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Modelli di business e modelli di valutazione.

Ma proprio perché esiste questa opportunità, è importante che anche le banche si concentrino sulle imprese del futuro, evitando di continuare a supportare aziende con modelli di business non sostenibili“. Così Claudio Torcellan, partner della società di consulenza Oliver Wyman, ripreso in un articolo di Alessandro Graziani sul Sole 24Ore on line di oggi, parlando delle leve per rilanciare la redditività delle banche e delle opportunità offerte al sistema delle imprese e al sistema bancario dalle misure previste nel Recovery Fund.

Se è vero, come pare, che Oliver Wyman sia la società di consulenza della stessa BCE in materia di vigilanza, ci sarebbe più di un motivo per riprendere in mano la questione del modello di business, e non solo perché è scritto nelle metriche degli Orientamenti EBA e diventa oggetto di vigilanza ispettiva: saper valutare il proprio business model, per le imprese e per le banche che le finanziano, diventa un elemento fondamentale del processo del credito, ovvero del processo di conoscenza reciproca che ruota intorno alla misurazione del rischio ma è, sicuramente, molto di più.

Nel prosieguo dell’articolo, che invito tutti a leggere, vi sono molti spunti di riflessione, alcuni dei quali sono veri e propri ossimori da risolvere, o se si preferisce, da sciogliere: si pensi, tra gli altri, al rapporto tra lavoro umano, indispensabile nel modello della banca di relazione, e intelligenza artificiale, capitolo non più eludibile, anche alla luce della marcata preferenza, ormai ben chiara, espressa dal regolatore per la grande banca a dimensione nazionale. Non c’è industrializzazione del processo del credito che possa prescindere da solide conoscenze e da una capacità di lettura che riesce difficile immaginare di appaltare a un robot; così come riesce difficile immaginare che le stesse riflessioni sul modello di business dell’impresa possano essere lasciate all’imprenditore senza che la banca condivida le proprie, sull’impresa stessa, sul settore e/o sulla filiera.

Prima ancora che sia la banca a razionare, di fatto, il credito a quelle imprese e a quei settori destinati inevitabilmente a diventare marginali o ancora più competitivi e quindi con una marginalità in progressiva, costante erosione, la riflessione dovrebbe essere agevolata da un ceto professionale che appare ancora un po’ troppo impaurito o forse preso alla sprovvista dalle novità (quando non “affonda” nella miriade di pratiche, dal 110% alle moratorie) e dalle banche stesse, unitamente alle associazioni di categoria, anche se al momento la preoccupazione principale sul tema è spostare in avanti le scadenze, prolungando le moratorie. Anche perché ogni allungamento delle moratorie aiuta a spostare in avanti il problema del credito deterioratosi a causa della crisi indotta dalla pandemia…

Bisogna intendersi: è difficile immaginare un mondo dove si possa fare a meno del commercio al dettaglio e della distribuzione retail, ma non è evidentemente pensabile che cessata l’emergenza, sia business as usual per tutti e amici come prima. Ovvero, un business model che nella distribuzione al dettaglio ignori le conseguenze della digitalizzazione e/o dei mutamenti nei comportamenti dei consumatori è destinato inevitabilmente a soccombere, così come quello di un classico terzista la cui formula competitiva sia tuttora basata sul body rental, senza offrire un reale valore aggiunto.

Dunque, guardando avanti, occorrerà agire ed agire in fretta; e se in questo ambito non è sicuramente il caso di occuparsi del policy maker e delle sue scelte –trop vaste programme-, non ci si può non fare, per l’ennesima volta, interpreti della necessità di un dialogo che riempia di contenuti la necessaria partnership tra banca e impresa, mai come in questo momento storico così importante e così decisiva per il nostro Paese e il suo sistema economico. E allora si deve dire chiaro e forte che non ci servono meno banche di relazione perché quello è un modello adatto a banche piccole, ma banche che sappiano crescere in maniera profittevole senza perdere il contatto con la realtà dei territori e delle imprese che vi lavorano: l’intelligenza artificiale elimina la relazione solo se viene concepita in un’ottica fine a sé stessa, non come strumento. Siamo uomini, non caporali.

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Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo Vigilanza bancaria

Banche locali e salvataggi: senza pregiudizi si costruisce sempre.

Banche locali e salvataggi: senza pregiudizi si costruisce sempre.

Il Sole 24 Ore on line di ieri riporta un lancio di Radiocor di questo tenore: “Si sblocca il dossier Carige ma non è ancora tempo di sospiri di sollievo perché l’operazione di salvataggio dovrà passare dal via libera decisivo dell’assemblea degli azionisti che potrebbe tenersi nel mese di settembre. Intanto però la struttura dell’operazione sembra aver ricevuto i consensi necessari da parte del sistema bancario e dalla Cassa Centrale Banca, partner industriale intorno a cui ruota l’intero riassetto della banca genovese. Secondo quanto anticipato da Radiocor, è stato trovato l’accordo tra il Fondo interbancario di tutela dei depositi e la holding delle banche cooperative per la copertura dell’intero ammontare dell’aumento di capitale da 700 milioni necessario al rafforzamento patrimoniale di Carige: lo Schema Volontario del Fondo ha approvato ieri la conversione del Bond da 313 milioni di euro, mentre 65 milioni arriveranno da Cassa Centrale che ha tenuto oggi il suo consiglio di amministrazione, il resto dell’ammontare (oltre 300 milioni) sarà comunque garantito dal Fondo interbancario che chiude così il cerchio dell’aumento anche nel caso in cui gli azionisti attuali decidessero per non partecipare alla operazione.”

E’ singolare che la Banca indicata come il peggiore concentrato del “localismo” e dei danni che esso ha compiuto (ampiamente dimenticabile la stucchevole polemica portata avanti da Sebastiano Barisoni dai microfoni di Radio 24 proprio sul tema di Carige e delle banche locali) stia per essere salvata da Cassa Centrale Banca, la più rapida delle tre banche uscite dalla riforma del credito cooperativo a darsi una struttura organizzativa e manageriale di livello nazionale, con un management che, lungi dal ripiegarsi su sé stesso e sugli immani problemi che comporta diventare uno dei primi dieci gruppi italiani, decide addirittura di rilanciare, grazie ad un free capital evidentemente adeguato. Solo due cose, in attesa di vedere gli sviluppi: alla faccia di Barisoni e dei molti uccelli del malaugurio, il localismo nelle banche è vivo e lotta con noi (forza CCB); se anziché lamentarsi e avere pregiudizi, provi a costruire, vengono fuori “cose belle”.

P.S.: per chi l’avesse dimenticato, la riforma delle BCC l’ha fatta Matteo Renzi.

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Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo BCE

Semplificazioni (?).

Semplificazioni (?).

Il Sole 24 Ore di oggi nella sezione Finanza e Mercati riporta un articolo di Davide Colombo dal titolo significativamente attrattivo “Bankitalia lancia la semplificazione per banche minori”. Si tratta delle nuove modalità con cui saranno attuati gli orientamenti e le raccomandazioni delle autorità europee in materia di banche less significant, appunto, le banche minori. Premesso che di banche minori ne esistono e ne esisteranno sempre di meno, stante una legislazione (vedi leggi di riforma delle banche popolari e delle banche di credito cooperativo, tutte di fatto confluite in Gruppi “significant”) ed un indirizzo del regolatore palesemente orientati alla concentrazione del mercato e all’uso degli strumenti di Vigilanza strutturale, la semplificazione pare più di tipo formale che sostanziale.

Chi ha avuto modo di lavorare con e dentro le banche, soprattutto di minori dimensioni, sa bene che il principio di proporzionalità cui doveva essere informata tutta l’attività di vigilanza e la relativa compliance(ovvero l’adesione alle regole) è stato più che altro enunciato ma mai effettivamente applicato, sia per il “profluvio regolatorio” di cui parla Colombo nel suo articolo, sia per la chiara volontà di BCE e Bankitalia di non mollare la presa sul sistema bancario, riducendo il numero dei competitor.

La semplificazione, in poche parole, consisterebbe nel fatto che gli “orientamenti di vigilanza” a differenza degli “atti aventi natura normativa” potrebbero essere disattesi in quanto non vincolanti, a condizione che la banca che usi modalità diverse dimostri che le stesse soddisfano le disposizioni di legge e regolamentari cui gli “orientamenti” stessi si riferiscono. La comunicazione di Bankitalia relativa alla semplificazione, d’altra parte, dimentica un piccolo-grande particolare, ovvero che lo strumento della moral suasion, da sempre insegnato in tutte le aule universitarie dove si parla del ruolo della Banca Centrale, non solo non passa mai di moda ma è stato sempre più utilizzato negli ultimi tempi. BCE e Bankitalia sanno come farsi rispettare ma, soprattutto, sanno come farsi ascoltare: io non semplificherei.

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Alessandro Berti Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo Lavorare in banca Lavoro

L’oroscopo 2018 del Mago Alex per banche, banchieri e bancari (ininterrottamente dal 2009).

L’oroscopo 2018 del Mago Alex per banche, banchieri e bancari (ininterrottamente dal 2009).

Credo che l’Oroscopo, tradizione di fine anno alla quale non riesco a resistere, non sia mai stato così poco incline all’ironia come quest’anno. Eppure materiale per essere feroci ce ne sarebbe  in quantità industriale, eventi nei quali il senso del ridicolo è completamente venuto meno non sono mancati e proprio a fine anno è terminato il lavoro della arcinota commissione banche.

Non riesco a togliermi dalla testa la frase, letta su Twitter (e per fortuna che era in decadenza come social) circa l’effetto Kodak per le banche: ovvero, quella difficoltà a cogliere il passaggio al digitale che ha portato quasi alla rovina la storica azienda americana, applicato all’intermediazione bancaria. Eppure non è stata l’incapacità di cogliere il cambiamento a tradire Kodak ma la sua lentezza, insieme alla tranquillità che offriva il trovarsi in una situazione di monopolio.

L’effetto Kodak per le banche non è appena la c.d. Fintech, alla quale al momento io personalmente attribuisco solo un’accelerazione del processo di flying to quality del sistema bancario e delle imprese (le più grandi vanno dalle migliori -che sono quasi sempre le più grandi- e viceversa); è il venir meno stesso della ragione d’essere di alcuni vantaggi tipici di molte banche italiane (localizzazione, informazione, transazione), insieme alla non-necessità dell’insediamento fisico che cambia il modo stesso di stare dentro la competizione.

Il vantaggio sta nella digitalizzazione applicata massivamente soprattutto all’informazione (e tra qualche anno accessibile anche a soggetti non bancari) e nella riduzione dei cosi operativi, ovvero il personale. Il bancario, che legge questo oroscopo dal 2009, sa che gli voglio bene e che vorrei continuare a volergliene ancora a lungo; ma deve sapere con certezza che il panorama intorno a lui è cambiato e che il gioco, un po’ crudele, è quello di girare intorno a un numero di sedie inferiori al numero dei partecipanti al gioco.

Non solo: direi che ci sono e ci saranno sempre meno posti dove giocare. La concentrazione del sistema è il mantra che, unitamente a quello della sana e prudente gestione, ci accompagnerà ancora per molti anni: perché la concentrazione significa stabilità, minori possibilità di crisi, poche grandi banche (10?) che si spartiscono il mercato. Tra queste ci saranno anche Cassa Centrale Banca e Iccrea Banca, che raccoglieranno l’eredità di Federcasse e i valori del Credito Cooperativo: coloro che le dirigono hanno ed avranno molte responsabilità.

Il 2018 è un anno di passaggio: saranno applicati, a quanto pare con gradualità, i nuovi (e più severi criteri) degli IFRS 9 al posto di quelli più laschi contenuti nello IAS 9; al solito, sarebbe bene che chi avesse tempo non aspettasse tempo, anche perché se nessuno in questo momento ha voglia di altre crisi, nessuno può fermare l’acqua con le mani, come insegna il buon Bersani. Chi non ha più tempo sono le imprese, quelle che ancora non sono fallite (e mi resterà sempre il dubbio se sia stato un bene o un male) e che si trovano “tra color che son sospesi”: imprese alle quali non serve la Fintech, ma un buon commercialista, o un buon gestore imprese come se ne trovavano una volta nelle banche locali come si deve.

La torta non è piccola, vengono a mangiarsela anche dall’Oriente; ma le fette non saranno uguali per tutti.

Buon 2018 e buon lavoro a tutti!

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Alessandro Berti Banche Banche di credito cooperativo Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese PMI

Coop-up (buon lavoro, Abruzzo).

Coop-up (buon lavoro, Abruzzo).

Venerdì scorso 12 maggio ho avuto il piacere di poter partecipare a un incontro organizzato dalla Federazione Abruzzese delle Banche di Credito Cooperativo, insieme a Confcooperative Abruzzo. Coop-up è il nome del progetto e dello strumento che viene messo a disposizione dei progetti di impresa realizzati da cooperative neo-costituite o costituende. Sono grato alla Federazione Abruzzese delle  Bcc che in un momento certamente delicato e complesso per le banche locali propone qualcosa di costruttivo, sotto il profilo dei progetti e dei valori: il che, mentre tutti pensano a come difendersi dal credito deteriorato, a come far salire i ricavi da commissioni e a come sarà il “Gruppo Unico” non è davvero poco.

Ci sono almeno due aspetti importanti che mi piace sottolineare dell’incontro e che rappresentano un punto di partenza fondamentale per tutti, non solo nelle cooperative e non solo in Abruzzo.

Il primo riguarda l’aspetto fondamentale della cooperazione stessa, ovvero il fatto di non restare soli e di farsi aiutare, l’aspetto di fare insieme le cose, facendosi aiutare ma anche facendosi giudicare: sotto questo profilo il ruolo delle banche locali è e rimane decisivo, anche per quella che definiamo “cooperazione orizzontale”.

Il secondo concerne la creazione di impresa in quanto tale, un tema sul quale non sappiamo distaccarci dal cliché della start-up made in USA, che dentro un garage fa maturare gli Steve Jobs nostrani. Ogni territorio ha le sue specificità e i propri carismi, risorse e specialità che non possono essere trattati con schemi precostituiti, così come le cooperative, che non possono essere assimilate tout-court ad imprese profit. Il progetto che è stato presentato venerdì rappresenta allora una grandissima occasione per ripensare il tema del sostegno allo sviluppo ma anche il fare impresa stesso, sotto qualunque forma. Si possono immaginare, allora, non appena strumenti di agevolazione, ma anche e soprattutto strumenti per fare crescere competenze, modalità di analisi, condivisione dei giudizi sulla sostenibilità del progetto: perché fare impresa non è un titanico progetto, ma riguarda tutti. Buon lavoro Abruzzo.

 

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Alessandro Berti Analisi finanziaria e di bilancio Banche Banche di credito cooperativo Fabbisogno finanziario d'impresa PMI Relazioni di clientela

Eppur si muove (il rapporto banca-impresa).

Eppur si muove (il rapporto banca-impresa).

Mentre finisco di parlare in un’aula di bancari, dopo tre giorni di intenso lavoro sul processo del credito e sulla qualità degli affidamenti (che oltre ad essere un libro dovrebbe essere un metodo di lavoro) chiedo a qualche partecipante delle esperienze precedenti in materia di formazione, dando quasi per scontato che l’analisi per flussi sia stata assimilata come il latte materno e gli omogeneizzati per i bimbi. Scopro, non so se con rassegnazione (il mio Maestro me lo aveva detto, il sistema bancario è irredimibile) o sorpresa (io continuo a illudermi) che questi professionisti della relazione di clientela hanno fatto il corso fidi base e poco altro esclusivamente sull’analisi per indici: che il loro docente era un bancario andato in pensione, che ovviamente sarà costato poco, e che i casi aziendali che hanno visto in aula riguardavano multinazionali o società quotate. Ci sarebbe di che deprimersi, o forse di che esultare, perché, in finale, si tratta di lavoro: e vista la preparazione di fondo, ci sarà sempre ignoranza da estirpare.

Eppure…eppure qualcosa si muove: a cominciare, pochi giorni dopo, da un piccolo imprenditore alberghiero riminese che, con mio grande stupore, ha chiesto al sottoscritto di preparare il piano economico-finanziario, mostrando di ben conoscere il tema della pianificazione strategica e del controllo di gestione in hotel. Non sapeva fare tutto, ma sapeva dove mettere le mani, sapeva che domande farsi, si poneva e si pone problemi: confrontarsi con lui è stato rigenerante. A proseguire, una grande banca di interesse nazionale ha mostrato attenzione ad un’impresa purché documentasse correttamente l’evoluzione del proprio fabbisogno finanziario, ai fini del sostegno ad un piano di investimenti, esigendo un piano finanziario. E, da ultimo, alcune laureande che si sono improvvisate imprenditrici chiedendo finanziamenti per un’impresa di fantasia, per verificare il tipo di risposte ricevute: se quasi tutte le banche interpellate volevano le firme dei genitori (qualcuna, in pratica, solo quella) più d’una ha mostrato interesse a sviluppare un piano finanziario, assistendole o consigliando loro di verificare attentamente la fattibilità del progetto. Una di queste era una Bcc…

Basta poco per consolarsi, o forse per vedere il bicchiere mezzo pieno. Però se è vero che si può ripartire solo da un lavoro, non da un’idea astratta, qualcuno lo sta facendo. Bisognerebbe raccontarlo più spesso.

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Chi ricomincia a finanziare gli investimenti?

Chi ricomincia a finanziare gli investimenti?

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La notizia comparsa sul Sole 24 Ore di oggi, che riporta il dato relativo al volume dei prestiti a medio-lungo (sostanzialmente triplicati a dicembre 2016 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) non può che rallegrare chiunque abbia a cuore il percorso di fuoriuscita dell’Italia dalla crisi e cerchi di cogliere i segnali di ripresa; segnali che non hanno mai cessato di manifestarsi anche in momenti meno recenti, ma che i dati, finalmente, confortano. Fino a non molti anni fa i prestiti a medio-lungo richiesti dalle imprese sarebbero stati destinati, con fin troppa facilità, ad acquisizioni immobiliari nella migliore delle ipotesi inutili, quando non dannose, perché distoglievano risorse e competenze dalla competitività, dalle strategie, dal mercato.

Leggere la notizia mi ha fatto pensare che se questa è la fotografia dal lato della domanda, non meno interessante sarebbe conoscere chi siano i protagonisti dal lato dell’offerta: ovvero, in un Paese banco-centrico come l’Italia, certamente le banche, ma quali banche? La domanda non è oziosa, né riconducibile ad un puntiglio accademico, ma ad alcune recenti esperienze di fidi “offerti”, in senso letterale, a grandi aziende che ne avrebbero fruito poco o nulla, da piccole banche, in particolare Bcc. Quelle stesse banche che dovrebbero sostenere la crescita delle Pmi, offrono prestiti ad aziende di grandi dimensioni, a tassi ultra-competitivi, verosimilmente con una marginalità nulla o ridottissima.

Perché?

Fino a non molti mesi fa, dialogando con chiunque mi fosse capitato nell’ambito delle banche locali, mi sarei sentito dire che il problema del credito era il credito deteriorato, “tanto nuovo credito non ne facciamo“. Il peso del credito deteriorato, prima ancora che un fardello economico, è divenuto un fardello culturale: per non sbagliare, meglio non fare nulla, ovvero il grillismo applicato al credito. Ma poiché qualcosa si deve fingere di fare, allora si eroga credito alle grandi imprese, anziché alle Pmi: perché è più facile e dunque meno costoso valutarle, perché sono meno rischiose, perché anche se guadagno poco, non si genereranno altre svalutazioni. Mi vengono in mente espressioni come miopia, mancanza di coraggio, visione di corto respiro, ma temo che sia molto peggio: temo che molte banche locali stiano pensando che, pur di sopravvivere, sia meglio venire meno alla propria vocazione. Questo fattore, molto più della riforma ormai avviata, rischia di cancellare la cooperazione di credito Italia; ma soprattutto rischia di cancellare un riferimento storico per il mondo delle Pmi, tuttora incapaci di comprendere cosa fare per ripartire e chi siano i loro interlocutori. Non è un problema tecnico, è un problema culturale, di visione, di consapevolezza. Proviamo a lavorarci?

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Alessandro Berti Analisi finanziaria e di bilancio Banche Banche di credito cooperativo Indebitamento delle imprese PMI

Farsi domande sull’impresa (per non restare soli).

Farsi domande sull’impresa (per non restare soli).

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È abbastanza straordinario che, grazie ad una banca locale come la Cassa Rurale di Fiemme, 80 imprenditori siano venuti una sera di inizio di ottobre dalle 20 alle 23 ad ascoltare un poco illustre e sconosciuto accademico che parlava loro di gestione economica dell’impresa. Non meno sorprendente è che siano tornati (ieri sera) per ascoltare lo stesso relatore sugli aspetti più importanti della gestione finanziaria, sempre a orari non proprio agevoli per chi abbia lavorato tutto il giorno.

In fondo però la sorpresa è giustificata solo per chi ama gli schemi e inquadra tutte le situazioni secondo preconcetti. Quello che @Cassa Rurale di Fiemme sta portando avanti con la collaborazione di @R&A Consulting è, al contrario, il segnale di quanto si possa essere capaci di stare vicini alle imprese ascoltandole, comprendendone le esigenze e offrendo loro soluzioni.

La prima sera del percorso è stata introdotta da una premessa: “non ci sono soluzioni magiche, guru, ricette”. Ed è stato proprio il sottoscritto a ricordare che si può dire “riuscito” solo un incontro dove, una volta tornati a casa, si abbiano più domande di prima.

Questo è accaduto e continua ad accadere a Tesero, questo potrebbe accadere nuovamente coinvolgendo ancora di più le imprese sui territori grazie alla Cassa Rurale di Fiemme e a Banking Care, non appena partirà il progetto di consulenza alle Pmi denominato “Consulenza d’impresa. Crediamo nel tuo lavoro”. Si può fare cultura d’impresa, si può fare per le piccole e medie imprese e, soprattutto, lo si può fare (solo?) con le banche locali.

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Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo PMI

Riformare il credito cooperativo non è solo questione di regole.

Riformare il credito cooperativo non è solo questione di regole.

L’approdo alla versione finale del Decreto Legge che ha riformato il credito cooperativo dopo una lunga gestazione ed una sostanziale imposizione dal centro (su questo, e solo su questo, a parere di JM, hanno ragione i vari “colonnelli” che hanno fatto veri e propri pronunciamenti latino-americani sul tema) non può che far riflettere non solo tutti coloro che hanno a cuore la democrazia economica e la “biodiversità” mutualistica, ma anche chi, più semplicemente, si interroga sul futuro delle relazioni di clientela nel nostro Paese, soprattutto per quel che riguarda le Pmi. Su Linkiesta ci sono le considerazioni di Luca Barni, che riesce a sintetizzare efficacemente il vero pregio della riforma: l’avere accolto le linee principali dell’autoriforma che Federcasse stava discutendo, riuscendo, nello stesso tempo, a rafforzare patrimonialmente le Bcc senza far loro perdere il nesso col territorio.

Ovviamente, non è mai stata una questione di regole in passato e non lo può essere nemmeno ora: la riforma rimette in gioco per tutti i valori, ovvero la cultura, il modo che hai di leggere la realtà, con buona pace di coloro (p.e.l’ottimo Sebastiano Barisoni di Radio 24) che dal crac delle 4 banche avevano tirato giudizi frettolosi e sommari sulle banche locali. La mutualità ed il localismo possono venire distorti così come la grande dimensione extra-nazionale: Deutsche Bank, ma non solo, rappresenta l’esempio più lampante di come la grande dimensione non garantisca comportamenti virtuosi, non eviti conflitti di interessi, non impedisca il moral hazard.

Mi piace, invece, ricordare due esempi che in una sola settimana ho potuto ri-conoscere ed incontrare di nuovo: una piccola Bcc, con un record di sofferenze irrisorie (talmente basse da sembrare quasi insultanti, visti gli elevati accantonamenti prudenziali comunque effettuati) che lavora strettamente sul territorio ma che osserva continuativamente le buone prassi in materia di valutazione del merito di credito. E poiché ho lavorato e lavoro per questa banca, evito di nominarla, sapendo che non me ne vorranno.

Il secondo esempio è sul lago di Ledro, dove la Cassa Rurale ha riunito -indubbiamente senza alcun merito del sottoscritto- ben 80 imprenditori per incontri serali (dalle 20 alle 23!) sulla cultura d’impresa, il bilancio ed il fabbisogno finanziario. Si può decidere di rimettersi in gioco su ciò che si ha di più caro, i propri conti aziendali, se chi te lo chiede è la banca che da sempre ti è accanto nelle tue scelte sul territorio: per giunta venendo ad ascoltare un illustre sconosciuto, che ti parla senza fare sconti, o almeno ci prova, nonostante l’ora. Cultura d’impresa e buone prassi, non solo regole: su queste basi la riforma del credito cooperativo non è appena una normativa illuminata, ma l’occasione per tutto il Movimento di riformarsi ritrovandosi.

 

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Alessandro Berti Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo BCE

Io non voglio pagare per qualche idiota.

Io non voglio pagare per qualche idiota.

Il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco  a Roma il  14 novembre 2012. L'incontro tra i vertici dell'Abi e il governatore della Banca d'Italia Visco di oggi è stato "molto approfondito e di forte soddisfazione": lo ha detto all'ANSA il neopresidente Antonio Patuelli precisando che "abbiamo avuto conferma dai vertici di Bankitalia della stabilità del mondo bancario italiano"ANSA/CLAUDIO PERI
Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco a Roma il 14 novembre 2012.

Io non voglio che le tasse che pago vadano a coprire i buchi nelle tasche di risparmiatori il cui comportamento non merita altro appellativo che quello di dabbenaggine. Perché a dispetto degli alti strilli dei risparmiatori di ieri di fronte ai palazzi del potere di Roma, di dabbenaggine si tratta (anche se la parola giusta sarebbe un’altra: idiozia). La dabbenaggine di chi pensa che solo a lui sia apparsa la luce di rendimenti elevati quando persino lo Stato paga in negativo. Il rischio è connesso al rendimento: capre, capre, capre. Capre: solo una capra può pensare che a lui spettino rendimenti superiori a quelli del mercato.

Non voglio pagare perché Libero, Il Giornale, Brunetta e soci, sempre allegramente assenti quando Tremonti litigava con Bankitalia e quando c’era da avere una politica del credito (avrà tanti difetti, ma questo governo una politica ce l’ha: non vi piace? Non votateli.) che nessuno ha mai nemmeno concepito, delegando tutto a Banca d’Italia, che ha fatto quel che vuole ogni vigilatore. Ha sterminato più banche che poteva, lasciandole cuocere a fuoco lento, per poter avere meno soggettida vigilare.

E infine, proprio per questo, non voglio pagare perché la Banca d’Italia che fa le ispezioni selettive (risk focused le chiamano), non si è accorta di nulla, così come la Consob, che per definizione non si accorge mai di nulla. Non voglio pagare per evitare class action a qualcuno: fate finalmente queste class action. Fatele e piantatela di strillare. Capre.