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A cosa serve ricapitalizzare le banche 2 (la vendetta).

A cosa serve ricapitalizzare le banche 2 (la vendetta).

 

 

 

 

 

 

 

Un articolo puntuto di Nicola Porro torna a parlare di Unicredit, della sua perdita di valore in Borsa, della burocrazia eurobancaria che costringe le banche a ricapitalizzare. Non senza la triste constatazione che i soci di Unicredit, poverini, non hanno più denari per ricapitalizzare (per chi avesse bisogno di ripassare chi siano questi derelitti, probabilmente ora in coda alla mensa dei poveri -ma qui a Rimini dai Frati di Santo Spirito non li ho ancora visti- sappia che sono le varie fondazioni bancarie, fra cui quella del vice-presidente Palenzona).

Proviamo a fare un po’ d’ordine, come se fosse la prima lezione del corso di Economia delle aziende di credito, quello che parte fra un mese.

Primo ed elementare: le banche sono tali perché raccolgono denaro presso il pubblico dei depositanti, poi, e solo poi, lo impiegano presso famiglie, imprese etc…E’ nata prima la gallina della raccolta, poi quella degli impieghi.

Secondo, e meno elementare: le banche raccolgono su base fiduciaria denaro del popolo, attività costituzionalmente protetta e garantita. Devono essere regolate e controllate, altrimenti farebbero i pederasti con le terga altrui, come ci ha insegnato il grande ed indimenticato Stefano Ricucci. In altre parole, sarebbe fin troppo facile espandere all’infinito la raccolta per poi rischiarla senza vincoli, tanto i capitali sono di qualcuno che neppure è in grado di controllare.

Terzo (in collaborazione con il corso di Economia degli intermediari finanziaria: sempre io, nella nostra Università piccina picciò): quanto sopra si chiama moral hazard o comportamento opportunistico ed è proprio per evitarlo che alle banche viene richiesto il capitale proprio, al quale commisurare i rischi assunti. Abbastanza elementare, neppure al casinò il banco ti presta soldi se prima non hai dimostrato di averne dei tuoi da spendere.

Quarto, meno elementare: le banche, Unicredit in testa, hanno dimostrato di non sapere commisurare i rischi alla sostenibilità del business. L’espansione ad est di Unicredit, avvenuta a prezzi da capogiro (e potremmo parlare delle follie idiote fatte da MontePaschi per comprare Antonveneta, per poi ri-svenderne gli sportelli causa antitrust) è figlia delle manie di grandezza degli amministratori delegati e della mania di Fazio per la creazione dei campioni nazionali. Che sia avvenuta senza risorse vere, è testimoniato dal livello davvero ridicolo del Tier 1 ratio rilevato nel 2008, subito dopo lo scoppio della bolla dei subprime, per Unicredit e per tutte le altre banche principali del sistema.

Quinto: in tutto questo l’euroburocrazia contro cui il giornalista di Libero si scaglia non c’entra nulla. Invocare, come fanno in molti, il fatto che le banche italiane non abbiano fatto speculazione, perché sono sul territorio e lavorano con le Pmi, significa dimenticare quello che Fabio Bolognini ha ottimamente spiegato sul suo blog, ovvero che fin troppi soldi sono stati dati per operazioni avventate (San Raffaele, ma non solo), per non parlare del sostegno immorale dato alla speculazione edilizia ed alla bolla immobiliare in tutta Italia, isole comprese. Il capitale ci vuole: se non ci fosse nemmeno quello, ai depositanti cosa daremmo quando vengono a ritirare i loro quattrini, delle piastrelle? Un po’ di cemento pozzolanico? Quote di multiproprietà immobiliare?

Sesto (ed ultimo, perché mi sono un po’ stancato e poi stasera finalmente si torna allo stadio a vedere una partita e quindi poi vado via): le Fondazioni sono squattrinate perché sono organismi autoreferenziali e politici che non rispondono a nessuno di quello che fanno. Se non hanno soldi, forse si dovrebbe chiedere loro che hanno fatto della passata ricchezza; e come hanno vigilato sugli amministratori di quelle banche che, Unicredit in testa, finché portavano dividendi, non erano neppure da criticare. Ora si lamentano di dover ricapitalizzare, oppure direttamente lo evitano. Ma, una fettina di sincerità? Un pizzico di ipocrisia in meno?

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Banca d'Italia Banche Giulio Tremonti Mario Draghi Vigilanza bancaria

After the ordeal (again about BPM’s shareholders meeting).

After the ordeal (again about BPM’s shareholders meeting).

Jeno Gyarfas, Ordeal of the bier

L’ineffabile Gianni Credit (il cui nom de plume poteva essere oggetto di qualche sforzo di fantasia supplementare), sul sussidiario.net di oggi parla della vicenda BPM, fra l’altro con queste parole.”La Banca Popolare di Milano presenta – non da oggi – dei profili problematici per la governance interna: ma tanto per cominciare Draghi, in cinque anni, non solo non li ha risolti, ma non li ha neppure affrontati (troppo impegnato al vertice del Financial Stabilty Board). Nel frattempo, la stessa Bpm non è fallita, il ricorso ai Tremonti-bond è stato limitato e in fondo non era indispensabile: centinaia di altre banche, altrove, hanno dato a banchieri centrali, azionisti, dipendenti, clienti, contribuenti problemi infinitamente maggiori (ed erano spesso grandi public company quotate, non cooperative).

Ora, è noto che JM sia da tempo accanito sostenitore del lavoro del Governatore Draghi. Al netto del tifo e della preferenza, credo sia solo un eccesso polemico quello che porta il buon Gianni C. ad inveire contro Bankitalia, che non ha affrontato né risolto i problemi di governance interna alla BPM. Davvero Gianni C. fa finta di non sapere che la governance interna non può essere decisa dall’alto e che il regolatore può, al più, esercitare la moral suasion, nelle Bcc come nella BPM? E, ancora: se il ricorso ai Tremonti-Bond non era indispensabile, perché Ponzellini & co. lo hanno fatto? E’ così consolante sapere che, poiché altri si sono trovati in problemi maggiori, in finale quelli di BPM sono accettabili? Non è la Vigilanza a doversi occupare del prezzo di Borsa del titolo della Banca Popolare di Milano, ma non si è mai visto il mercato -irrazionale, stupido, euforico, e via aggettivando- bastonare così a lungo una banca: sopruso capitalista contro bontà cooperativa?

Gianni C. difende Fazio e le sue scelte contro quelle di Draghi. Come sempre, il povero Fazio viene assolto in quanto colpevole di essere cattolico (anche il fondatore del blog lo è: non pensa, per questo, di giustificare la propria dabbenaggine quando la stessa, ahimè, viene fuori) e di avere ceduto solo agli assalti della malvagia finanza laica: continuo a pensare che la vera colpa di Fazio sia stata quella della dabbenaggine. A proposito della quale, Gianni C. sostiene che il trascurabile reato di insider trading, commesso dall’ex-Governatore nelle sue telefonate notturne al sodale Fiorani sia, al più, un mezzo non convenzionale.

La conclusione di Gianni C. è giustamente coerente con le sue convinzioni:”Ecco, l’estensore di questa piccola nota, non ha un suo candidato per la successione a Draghi. Ha invece la convinzione che debba essere meno formalmente ideologico e meno sostanzialmente latitante del Governatore uscente. E che della tradizione interna della Banca d’Italia – che resta certamente un “patrimonio del Paese” – recuperi anche quello che il predecessore Fazio (non diversamente da Ciampi, Baffi, Carli, Menichella ed Einaudi) non aveva certo trascurato: l’attenzione per l’Azienda Italia e per le sue banche. Tutte.

Viene sempre il dubbio che Gianni C.una banca vera l’abbia vista, andando nel back-office e non solo negli ovattati saloni dei consigli. Se l’avesse vista saprebbe che la “latitanza” del Governatore è stata tale che negli ultimi anni la frequenza delle ispezioni si è talmente infittita da essere talvolta infrannuale, a tutti i livelli e le dimensioni. Al punto che qualcuno, prima del Forex di marzo, se ne lamentò, in maniera anonima, definendola asfissiante. Se questa è latitanza.

 

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Banca d'Italia Banche Vigilanza bancaria

Concorso morale.

Concorso morale.

Franco Bechis, su Libero, scrive che “nel caso della scalata ad Antonveneta anche il semplice reato di aggiotaggio è assai difficile da individuare: il titolo non si è sostanzialmente mosso in quei mesi, ed è sempre restato intorno ai valori su cui poi venne autorizzata l’offerta pubblica di acquisto sia di Abn Amro che della Banca popolare di Lodi con la sua cordata. Non sarebbe stato possibile dunque speculare sui corsi azionari anche conoscendo prima un eventuale crescita dei valori (che non si è verificata).

Il concorso morale nel reato di aggiotaggio ricorda tanto il reato fittizio, inventato dalla magistratura italiana, di concorso esterno in associazione mafiosa: e la condanna di Antonio Fazio, che JM non ha mai amato particolarmente appare spropositata (4 anni) ed immotivata (che cos’è il “concorso morale”?). Tuttavia Bechis sa bene che sui corsi azionari si sarebbe potuto speculare, proprio per le notizie riservate che l’allora Governatore forniva, nottetempo, all’uomo cui aveva affidato la salvezza del sistema bancario nazionale; dunque la precisazione non appare fondata.

C’è molta ipocrisia in tutti coloro che, a suo tempo, hanno strillato a favore del libero mercato, salvo poi lamentarsi dell’assenza di una politica industriale quando la musica della marsigliese ha risuonato a Collecchio. Ma la sensazione che si ricava, leggendo l’articolo di Bechis, e rileggendo le cronache dell’epoca, è che il Governatore sia certamente colpevole: perlomeno del reato di dabbenaggine.

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Banca d'Italia Banche USA Vigilanza bancaria

Non ci sono atei nelle trincee e non ci sono ideologi nelle crisi finanziarie.

Non ci sono atei nelle trincee e non ci sono ideologi nelle crisi finanziarie.


(..) D’altra parte, quanto sia cambiato l’orientamento delle classi dirigenti di tutto il mondo su questi temi, dopo la crisi, non c’è neanche bisogno di dirlo. A leggere i giornali, il processo ad Antonio Fazio somiglia dunque a un caso di studio: un processo per eresia cominciato in piena Controriforma, ma arrivato a sentenza dopo il Concilio Vaticano II. Rispetto ai complicati reati finanziari
in questione, naturalmente, saranno i giudici a valutare innocenza o colpevolezza di Fazio, così come del suo coimputato più famoso, l’ex capo di Unipol Giovanni Consorte. Ma la campagna di stampa del 2005 meriterebbe di essere ristudiata articolo per articolo. Come suol dirsi, col senno di poi. Non solo nei suoi effetti giudiziari (e politici), ma anche nei suoi effetti economici. Nel momento decisivo della crisi, rompendo gli indugi, Bernanke disse a Paulson: “Non ci sono atei nelle trincee e non ci sono ideologi nelle crisi finanziarie”. Ma chissà se è mai stato alla Bocconi, Bernanke. (Francesco Cundari, Il Foglio 23 aprile 2011).

Probabilmente aveva ragione Bernanke, e non ci sono né atei, né ideologi. Ma riprendere in mano tutto l’incartamento, rileggendo le cronache dei giornali nell’estate 2005, servirebbe ad annotare l’ipocrisia dei grandi giornali, prima di tutto il Corriere, sotto attacco da Ricucci e soci, e che non solo allora predicavano l’apertura delle frontiere bancarie, secondo la vulgata in auge alla Bocconi (esattamente alla Bocconi, proprio lì, nel raggruppamento scientifico disciplinare che si occupa di banche e intermediari), ma che soffrono di strabismo informativo, cadendo sovente in contraddizione negli articoli e nei servizi che propongono. Non per caso, periodicamente, vengono ripresentate inchieste su quanto costerebbe il conto corrente se arrivassero gli stranieri (sul CorrierEconomia o su Plus 24), dimenticando che gli stranieri ci sono già e pensano solo ad una cosa: fare profitti. Fazio, profondamente cattolico e filosoficamente tomista, ha una sola vera ed imperdonabile colpa, quella di avere scelto, fra tanti banchieri italiani, proprio Giampiero Fiorani, per fare un’operazione di sistema cominciata male e finita peggio. Senza dimenticare che non telefoni a mezzanotte per dare informazioni price-sensitive a qualcuno che, in preapertura, può immettere o far immettere ordini che lo faranno diventare miliardario nello spazio di un mattino. Dov’è finita l’evangelica scaltrezza del serpente?

Quanto all’ipocrisia dei grandi giornali del Nord, confindustriali e non, trova adeguata sintesi proprio nella produzione scientifica di molti colleghi bocconiani, tesi a lodare le magnifiche sorti e progressive di sistemi finanziari market-oriented, di intermediari creditizi dal conto economico leggero sui costi operativi e sempre più caratterizzato da ricavi da servizi (ovvero espressione di una banca che non intermedia più), nella continua proposizione di modelli, matematici, organizzativi e strategici, dove tutto è calcolabile, ogni rischio è misurabile e dove per affidare un’impresa non serve più parlare con l’imprenditore. Quella stessa produzione scientifica dogmaticamente accettata ed accolta, appunto, dalla vulgata dei grandi giornali, i quali perlomeno dovrebbero spiegare, come li invita a fare Cundari, come si sia passati dalla Controriforma al Concilio Vaticano II: cosa ci siamo persi?

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Banca d'Italia BCE Mario Draghi

Meglio a Francoforte?

La sede della BCE a Francoforte

Vista la qualità dei suoi interventi e la lucidità con la quale sta guidando la Banca d’Italia ed il FSB, dispiace l’idea che possa essere chiamato a sostituire Trichet alla BCE. Mi piacerebbe che potesse restare in Italia, completare il riassetto della Banca d’Italia dopo il periodo Fazio, con la stessa lucidità con la quale oggi, presenti tutti coloro che dovevano esserci, da Profumo a Geronzi, da Passera a Massiah ha detto tutto quello che il periodo impone, seriamente, di prendere in considerazione.

Le idee sono molto chiare e la determinazione con cui sono state illustrate è notevole. Non è stato nascosto nulla di un cahier des doléhances che comprende la questione dei bonus, dei rischi, della capitalizzazione e della governance, soprattutto nelle popolari. Non so se Mario Draghi andrà a Francoforte, anche se so che se lo merita. Di sicuro so che il nostro Paese perderebbe, anche se pro-tempore, una grande figura, sotto molti profili.

Di seguito, l’intervento di oggi del Governatore Mario Draghi al Forex di Napoli.

Draghi_Forex_Intervento_130210

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Banca d'Italia Banche

C’eravamo tanto amati.

Quando finiscono i grandi amori, le parole che si scambiano gli innamorati mettono tristezza. Leggere quanto afferma Giampiero Fiorani di Antonio Fazio, colui che lo chiamava nel cuore della notte per comunicargli che aveva autorizzato una scalata, quella ad Antonveneta, che non solo non avrebbe dovuto essere autorizzata, ma che non avrebbe neppure dovuto essere comunicata in quel modo -consentendo, per esempio, a Fiorani o a chi per lui, di mettere in atto pratiche di insider trading e di market abuse– mette, appunto, un po’ di tristezza.

Certamente è comprensibile che quando ci si trovi nei guai, si cerchi di scaricare i compagni di avventure. Prima di Fiorani, lo ha fatto lo stesso Fazio, in dichiarazioni rese allo stesso Tribunale di Milano. Ma arrivare, come ha fatto Fiorani, che l’uomo che lui avrebbe baciato sulla fronte, come da intercettazioni, gli torna in mente come un incubo, tutte le notte, via, non è da gentleman.

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Banca d'Italia

Simpatica dabbenaggine (intrattenitori & governatori).

Giampiero Fiorani e Antonio Fazio

L’ex-governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio nel corso di dichiarazioni spontanee rese durante il processo milanese relativo alla scalata Antonveneta, ha ricordato le «capacità manageriali» di Fiorani e la sua «innata dote personale di cordialità e di accattivarsi la simpatia altrui nonchè anche della mia famiglia». E ha comunque ribadito di «non essere mai stato influenzato da Fiorani nel prendere le decisioni». Tuttavia, secondo Fazio, la simpatia di Fiorani «permise di trarre in inganno gli uffici di vigilanza della Banca d’Italia». A distanza di quasi 5 anni dagli eventi relativi alla famosa tentata scalata ad Antonveneta, le dichiarazioni dell’ex-Governatore lasciano stupefatti, per il candore leggermente imbarazzato con cui vengono pronunciate e per la nemmeno troppo implicita ammissione di dabbenaggine che contengono. Non avevamo mai pensato, durante i nostri studi, che il trade-off stabilità ed efficienza fosse da ricondurre, in realtà, ad un problema di simpatia ed incompatibilità caratteriale. E che, nel documentare la consistenza del patrimonio di vigilanza di una banca, bastasse essere degli intrattenitori. Dopo il piano B, fare il mago, si spalanca il portone del piano C: l’intrattenitore bancario.