità, mostrando un autofinanziamento netto costantemente negativo.
In questi casi la buona prassi e la conoscenza del legame fra redditività, equilibrio finanziario e solidità patrimoniale impongono o di smettere di crescere, o di farlo mediante forti iniezioni di capitale di rischio. Nel caso di specie, visto il livello di indebitamento in partenza così alto, l’aumento di capitale avrebbe dovuto essere assai ingente e tutto destinato alle casse aziendali, non a consentire lo smobilizzo per gli azionisti senior. Soprattutto si sarebbe dovuto riflettere sulla drammatica carenza di redditività aziendale.
Sul post-IPO torneremo alla prossima puntata. Mi pare che l’esame dei dati al 31.12.1999 fornisca numerosi spunti al dibattito. Al quale invito tutti i lettori del blog.
(Fine 1a puntata. Segue)

© Alessandro Berti, Università di Urbino. E-mail: alessandro.berti@uniurb.it

MARIELLA BURANI FASHION GROUP spa ante IPO

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