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Buongiorno prof (sulle teorie e altre storie)

Buongiorno Prof,

Probabilmente penso troppo, ma non mi do pace quando ho in mente degli interrogativi che riguardano il senso di ciò che facciamo.

Ho letto il paper del Servizio Studi della Consob e, a parte confermare tutta l’importanza della cultura finanziaria come contrappeso alle regole ridondanti, mi ha destinato le seguenti riflessioni. Nel processo decisionale, circa la scelta di un investimento, un individuo mediamente consapevole delle proprie azioni pensa: “conosco gli strumenti, li so usare in modo appropriato, conosco il funzionamento del mercato, la “formula magica” da applicare ce l’ho presente, sto attento ad altre cose “di contorno” (come l’inflazione) e, se considero che ho messo a sistema tutto ciò con le mie esigenze, con le mie preferenze, dovrei essere in una botte di ferro”.

Quello, però, di cui un risparmiatore comune non si rende conto quando compie queste scelte è la componente irrazionale, in cui rientrano l’esperienza, la sensibilità personale, la memoria, la reazione agli eventi, le abitudini, le evocazioni, i racconti, le mode, le influenze, lo stato emotivo “puntuale”. Questi sono elementi strettamente legati al soggetto di riferimento, quindi estremamente variabili.

Tutto ciò che una persona ignora la porta a pensare di compiere una scelta esatta e consapevole. Apparentemente lo è ma ci sono un sacco di questioni sulle quali un soggetto non riflette, cose che spesso sa ma a cui non pensa, o pensa solo quando ormai è troppo tardi. Ed è proprio lì che un uomo si sente piccolo, piccolo e si rende conto da quanti limiti è composta la natura umana.

Chissà se la stessa N. Linciano tiene presente tutte quelle variabili ogni volta che decide?

Allora mi chiedo: qual è la ratio delle teorie finanziarie classiche? Quali risultati si possono ottenere applicando modelli alieni alla realtà? Come possono funzionare formule che “numericamente tornano”, ma che ignorano totalmente la veridicità delle ipotesi su cui si fondano?

Alcuni dicono che la cosa importante è il messaggio che queste teorie lasciano, poi il resto va letto come un’annotazione, come qualcosa di trascurabile.

Ma allora che differenza c’è tra le teorie finanziarie e le favole che si raccontano ai bambini? In fondo entrambe danno un messaggio anche se, in realtà, si sa benissimo che le condizioni sono ben diverse nella vita vera.

Che differenza c’è tra Modigliani (o Miller) e Gianni Rodari?

Perché vale la pena studiare queste teorie se poi non corrispondono alla verità?

Questa è una domanda a cui noi studenti non sappiamo rispondere. Un dubbio che porta ad allontanarti dallo studio di certe materie, proprio perché non ne vedi l’utilità e ti senti come se chi sta spiegando quelle teorie voglia farti il lavaggio del cervello.

(…)

Ci rendiamo conto che le tasse ci saranno sempre, che le informazioni non sono gratuite e disponibili a tutti nelle stessa misura, e via dicendo.

(…)

un mio amico ha scelto la magistrale con curriculum “manageriale” (venendo da una laurea triennale in economia e commercio) anziché continuare con “mercati finanziari” proprio perché “non ne poteva più di studiare materie astruse e irreali”.

I direttori delle banche, invece, che di errori nelle scelte di investimento dei loro clienti se ne intendono, ai neoassunti non laureati assegnano “strani” libri da leggere, più relativi alla psicologia e al marketing che all’economia e alla finanza.

Ho chiesto ad un ragazzo che lavora in banca da 9 anni se avesse presente una certa nozione relativa al CAPM e lui mi ha risposto dicendo che quelle robe lì sono faccende che, se si vuole, si possono approfondire da sé, ma che in realtà non servono. Loro leggono altro.

Non voglio dire che i risparmiatori sono giustificati quando compiono scelte sbagliate. L’educazione è fondamentale. Però mi chiedo: cosa dovremmo veramente sapere?

Grazie, buon lavoro.

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