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Alessandro Berti Crisi finanziaria Disoccupazione Economisti Ripresa Sviluppo

Fermiamo il declino! ri-approvo, ri-sottoscrivo e voto!

Fermiamo il declino! Ri-approvo, ri-sottoscrivo e voto!

Cari amici,

il primo invito rivolto a voi tutti è di moltiplicare il più possibile le attività di proselitismo, fund raising, e l’organizzazione di eventi territoriali per estendere la nostra rete e illustrare i dieci punti programmatici, che per noi sono pietra angolare imprescindibile per la verifica di un’offerta politica radicalmente nuova e all’altezza del compito di fermare il declino italiano. I coordinatori regionali hanno iniziato a lavorare a questo fine, la comunicazione quotidiana sui social networks grazie ai volontari impegnati si va intensificando, sul sito trovate le indicazioni delle trasmissioni radio televisive in cui siamo impegnati a rafforzare la nostra presenza, ogni giorno veniamo contrattati da nuove espressioni della società civile, professionale, e da chi non si riconosce nell’attuale offerta politica.

Negli ultimi giorni, tre eventi hanno catalizzato l’attenzione politica dei media. Su ciascuno di essi, qualche breve considerazione per mantenere noi tutti le idee chiare ed evitare equivoci sulla natura della nostra iniziativa. E sulla sua percezione da parte dell’opinione pubblica.

Cominciamo dal confronto interno al Pd. Matteo Renzi sale nei sondaggi di fiducia e popolarità, molti ci chiedono come consideriamo la sua ascesa. E’ presto detto. Apprezziamo l’energia e chiarezza con cui pone nel Pd il tema del rinnovamento della politica e della selezione delle sue classi dirigenti. Non sappiamo come la pensa su alcuni dei punti fondamentali e per noi essenziali, indicati nel nostro programma. Punti per noi irrinunciabili. Non possiamo né vogliamo esprimere alcun consenso alla sua azione, se e finché dichiarerà che in ogni caso il suo obiettivo resta all’interno dell’attuale perimetro del Pd. Vedremo come e se la sua iniziativa evolverà, ma restare nel recinto delle vecchie forze politiche per noi è segno di non comprensione che il problema è proprio quello di superarle, alla luce del pessimo bilancio da tirare del ventennio che abbiamo alle spalle. Di nuovo, Renzi rappresenta un fattore positivo rispetto alla vetusta e inadeguatissima oligarchia del Pd, ma il potenziale di rinnovamento che egli rappresenta finirà sprecato se viene costretto dentro alle maglie strette dell’ideologia che governa la politica del Pd.

Il secondo evento politico è quella della cosiddetta agenda Monti, o meglio la conferma tout court di Monti come premier anche per il futuro e a prescindere dalle prossime elezioni. E’ una questione potentemente rilanciata a Cernobbio, tradizionale appuntamento di ripresa estiva del confronto sui temi economici e finanziari dell’agenda nazionale. E’ un’impostazione inaccettabile, a nostro giudizio. Non si tratta di disconoscere la credibilità internazionale attribuita a Monti, rispetto alla totale sua perdita che giustamente travolse Berlusconi. Si tratta di guardare agli interessi del paese e a ciò di cui ha veramente bisogno. Per quanto ci riguarda, tre questionimolto rilevanti obbligano a ragionare diversamente, sul futuro politico dell’Italia dopo le prossime elezioni.

  • La prima è che dare l’impressione agli italiani che il loro voto abbia un’importanza pressoché nulla – perché si tratta di confermare la stessa premiership tecnica che peraltro rifiuta di sottoporsi a giudizio elettorale – non può che rappresentare un ulteriore incoraggiamento al puro voto di protesta. Con più di una ragione, visto che il ragionamento sottintende che sarebbero “buoni” invece i voti dati a Pd, Pdl e Udc che sostengono Monti, a prescindere dalla loro totale sconfitta politica e sociale, sfociata poi in una soluzione d’emergenza per evitare il collasso dell’Italia come detonatore dell’euro.
  • La seconda è che non comprendiamo in che cosa la più volte citata “agenda Monti” si differenzi davvero, sinora, dalla continuità rispetto all’impostazione di politica economica seguita in precedenza. Agli occhi degli italiani, come si vede anche nella distinzione netta nei sondaggi tra fiducia relativa a Monti e bocciatura del suo governo, l’esecutivo tecnico ha significato più tasse, nessuna cessione di attivo pubblico per abbattere il debito, nessun taglio di spesa che sia stato retrocesso ai contribuenti per far risalire la crescita potenziale, nessuna eliminazione di monopoli e privilegi. Se la discontinuità è mancata perché mancava il consenso popolare e per colpa dei partiti, come sostengono molti fautori della conferma di Monti, allora a maggior ragione solo un nuovo patto con gli italiani, che goda del consenso esplicito degli elettori su proposte precise, può produrre il sostegno necessario a invertire la politica economica imboccando la via di una profonda ridefinizione dello Stato e di ciò che occupa impropriamente, sia centralmente che nelle Autonomie. Questo è ciò che Fermare il Declino propone e che Pdl, Pd e Udc negano a priori.
  • La terza questione riguarda invece il dibattito sotteso al formarsi di un “partito-Monti”. La conferma sarebbe dovuta alla perdita di sovranità dell’Italia, alle clausole condizionali per gli aiuti europei, implicite anche nello stesso programma straordinario di ripresa di acquisti dei titoli eurodeboli recentemente varato dalla BCE. In altre parole, il governo italiano si decide a Berlino e a Bruxelles prima e più che nelle urne italiane, stante che il nostro Paese resta il sorvegliato speciale rappresentando il 19% del Pil dell’euroarea. Non sfugge a nessuno che si tratta di una questione molto importante, e con qualche fondamento. Vedremo come andrà tra poco il voto in Olanda, ma anche in quella nazione – per molti versi non nelle nostre penose condizioni di debito e crescita – sembra profilarsi una soluzione di grande coalizione. Proprio chi ritiene di avere una ricetta per ridare forza all’economia italiana e credibilità alla sua finanza pubblica, deve battersi perché l’elettorato comprenda che questa prospettiva esiste e che è nelle sue mani. Altrimenti, anche da noi prenderanno sempre più piede revanscismi e populismi nazionalisti, come quelli che sembrano alla base del sovranismo nazionale indicato da Giulio Tremonti come base di una sua eventuale lista elettorale.

Infine, il terzo evento che ha alimentato le cronache politiche è stato il convegno di Chianciano, dell’Udc di Pierferdinando Casini. L’intervento di Emma Marcegaglia ha fatto scrivere a molti che la Lista Italia di Casini sarebbe a questo punto già l’inveramento della nuova offerta politica per le prossime lezioni. Noi non la pensiamo affatto così. Abbiamo per questo risposto con un comunicato stampa inequivoco, che qui vi riportiamo:

“A proposito degli accostamenti che sono stati fatti tra l’iniziativa di Fermare il declino e le scelte prese dall’Udc a Chianciano, sottolineiamo che per noi sono dirimenti quattro questioni:

1) Un forte rinnovamento della politica, impegni espliciti nei meccanismi di selezione della classe dirigente, vincoli per i quali non si possa dire una cosa a Roma e una Palermo;
2) Un energico mutamento nella politica economica, con proposte serie per abbattere il debito statale con cessioni pubbliche e retrocedere tagli di spesa in meno imposte a lavoro e impresa, vincolante per noi insieme alle 10 proposte programmatiche che abbiamo presentato;
3) Ridefinire lo Stato, il suo perimetro e le sue mille articolazioni inefficienti, dal socialismo municipale al sottobosco degli enti statali;
4) Cambiare le persone: senza evidenti discontinuità nel ceto politico, non si dà una risposta credibile alla protesta di massa della società italiana.

Su questi quattro punti, l’Udc a Chianciano non ha dato risposte. Continuiamo dunque per la nostra strada. Non c’è molto tempo. Se i partiti credono di affrontare il declino dell’Italia con modesti aggiustamenti, saranno gli elettori a svegliarli”.

Non abbiamo messo in campo la nostra iniziativa per proporre e tanto meno diventare degli indipendenti sotto il simbolo dello scudocrociato, culla di Cuffaro e Lombardo. Se Marcegaglia, Passera e altri la pensano diversamente, questo riguarda loro. Non noi.

Non è affatto detto che da soli avremo, con così poche settimane davanti a noi e con così pochi mezzi esclusivamente frutto di raccolta spontanea, la forza di convincere gli italiani che il cambiamento profondo di cui siamo convinti cammina credibilmente sulle nostre gambe. Ma questo non significa che devieremo dalla chiarezza dei princìpi e delle proposte che abbiamo avanzato.

Fermiamo il declino!

Michele Boldrin, Sandro Brusco, Alessandro De Nicola, Oscar Giannino, Andrea Moro, Carlo Stagnaro, Luigi Zingales

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Analisi finanziaria e di bilancio Banche Banche di credito cooperativo Indebitamento delle imprese PMI Relazioni di clientela Sud Sviluppo

Le (talvolta) sorprendenti banche del Sud.

Le (talvolta) sorprendenti banche del Sud.

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Il turismo finanziario mi ha portato a trascorrere un fine settimana di lavoro in Puglia, presso la Bcc di Cassano delle Murge (BA), dove per una giornata e mezzo abbiamo parlato di valutazione del merito di credito e di relazioni di clientela.

Come spesso accade andando nel Mezzogiorno, l’esperienza di lavoro diventa facilmente, molto più che altrove, un’avventura umana: e l’aula si è trasformata in un grande cantiere (anche troppo grande, probabilmente, erano 31…) dove, letteralmente, ci si è aiutati a lavorare imparando a leggere la realtà. Che sia un’esperienza non dipende mai solo da te, perché l’esperienza nasce se guardi alla realtà e ti fai interrogare da essa: l’ho fatto io, lo hanno fatto loro, e sono nate due giornate bellissime. Per questo ringrazio l’accoglienza cordiale che ho potuto sperimentare in ognuno dei partecipanti, che spero veramente di poter rivedere presto.

Infine, ma non meno importante, la sensazione che si trae lavorando al Sud, in situazioni apparentemente molto meno facili delle nostre consuete, è che da queste parti abbiano la scorza più dura. Invitati a portare in aula casi aziendali provenienti dalla loro realtà quotidiana, casi che potessero interessare in quanto ricchi di spunti, né tutti bianchi, né tutti neri, casi, insomma, su cui si potesse discutere, hanno portato aziende che, in questo momento, sarei lieto di esaminare come “osservazioni” in molte banche del Nord. Forse sono stati più realisti del re, oppure, a forza di combattere in situazioni non facili, sono diventati più “duri”. Ma credo davvero che, oltre ad essere persone splendide, siano anche molto bravi.

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Banche Crisi finanziaria Educazione Imprese Sviluppo

Perché la musica che mettono in continuazione non mi dice nulla della mia vita (Hang the DJ).

Perché la musica che mettono in continuazione non mi dice nulla della mia vita (Hang the DJ).

Mentre la Guardia di Finanza di Rimini rileva l’irregolarità di quasi il 60% degli scontrini, mentre si discute se sia meglio trivellare per ricercare il petrolio, oppure installare l’eolico in mare (già ora non particolarmente limpido), la locandina di un giornale locale spara la notizia di una “lista civica per rilanciare il turismo“. Il giornale medesimo equivale al Sun, ma con molto meno appeal e, ovviamente, diffusione. Ma la notizia merita un commento, in una città che ha fatto un piano strategico (finito non si sa dove), una molo street parade, una Notte Rosa, una app per i chioschi di piadina ma che non riesce a disegnare il suo futuro, tantomeno per la sua banca principale, la Carim.

Una lista civica per fare cosa? Con quali contenuti? La questione dell’educazione, intesa come valori, come cultura condivisa, come capacità di leggere ed affrontare la vita, come introduzione alla realtà secondo la totalità dei suoi fattori rimane tuttora fuori: così come rimane sempre fuori la domanda sul perché tanta gente venga in Riviera, senza (quasi) mai vedere il mare, con tutto il carico culturale e comportamentale che questo comporta.

La musica che mettono in continuazione non mi dice nulla per la mia vita (hang the DJ).

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Agnelli Disoccupazione Energia, trasporti e infrastrutture Fiat Imprese Indebitamento delle imprese Lavoro PMI Ripresa Sud Sviluppo

Il blocco (mentale) dell’autotrasporto.

Il blocco (mentale) dell’autotrasporto.

Curiosando sulla rete alla ricerca di cifre e di informazioni circa la suddivisione del trasporto merci fra gomma, rotaia etc..mi sono imbattuto solo in articoli datati, come questo, peraltro interessante e ben argomentato. E ho ricordato gli anni ’60 ed il nuovo modello di sviluppo di Ruffolo, quello che voleva togliere l’auto dal centro del mondo per favoleggiare di altro, in anni in cui a Torino si diceva che ciò che era bene per la Fiat era bene anche per l’Italia. Giorgio Ruffolo e gran parte della sinistra sindacale di quei tempi erano se non massimalisti, spesso solo velleitari, scollegati dalla realtà come solo il PdL di adesso sa fare, ma forse qualcosa di quello che dicevano si potrebbe recuperare. Provo a capirci qualcosa guardando i numeri e scopro che:

  1. i trasporti su rotaia non sono convenienti per le distanze entro 1000 km (ovvero mai in Italia);
  2. per rendere convenienti i trasporti su rotaia bisogna investire sulla medesima, come hanno fatto i francesi ed i tedeschi (hai visto mai?);
  3. l’Italia NON ha investito sulla rotaia, come prova lo schifoso viaggio che ho fatto ieri mattina, dismettendo stazioni e tratte che non erano convenienti, in una logica molto privatistica, tranne che per le relazioni sindacali (consiglio a Stella e Rizzo di andare a curiosare nei dopolavoro ferroviari, per esempio);
  4. dunque i camionisti, o camionari, come dicono in Veneto, godono di una rendita di posizione, mi spiace dirlo, ma è così, insidiata solo dalla concorrenza dell’Est (benedetta UE, almeno a qualcosa serve); un camionista bulgaro costa un terzo di uno italiano, 15mila euro del primo contro 45mila del secondo;
  5. nonostante la rendita, gli sgravi fiscali e le molte altre agevolazioni, i camionisti non ce la fanno, o perlomeno, molti di loro; d’altra parte se basta un aumento del prezzo delle materie prime ad azzerare i margini, significa che già erano bassi.

Fin qui le “scoperte” dell’acqua calda. Dalle scoperte alle conclusioni.

La prima: forse non è un business conveniente? Forse a certe dimensioni non lo è mai stato, se è vero che tanti bilanci visti personalmente di aziende di autotrasporto, in molti e molti anni, recavano l’utile solo grazie alle plusvalenze per la cessione degli autocarri riscattati in leasing, inquinando la redditività operativa con ricavi extracaratteristici. Il buon senso, prima ancora della logica economica, imporrebbero di essere coscienti che chi ha margini modesti non può giocare con la finanza (inevitabile pensare a quante aziende di autotrasporto hanno debiti che non pagheranno mai perché non dovevano farli, non potevano permetterseli), ovvero che queste aziende se faticano a pagare i dipendenti, tanto più non possono farlo a debito.

La seconda: gli investimenti in infrastrutture, compreso il Ponte sullo Stretto, potevano prefigurare, se fatti per tempo, un nuovo vero modello di sviluppo. Ma non si riesce a fare partire la TAV (a proposito, perché nessun blocco in Val di Susa?), figuriamoci qualsiasi altra iniziativa: in ogni caso, ne godranno i nostri nipoti. Ma sono necessari, meglio farli tardi che non farli mai.

Infine: tagliare le rendite, liberalizzare, privatizzare può servire, può dare risorse, può aiutare questo gigantesco processo di riconversione delle infrastrutture, senza farci precipitare nella sindrome cilena (ma Mario Monti in elmetto e mitra a Palazzo Chigi non ce lo vedo). Ma deve essere guidato, sorretto da idee e da un progetto. Si cercano idee forti per la politica, mentre questa ha abdicato a se stessa. Buon lavoro a tutti.

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Crisi finanziaria Energia, trasporti e infrastrutture Imprese Ricchezza Ripresa Sviluppo

Libere tariffe per liberi clienti.

Libere tariffe per liberi clienti.

Dunque ci siamo, il Governo ha reso noto il testo del decreto sulle liberalizzazioni. A parte i taxi, che dovrei prendere il 23 sera a Palermo (ci sarà un bell’abusivo ad aspettarmi?) mi colpisce l’abolizione di tutte le tariffe, minime, massime ed anche intermedie. Fine, ci vogliono preventivi accettati, senza preventivi si viola la deontologia, ergo sanzioni etc…

Tutto bene dunque? Sono stato -sono ancora, anche se non faccio più nulla o quasi di quanto facevo 20 anni fa- dottore commercialista e ricordo bene le tariffe in vigore all’epoca; mi ricordo come le guardassi spesso, quasi fidando di riuscire di trarre da esse conforto e giovamento per un lavoro che avevo iniziato facendo lo studio in cucina. Guardavo le tariffe e moltiplicavo quello che c’era scritto per i lavori che avrei potuto fare o che stavo facendo e per i quali, in verità, non sapevo cosa chiedere. Capii in fretta a cosa servivano le tariffe: quasi a nulla. Si applicavano ai lavori fatti per la legge, ai lavori per il tribunale, alle perizie, ai fallimenti. Oltre che ai collegi sindacali (e chi ti dava un bel collegio sindacale a 25 anni?) ed a poco altro, tutto il resto era già, un quarto di secolo fa, contrattato preventivamente. E c’erano già, un quarto di secolo fa, gli abusivi; mai impuniti più impuniti di questi, a parte forse i parcheggiatori napoletani, hanno calcato le scene italiane.

E’ cambiato qualcosa da allora? A partire dal 1993, l’anno del modello 740 “lunare” così definito dal molto dimenticabile presidente Scalfaro, io ho smesso di fare il commercialista e mi sono occupato solo di banche ed imprese, o quasi. Ma non ho smesso di guardare quanto accadeva in quel pianeta che un tempo era anche il mio; notando che le cose si complicavano sempre di più, che occorreva studiare, esaminare, approfondire in continuazione l’alluvione normativa nel frattempo intervenuta.

So, what? A cosa serve liberalizzare le tariffe? Probabilmente a fischiare l’inizio di una rissa furibonda ai piani bassi del mercato, già affollato da associazioni di categoria, consulenti del lavoro ed amministratori di condominio. Quanto ai piani alti, nessun imprenditore serio cercherà il commercialista in funzione della tariffa, non per le pratiche importanti, non per i lavori che necessitano di intelligenza, esperienza, preparazione: e nessun commercialista accetterà di fare lavori di responsabilità senza adeguata ricompensa (cfr.la liberalizzazione da burla del precedente governo sui collegi sindacali). Tutto questo alzerà il PIL? Ne dubito, così come lo dubito per i taxi (se lo è chiesto anche Pierluigi Battista).

Quanto ai taxi, questa è bellissima

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PIL Ripresa Stato Sviluppo

Licenze taxi come “polizze”: polizze?

Licenze taxi come “polizze”: polizze?

MILANO – Suona il citofono. Le sette di sera. Appartamento (comprato negli anni Cinquanta e poi lasciato dai genitori) in corso Lodi (una lunga direttrice tra centro e periferia) di Giovanni Maggiolo, 47 anni, tassista e ormai sindacalista a tempo pieno (Cgil) dei tassisti.
Per curiosità, chi era al citofono?
«Un collega. Stiamo andando a una trasmissione a Telenova. Ha 49 anni. Ha perso il lavoro. Allora, alla sua età, si è indebitato con gli anziani genitori per comprarsi una licenza da tassista. E ora liberalizzano. La licenza è la sua assicurazione sulla vita: che farà?».

Fin qui un brano dall’articolo di Andrea Galli, sul Corriere.it di oggi. L’intervista procede con la difesa, ovvia, viste le cifre, del sindacalista, e paragoni con il resto d’Europa. C’è qualcosa di marcio nel regno di taximarca, direbbe Shakespeare: c’è qualcosa che assomiglia molto ad una bolla, non ad una polizza, che determina rendite che non possono venire meno, pena la perdita di un capitale investito, appunto, in una licenza. Quello stesso meccanismo per cui, mi si raccontava qualche tempo fa a Firenze, i bar in quella città vengono comprati e pagati con le cambiali, i taxi con denaro sonante ed in nero. E’ quantomeno da dubitare che, eliminato il meccanismo della rendita, liberalizzando le licenze, il prezzo non scenda: perché da parte del tassista non si dovrebbe procedere all’ammortamento ed al recupero del costo della licenza. Il ragionamento potrebbe essere ripetuto per bagnini, farmacisti e notai (in Portogallo i notai sono pubblici ed estremamente economici: in Francia i notai sono avvocati, pagati il giusto, sicuramente meno che in Italia), a tacer del resto, ovvero commercialisti, avvocati etc… Il problema è che quando vuoi tagliare un rendita c’è sempre qualcuno che ha la rendita più rendita della tua. Nell’intervista citata sopra, il sindacalista, infatti, cita i farmacisti, che a loro volta citeranno i tassisti e così via. Ma chiunque capisce da solo che riporre in una licenza il concetto di polizza, ovvero di capitale accumulato, ha qualcosa di malato e di sbagliato in sè. Tanti auguri al ministro Passera.

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Mercato Stato Sviluppo welfare

Già, cos’altro vogliono?

Già, cos’altro vogliono?

La manovra Monti cancella con un tratto di penna le conquiste dei sessantottini. Chi è nato dopo il 1952 lavorerà di più e percepirà prestazioni ridotte (anche se su standard europei). Viene messo in discussione anche il privilegio concesso ai lavoratori autonomi di riscuotere l’assegno senza aver versato i contributi. Prossima tappa, la “mobilità in uscita”, alias licenziamenti. Insomma, il vecchio contratto sociale non esiste più. Un nuovo patto è tutto da scrivere e sarà il tema della nuova legislatura. Niente del genere è stato fatto, in così poco tempo e in così vaste proporzioni, in Germania, in Francia o in Spagna. Cos’altro vogliono i mercati, specialmente in uno scenario di basso sviluppo in tutto il mondo?

Stefano Cingolani Il Foglio, 28 dicembre 2012

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Banche PIL Sviluppo

Classifiche (Rimini prima per divertimenti, “solo” seconda per mafia).

Classifiche (Rimini prima per divertimenti, “solo” seconda per mafia).

Il solerte Resto del Carlino, dopo averci ammannito i primati di Rimini su Forlì quanto al divertimento (senza, ovviamente, essersi posto qualche problemino sul perché: ma è in buona compagnia) riflette all’improvviso sul secondo posto conquistato per infiltrazioni mafiose e riciclaggio. Riflette è una parola grossa: prende nota, è una notizia che non si può bucare, ma che non si può commentare. Guai a turbare la coscienza civica della città cosmopolita, internazionale, divertente: meglio parlare dello stalinismo dell’amministrazione, che sancisce il blocco del cemento, grazie a Dio. Con giornali del genere, con lettori del genere, certi primati si meritano: tutti.

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Crisi finanziaria Giulio Tremonti Ricchezza Sviluppo welfare

Un deplorabile iniziamento di socialismo in tutta l’amministrazione.

Un deplorabile iniziamento di socialismo in tutta l’amministrazione.

Questa materia, già lo sapete, è la ricchezza ossia gli averi del cittadino: dal quale l’autorità può chiederne quel tanto che ciascuno è obbligato a contribuire per bene comune. Or rispetto a questo, per primo corollario ne scende, non doversi chiedere ai sudditi se, non la contribuzione veramente necessaria al bene comune. Il che veniva espressamente dichiarato nell’assemblea del Corpo legislativo di Francia dal Ministro Magne: ma non sappiamo quanto fedelmente si osservi nei governi condotti secondo le teoria degli economisti moderni. In quelli veggiamo crescere ogni anno, smodatamamente le gravezze; e tanto più chiedersi, quanto più si è già ottenuto. Alle quali imposte se altri pretenda far argine, si sente rispondere non esser tocco finora, l’ultimo limite dell’imponibile: quasi il governo avesse il diritto a pigliarsi tutto ciò che al suddito non è strettamente necessario per mantenersi in istato. No, dicea quel Ministro nella tornata dei 18 Marzo 1861: il governo non dee domandare al paese se non i sacrifizii assolutamente necessari. Se la roba dei sudditi, come abbiam detto, non è roba dei governanti; se questi non hanno altro titolo per riscuoterne gravezze, se non l’obbligo che hanno i sudditi di cooperare al bene pubblico, e, l’impotenza di provvedervi senza tali riscossioni; procedere così coraggiosamente sino all’ultimo limite dell’imponibile, egli è un aver dimenticato la legge fondamentale in questa materia, ed è un deplorabile iniziamento di socialismo in tutta l’amministrazione.

p. L. Taparelli d’Azeglio S.J., La Civiltà Cattolica, 1860.

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Alessandro Berti Banche Crisi finanziaria Disoccupazione Imprese PMI Sviluppo

Intervista a JM.

Intervista a JM.

1) L’attuale crisi economico-finanziaria globale e nazionale, rende evidenti una mancanza di capacità di azione da parte di politica e istituzioni ma anche una mancanza culturale che riguarda tutti, a partire dal cittadino della strada. Mancanza di senso del sacrificio ecc. Qual e’ il suo giudizio su questo?

Ritengo che proprio le recenti manifestazioni dei cosiddetti “indignados” mostrino tutto il limite di una posizione personale (e collettiva) incentrata solo sul lamento e sulla pretesa: lamento circa i colpevoli, pretesa che altri risolvano, ma sempre al di fuori di un coinvolgimento e di una responsabilità personali. Gli ultimi anni raccontano in effetti proprio la mancanza di senso del sacrificio, per esempio nel campo dell’impresa come in quello del risparmio: è significativo che le imprese, concertando con il sindacato, abbiano svuotato di significato la manovra governativa sulla flessibilità, mancando ad un’assunzione di responsabilità che solo Marchionne ha mostrato di saper portare; così come fa riflettere che in tema di risparmio siamo tuttora fermi da un lato alla protezione de-responsabilizzante delle direttive europee, dall’altro alla detenzione pura e semplice di liquidità. In effetti, come lei ha affermato, il problema è culturale, ovvero di posizione personale.

2) Guardando al quadro locale riminese e romagnolo, c’e’ qualcosa che dovrebbero fare secondo lei gli enti locali, le organizzazioni di categoria ecc. per la ripresa dello sviluppo, oppure siamo dentro un vortice in cui non possiamo decidere niente?

Non parlerei di vortice, rischiamo di ricadere nel giudizio di cui sopra, ovvero che nulla dipende da noi e che non si può fare altro, in finale, che lamentarsi. Il problema della ripresa e dello sviluppo, ormai a questo punto è abbastanza chiaro, non è un problema finanziario (le difficoltà finanziarie sono una conseguenza di difficoltà che nascono prima), ma di voglia di rischiare, di intraprendere, di non lasciarsi risucchiare nel pessimismo: purtroppo, come accaduto anche all’inizio della crisi, fra il 2007 ed il 2008, molte imprese hanno chiuso per evitare il “passaggio” della crisi. Passaggio impegnativo, perché richiede a chi fa impresa di ripensare alla propria formula competitiva, a come stare sul mercato, alla qualità e, soprattutto, agli investimenti. In Romagna, e in particolare nel Riminese, la bolla immobiliare esemplifica, purtroppo con grande chiarezza, l’idea di investimenti che ha dominato molti imprenditori: compriamo un capannone, costruiamo un condominio, tanto gli immobili si rivalutano sempre. Il guaio è che molte banche li hanno assecondati, le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

3) Come giudica la crisi che ha interessato la Carim? Quali sono secondo lei le cause che hanno portato al commissariamento e obbligano alla ricapitalizzazione? Il problema-Cis, gli impieghi sbilanciati al 60% sull’edilizia, gli affidamenti sbagliati (come il caso-Merloni), la gestione troppo dipendente dalla politica, o cos’altro?

Ho seguito la crisi della Carim per l’ovvio interesse che la vicenda riveste per un addetto ai lavori ma senza coinvolgimento diretto. Giudico la crisi doppiamente grave, sia perché si tratta della principale banca del nostro territorio, sia perché per dimensioni, storia e tradizione è un interlocutore insostituibile per il tessuto sociale e produttivo. Quanto alle cause, mi sentirei di escludere, in tutta franchezza, il problema-Cis: le dimensioni della controllata sanmarinese erano e solo tali da non poter provocare da sole le perdite poi verificatesi nel bilancio di Piazza Ferrari, a tacer del fatto che per lungo tempo gli organi amministrativi dell’una hanno di fatto coinciso con quelli dell’altra. Mi pare piuttosto che la gestione abbia mostrato i limiti strategici e culturali di una visione assai miope dell’intermediazione bancaria, protesa all’assunzione di rischi eccessivi, in funzione di una dimensione forse troppo ampia per le stesse ambizioni del management che l’ha perseguita: d’altra parte lo sviluppo del territorio non passa dall’assecondare la rendita immobiliare e la Carim in questo, purtroppo, non è stata sola, in Romagna e fuori. Gli affidamenti sbagliati sono solo la conseguenza di una politica tesa allo sviluppo dimensionale fine a se stesso e dell’approssimazione di dirigenti che, di fatto, riferivano solo a sé stessi. Sotto questo profilo non parlerei di ingerenze politiche, ma di vera e propria carenza di indirizzo e di strategia, anzitutto da parte dell’azionista di maggioranza, le cui scelte, anzitutto a livello di Consiglio di Amministrazione, hanno mostrato i limiti che sono sotto gli occhi di tutti.

4) Quanto al futuro, sembra che si stiano scontrando due impostazioni, quella favorita da Bankitalia che mette al primo posto la solidità bancaria, e quella del sistema-Rimini che privilegia l’autonomia territoriale: lei da che parte sta?

Non faccio il tifo per nessuno, ammesso che sia in corso una partita e che ci sia da sostenere una compagine. Credo piuttosto che il senso di responsabilità, oltre che una lunga e consolidata tradizione di studi in materia di stabilità finanziaria, indichino nella tutela del risparmio il riferimento ultimo dell’azione del regolatore e del vigilatore. In tal senso Bankitalia, attenta in questo periodo soprattutto al rischio micro-sistemico, non può che privilegiare la solidità della banca, anche se questa dovesse essere assicurata da etichette “straniere” nell’azionariato. Il sistema-Rimini, del resto, che non è esente da colpe nella crisi della principale banca del territorio, avrebbe il buon diritto di rivendicare l’autonomia territoriale della Carim solo se fosse in grado di catalizzare risorse finanziarie adeguate per la ricapitalizzazione. Da ultimo, mi lasci dire che se le risorse finanziarie sono fondamentali, altrettanta importanza la rivestono la qualità del management e le strategie per il territorio: fattori, questi ultimi, che certamente sono mancati nella storia recente della Banca.

Intervista di Paolo Facciotto, La Voce di Rimini, 27 ottobre 2011