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Sono invecchiato aspettando Godot.

Sono invecchiato aspettando Godot.

Autostrada, GR1 delle 8, ascoltando le notizie provenienti dalla Renania Westfalia come se fosse Radio Londra che annuncia che gli Alleati sono sbarcati in Normandia. Poi, rassicurando me stesso interiormente che la signora ed il suo moralismo luterano continuano a starmi fortemente antipatici, rifletto su quanto sto ascoltando e sulle diverse interpretazioni: soprattutto rifletto sull’uso della parola crescita e sulla necessità di provvedervi immantinente (in proposito ascoltare gli onorevoli Di Pietro, Lupi o Gasparri che invocano la crescita è come ascoltare la rassegna stampa della Pravda di Radio Soviet, tanto monotòni sono certi politici nell’enunciazione dei concetti) che viene gridata da chiunque.

Ma la crescita non è compito di qualcuno che non lo fa, e che è cattivo, mentre qualcuno, che è buono, obviously, vorrebbe ma non può: altrimenti si ricade nella logica perversa dei manifesti CNA. Se qualcuno può fare qualcosa lo può fare a livello di cornice, di quadro, di sistema; ma nessuno può dipingere al mio posto, quello devo farlo io. Una delle cose sulle quali insisto di più nella parte iniziale del corso di bancaria è che le banche non sono il motore dello sviluppo, al più ne possono essere le levatrici. Non so quanto sia casuale, ma negli ultimi giorni ho ripensato a quelli che, nel 2007, alle prime avvisaglie della crisi, avevano ben pensato di chiudere, per non saper né leggere, né scrivere; non ricordo, all’epoca, alcuna campagna di stampa, nessun giornalista sulle tracce di questi eroi dell’imprenditoria, nessun manifesto. Non hanno aspettatto Godot, qualunque faccia avesse, ed hanno chiuso: e forse, forse, hanno fatto bene, perché in qualche caso hanno evitato guai peggiori successivi, dissesti, buchi nei bilanci delle banche. Qualcosa hanno fatto. Non sapremo mai perché lo hanno fatto, quanto fossero consapevoli, ma lo hanno fatto. Mi accontenterei, per il momento, che le Pmi almeno prendessero coscienza di dove si trova la loro barca, avessero idea della dimensione dei loro problemi.

Quegli stessi imprenditori che, se ora non vogliono sentirsi dire che il ciclo monetario è un problema, già allora, nel 2007, avevano incominciato a non aprire neppure l’estratto conto bancario.

“…ed anche la notte di nozze però, io non feci nulla, aspettavo Godot.” (Paolo Lolli)

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Banche BCE Germania Goldman Sachs Mario Draghi

Non rovinate tutto.

Non rovinate tutto.

L’idea più contenuta che la Bce potrebbe imporre un “tetto” al rendimento di alcune obbligazioni sovrane attraverso l’acquisto risulta anch’essa problematica, perché potrebbe distorcere i mercati dei capitali. Non ricordo un esempio recente di una banca centrale che abbia stabilito artificialmente un limite per il rendimento di beni scambiati liberamente (la Svizzera ha effettivamente promesso di frenare la crescita della propria valuta, ma si trattava più di una minaccia che di un tetto solido). E risulta difficile capire perché gli investitori dovrebbero volere acquistare titoli il cui rendimento viene bloccato dalle autorità monetarie. La realtà è che gli investitori non faranno seriamente ritorno ai titoli e alle obbligazioni europee fino a quando non saranno convinti che l’euro non esploderà. Ora che si accinge a partecipare a incontri di importanza cruciale, presidente Draghi, mi pare opportuno ricordare a lei e ai suoi colleghi un’esortazione spesso rivolta a coloro che entrano a far parte di Goldman Sachs, la sua alma mater: “Non rovinate tutto”.
Francesco Guerrera

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BCE bisogni Crisi finanziaria Economisti fiducia

Scheletri contadini ed antropologia.

Scheletri contadini ed antropologia.

Di fronte dunque al rischio di morire tutti francofortesi il Censis ci consiglia vivamente di riscoprire le radici, di valorizzare il legame del nostro sviluppo con la tradizione fino a rimettere in circolo i valori fondanti della civiltà contadina, giudicata “la più coerente con la nostra attuale innegabile fatica di vivere, di adattarsi alla crisi, di cercare di andare oltre la brutta stagione”. Per dirla tutta, De Rita pensa che il modo (vacuo e banale) con il quale abbiamo importato “l’agiatezza e la modernità occidentali”, proprio perché superficiale, non abbia saputo incidere sul carattere di fondo della nostra società che, chiamata in questi mesi a lottare per sopravvivere, deve far leva innanzitutto sul suo “scheletro contadino”. Uno schema che boccia clamorosamente la modernizzazione italiana e quelle élite cosmopolite che si sono impegnate a costruirla.

Giuseppe De Rita, CENSIS

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Capitalismo Crisi finanziaria Felicità fiducia Germania

Hai una ragione per vivere (you get what you give).

Hai una ragione per vivere (you get what you give).

Hai la musica nell’anima, non lasciarla andare
Hai la musica nell’anima, c’è ancora qualche ballo
questo mondo sopravviverà, non cedere
hai una ragione per vivere
non possiamo dimenticare
abbiamo solo quello che meritiamo.

New Radicals You get what you give

 

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Banche BCE Crisi finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Giulio Tremonti Imprese Indebitamento delle imprese PMI Relazioni di clientela Silvio Berlusconi

Le imprese subprime e le conseguenze economiche dello spread.

Le imprese subprime e le conseguenze economiche dello spread.

Foto di Franco Monari

Mentre la stupefacente Angela Merkel loda le riforme italiane, non rendendosi conto che Monti non ha ancora fatto nulla, così come il suo predecessore Silvio Berlusconi, stupisce l’assenza dal dibattito della vera questione che turba (o dovrebbe turbare) i sonni dei banchieri: quella che riguarda la qualità del credito verso le imprese, ovvero i cosiddetti impieghi economici (mentre i titoli di Stato sono impieghi finanziari). Oggi, durante un seminario, mi è stato chiesto da un funzionario addetto ai fidi di una “banca del territorio” quali parole dovesse usare per spiegare ad un imprenditore che deve chiudere, quali fossero gli argomenti da usare, quali i termini per convincerlo ad abbandonare la partita. Non era un discorso fatto tanto per passare il tempo, era serio; ed io altrettanto seriamente ho cercato di rispondere, spiegando ciò che ultimamente mi pare essere sempre di più l’acqua calda, ovvero i fondamentali che dicono se un’impresa sta in piedi e perché. La riflessione, amara, che rimane dalla giornata di oggi riguarda l’incapacità, persino per la banca di relazione, di rapportarsi seriamente fino in fondo con i propri clienti: non per incapacità, non per difetto di competenza. Letteralmente, per inesperienza. Non riescono a pensare se non ad una relazione che va sempre bene, che non ha problemi e che, se li ha, li ignora (come con le operazioni di consolidamento e con la moratoria). Quanto alle imprese, il panorama è ancora più desolante, tanto più riflettendo a quello che accadrà a breve quanto gli effetti dello spread si ripercuoteranno sui tassi attivi praticati alle Pmi. Non è difficile immaginare che si leverà alto il lamento delle Pmi, vessate dal sistema bancario: quello stesso sistema, incapace di aiutare le imprese a comprendere l’importanza del capitale di rischio quando ancora si poteva fare qualcosa. Adesso, forse, non resta davvero che usare la scure.

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BCE Crisi finanziaria Germania

35% (Verbreitung).

35% (Verbreitung).

Col traduttore (tutto ciò che so di tedesco è Rummenigge, Matthaeus, Brehme), 35% di spread, ovvero di Bund non acquistati. Come dice il Foglio, anche i bund nel loro piccolo si incazzano. La notizia forse non è del tutto negativa: potrebbe spronare qualcuno a Berlino al realismo, a lasciare libera la BCE di comportarsi come una vera e propria banca centrale e non come la caricatura che ne ha fatto la Bundesbank. In ogni caso, alla fine di questa giornata, restano due domande inevase: quei 35 miliardi che mancano chi se li compra dalla Bundesbank, che li ha comprati al posto dei mercati? quando è la prossima asta del tesoro francese?

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Banche BCE Crisi finanziaria Germania Mario Draghi

Stampa Mario, stampa.

Stampa Mario, stampa.

Le notizie dalla Grecia, con le dissennate dichiarazioni di Papandreou, che mostra di non avere neppure il coraggio di proporre una medicina, chiedendo al contrario ai Greci se preferiscono le caramelle alla chemioterapia, mostrano che le questioni della crisi non riguardano appena i tecnici o chi governa, bene o male che lo faccia. Riguardano la cultura e gli stili di vita, il modo di concepire se ed il lavoro, la fatica ed il sacrificio, il risparmio e il futuro. Che Dio aiuti la Grecia nella sua decrescita (in)sostenibile: ho ancora delle dracme da qualche parte, verranno buone.

Mentre Atene brucia, la posizione assunta nelle ultime ore dal Direttorio che così egregiamente governa sui destini dell’Unione Europea mostra la miopia di una posizione che, fino all’ultimo, ha tentato di circoscrivere il problema ad una questione morale, a partire dal giudizio che il debito è sbagliato e basta (ciò che il Foglio ha definito, con felice espressione, la Luteronomics della signora Merkel). Ora, poiché le banche francesi e tedesche sono piene di titoli greci, da un punto di vista puramente sciovinistico mi verrebbe da chiedere come mai tanta stupidità nella patria di coloro che sorridevano ironicamente dell’incapace di Palazzo Grazioli? A tacer del fatto che resta difficile capire chi terrà indenni i risparmiatori dei due più grandi paesi di Eurolandia dall’haircut che attende i bilanci delle banche presso le quali hanno i loro depositi. La BCE, di fatto, ha già cominciato a stampare moneta, acquistando i titoli di Grecia, Spagna, Italia. Il prossimo passo è stampare direttamente euri, per evitare che tutto il sistema collassi: Mario Draghi comincia dalla tipografia.

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BCE Crisi finanziaria Germania Sviluppo USA welfare

Retorica europeista e inconcludenza renana.

Retorica europeista e inconcludenza renana.

Le proposte avanzate ieri sono suggestive ma poco concrete. Quella di un “governo economico europeo” si riduce a incontri mensili tra gli “Heads”, i capi di Stato e di governo dei 17 che di fatto si riuniscono quasi mensilmente già da tre anni. L’idea di un’autorità tecnica e sopranazionale, come la Commissione, a capo delle scelte comuni è stata respinta.

La “regola d’oro”, cioè la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, è un sostituto purtroppo rozzo della credibilità politica. In questo quadro di salvaguardia delle prerogative nazionali sarà da vedere come verrà realizzata la tassazione delle transazioni finanziarie, un’iniziativa in sé interessante, ma su cui pesano incognite pratiche e forti interessi nazionali.

È sorprendente che un messaggio di generica ambizione sia venuto a poche ore dagli sconfortanti dati sulla stagnazione dei due paesi nel secondo trimestre dell’anno. L’arresto delle economie tedesca e francese è un riflesso della debolezza globale, ma anche dell’interdipendenza dei cicli economici in Europa. Rivela che è forse una finzione separare paesi deboli e paesi forti quando si condivide l’appartenenza alla stessa moneta e, come conseguenza, a una stessa realtà politica. La preoccupata astinenza dei consumatori tedeschi e degli investitori francesi è in parte conseguenza dell’incertezza prodotta dalla crisi nell’euro area. Non a caso la congiuntura è peggiorata in tutti i paesi a tripla A. Quale stabilità di reddito è garantita al contribuente tedesco dal pareggio di bilancio tra qualche anno se da una settimana all’altra può essere chiamato a salvare il governo greco o addirittura quello italiano? Quale rendimento deve avere un investimento in Francia, se il credito delle banche si ferma di colpo e i costi di finanziamento aumentano da un giorno all’altro?

Carlo Bastasin, Il Sole 24 Ore

 

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Banche Bolla immobiliare

4 banche in 2 anni.

Si apprende da Bloomberg che l’Alta Corte Irlandese ha sentenziato che Allied Irish Banks Plc può essere salvata e messa sotto controllo governativo, anche senza l’accordo degli azionisti. La notizia farebbe sorridere se non si sommasse alla triste contabilità dei salvataggi dell’Isola Irlandese, così sgraditi alla signora Merkel, altrettanto probabilmente necessari.

A tutti i palati fini ed ai seguaci della mano invisibile, si chiede un soprassalto di realismo, ponendo la domanda: che altro si poteva fare? Qualcuno è in grado di delimitare durata e portata di una corsa agli sportelli e delle sue conseguenze per i risparmiatori? Al resto del mondo, di qualunque palato, giovi ricordare che per le crisi bancarie, anche in Irlanda, dobbiamo ringraziare gli immobili. Il cui business si chiama real estate, ma che offre, a quanto pare i medesimi problemi, in tutte le lingue.

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Banche Germania Vigilanza bancaria

Il cielo sopra Berlino.

La signora Merkel dev’essere certamente compiaciuta di quanto mostra di saper fare il suo grande Paese: guida la ripresa in Europa, esporta in tutto il mondo la propria tecnologia ed i propri macchinari, mantiene basso il proprio deficit e virtuoso il proprio bilancio dello Stato. Sembra che non ci siano problemi e se ci sono è meglio non parlarne, magari alzando la voce per bacchettare nazioni meno virtuose. Il cielo sopra Berlino, però, non è del tutto sereno. Il Financial Times ha tuttavia nuovamente evidenziato le difficoltà, a fronte dei più stringenti requisiti patrimoniali di Basilea 3, proprio delle Landesbanken, banche regionali, pubbliche a tutti gli effetti, grandi centri di potere. Non sarebbe strano, né può stupire, che la politica, solo perché teutonica, sia priva dei difetti e delle consuete amnesie, che la caratterizzano ovunque nel mondo. Ciò che colpisce dei tedeschi, in questo caso è che siano proprio loro a lamentarsi, per l’eccessivo rigore di Basilea 3, ritenuta troppo penalizzante per banche che lo Stato tedesco ha invece molto aiutato; per esempio con strumenti come le partecipazioni silenziose (iniezioni di capitale pubblico prive di diritto di voto), che la nuova regolamentazione tenderebbe ad escludere dal computo dei requisiti di vigilanza. Alzare la voce con i partners europei, avendo alle spalle un bilancio come quello tedesco, è sicuramente legittimo; lo è un po’ meno se chi alza la voce si rifiuta di vedere l’evidenza ed anzi, urlando più forte, vuole evitare persino che si parli dei propri problemi.