Proviamo a tornare sulla questione dell’educazione finanziaria, provando ad individuare, per le nostre banche, i problemi sul tappeto e le possibili soluzioni.
Dapprima una constatazione quantitativa e, apparentemente, paradossale. Così come nella fase immediatamente precedente l’introduzione dell’euro, così anche in questo momento storico il portafoglio dei risparmiatori italiani si caratterizza per un elevatissimo ammontare di liquidità: così come avvenuto un decennio fa, si assiste ad un vistoso scollamento fra comportamenti effettivi e comportamenti razionali, offerta bancaria e dell’industria del risparmio gestito. Da inizio anno la raccolta netta degli OICR ha registrato un segno pesantemente negativo (cfr.dati Assoreti) con una maggiore incidenza per fondi azionari ed obbligazionari. Fanno eccezione i soli fondi di liquidità, che mostrano un segno positivo. Molti ricorderanno che, alla vigilia dell’entrata in vigore dell’euro i risparmiatori, orfani dei titoli di Stato, furono dirottati sui fondi di liquidità: ovvero, venne loro proposto (e, a quanto pare, viene tuttora) di pagare commissioni per fare comprare da altri ciò che prima compravano da soli (!).
È singolare annotare che, così come dieci anni fa sarebbe stato intelligente –se non per tutti i risparmiatori, ovviamente, almeno per alcuni- ricomporre il proprio portafoglio, almeno in parte, a favore del mercato azionario, anche ora nessun rilievo venga fatto rispetto, ed è solo un esempio, alla convenienza di acquistare azioni o altri strumenti finanziari denominati in dollari.
Sono dati che fanno riflettere: in un Paese dove la propensione all’acquisto della casa non conosce soste, la sola proposta che viene fatta al potenziale acquirente è quella di sottoscrivere un mutuo, non quella, per esempio, di scegliere un piano di accumulo azionario che consenta una significativa crescita del capitale investito nel tempo, per il quale, va detto, occorre una pazienza nell’orizzonte di investimento che certamente non fa parte del bagaglio cultural-finanziario della maggior parte della popolazione.
C’è un altro risvolto importante da esaminare: la tendenza del risparmiatore, quando non è la banca a scegliere al suo posto, a fare da solo, incoraggiato in questo da piattaforme sempre più sofisticate di trading on line e, da ultimo, dalla stessa CONSOB che sta studiando la possibilità di dematerializzare e perciò quotare i fondi comuni di investimento, destinandoli, fra l’altro, proprio al trading on line. La stessa Direttiva MiFID, ponendo, fra le altre cose, al centro della sua ristrutturazione regolamentare la possibilità, nell’interesse del risparmiatore, di accedere ad un numero sempre maggiore e più competitivo di mercati, si preoccupa unicamente dei costi dell’investimento, come se questo fosse l’unico o il principale problema.
A che serve dare la possibilità di acquistare strumenti finanziari on-line se tale acquisto avviene in maniera inconsapevole? La relazione 2005 della CONSOB mostrava coscienza di tale problema laddove evidenziava che “(..) anche i principi introdotti con le nuove direttive spingono verso un modello di mercato più aperto e per alcuni versi meno protetto; mercato nel quale chi investe deve essere dotato di un alto livello di consapevolezza dei rischi assunti e dei diritti acquisiti. Tale consapevolezza (..) è meno insita nel sistema italiano, nel quale i risparmiatori privilegiano ancora l’acquisto diretto di strumenti finanziari.”
Non è questa la sede per ricordare l’ampia letteratura sul tema del rischio di overconfidence legato al trading on line (cfr.al riguardo i numerosi contributi dei due noti studiosi californiani Barber & Odean): ma pare evidente che il principale problema dei risparmiatori italiani non può essere quello di poter compiere scelte errate più in fretta e con un minor carico di commissioni e altri costi. Si rammenta che, a seguito dell’avvento della MiFID, la tutela del risparmiatore nella modalità trading on line ed execution only è nulla, poiché il rischio resta a totale carico del risparmiatore. Il trading on-line non è, a ben riflettere, un servizio coerente con il lavoro di banche attente alle esigenze delle famiglie risparmiatrici anche se, a suo tempo, si è rivelata un’eccellente killer-application.
Per quanto detto, la normativa a tutela del risparmiatore, certamente rafforzata dall’entrata in vigore della MiFID, lascia tuttavia scoperto quello che, a mio parere, è il vero punto della questione, ovvero l’educazione finanziaria dei risparmiatori. Il punto non è la formazione, ma l’educazione.
Se da un lato appare ingenuo immaginare che di tale educazione debba farsi carico solo lo Stato, anche se è evidente l’utilità di inserire tale materia fra gli argomenti di insegnamento nelle scuole, sarebbe altrettanto velleitario immaginare che l’argomento possa essere portato avanti dal sistema bancario principale, alle prese sia con l’esigenza di creazione di valore per gli azionisti (il mercato del credito è rappresentato per oltre l’80% da banche quotate in Borsa), sia con la necessità di non far venir mai meno il canale della raccolta diretta, argomento in verità scottante, soprattutto in una fase come questa di sostanziale stabilità dei tassi, ovvero dei prezzi, delle banche stesse.
Non è immaginabile, peraltro, un riferimento tout court a Paesi finanziariamente più evoluti, dal momento che, come si è visto, anche in tali contesti si verificano i deficit descritti.
Diventa naturale, in prospettiva, il riferimento necessario alle figure professionali di chi, dentro alle banche locali e nelle reti, si occupa di risparmio: è auspicabile che l’opera di questi soggetti possa rappresentare, unitamente alla maggiore competitività che l’entrata in vigore della MiFID porta con sé ed all’inserimento dell’educazione finanziaria nelle materie di studio, una possibile soluzione o, più correttamente, un insieme di pre-condizioni più favorevoli all’evoluzione ed alla maturazione più consapevoli dei comportamenti del risparmiatore italiano.
La presenza della banca locale rappresenta un elemento insostituibile, nel panorama italiano, per consentire al risparmiatore di fruire di una consulenza che consenta scelte non appena consapevoli, ma soprattutto coerenti rispetto alla combinazione rischio-rendimento ed agli obiettivi dell’investitore. Lo stesso si può dire del lavoro dei promotori finanziari. Un’intensa attività di avvicinamento ed educazione della clientela, da svolgere non soltanto nei momenti di maggiore crescita dei mercati azionari ma anche e soprattutto in quelli meno favorevoli, non potrà che favorire scelte meditate, con una prospettiva di medio-lungo termine, unitamente a relazioni commerciali improntate ad una corretta valutazione temporale delle performances ottenute.
La spinta competitiva derivata da tale attività non potrà che avere effetti benefici in un mercato del risparmio dove l’entrata in vigore della MiFID se, per il momento, “ingessa” i comportamenti dei principali intermediari creditizi, alla lunga non potrà che generare la ricerca di relazioni più solide con la clientela, improntate ad una maggiore trasparenza, informazione e, appunto, diffusione della cultura finanziaria. Clienti più consapevoli sono, infatti, non solo risparmiatori più in grado di discernere l’effettiva qualità delle performances dei prodotti sottoscritti ma, soprattutto, investitori finalmente svincolati dalle sole logiche di breve termine nella relazione con gli intermediari (Fine).