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ABI Banca d'Italia Banche

Un salvataggio bancario è un atto di violenza (re-load).

Un salvataggio bancario è un atto di violenza (re-load).

Un salvataggio bancario non è un pranzo di gala. Non è un convegno dell’ABI su Basilea 3, non si può fare come se fosse la rivalutazione di un immobile.

Un salvataggio bancario non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo. Non è il premio Strega, non si fa con le vignette di Vauro o le battute di Bergonzoni. Non si può fare con la carta o con i debiti, ci vogliono soldi, veri. Pubblici.

Un salvataggio bancario non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. Un salvataggio bancario non si può fare consultando la Camusso, chiedendo alle parti sociali, telefonando in Confindustria. Un salvataggio bancario non si può fare castigando i banchieri cattivi e con l’efficienza purificatrice del mercato.

Un salvataggio bancario non si può fare senza mettere le mani nelle tasche degli italiani.

Un salvataggio bancario è un atto di violenza.

Prof Ze Dong

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Banche Imprese Indebitamento delle imprese

Fallimenti congelati.

Fallimenti congelati.

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La notizia della presentazione di una nuova proposta di concordato per Aeradria, la società che gestisce l’aeroporto di Rimini, è stata comprensibilmente accolta con il dovuto rilievo e con la speranza che, questa volta, il giudice competente approvi la proposta stessa. La lettura delle note di cronaca, soprattutto di quanto dichiarato dagli avvocati di Aeradria, fa riflettere, soprattutto laddove si dice che la prima volta si era presentata una proposta di concordato in bianco, questa volta invece è “completa“. Difficile non pensare che la prima volta qualcuno non ci abbia provato, per vedere se una proposta pur scandalosa, nell’urgenza del momento, potesse comunque essere approvata. Un fallimento, sia pure congelato, magari etichettato altrimenti, sempre quello rimane.

In ogni caso, nell’attesa della pronuncia, qualche riflessione si può fare, soprattutto sul significato economico dell’operazione. La conversione di crediti in azioni è la classica “operazione di sistema” che accredita la nuova Carim come, appunto, “banca di sistema”, sulla scorta dell’esperienza ben più nota di Intesa. Si tratta, tuttavia, di un’operazione penalizzante per qualsiasi banca che non sia molto capitalizzata, soprattutto in tempi come questi nei quali l’essere liquidi fa la differenza a tutti i livelli, a cominciare dai criteri di vigilanza prudenziale (le pertecipazioni azionarie riducono le possibilità di fare prestiti e nel caso di Aeradria non sono neppure redditizie a breve scadenza) per finire alla redditività per gli azionisti, nel caso di Carim non proprio felici delle ultime vicissitudini: e si tratta di un’operazione che, inevitabilmente, avrà tempi lunghi, difficilmente compatibili con l’ottica di una banca locale.

D’altra parte, quella che viene presentata come una privatizzazione -e almeno formalmente lo è- non vede l’ingresso di nuovi soci industriali ma solo di nuovi finanziatori, ai quali si presenterà comunque il problema dell’inadeguatezza del volume d’affari, dello scarso utilizzo della struttura, dei margini e dei costi fissi. In buona sostanza, gli stessi problemi che hanno portata l’attuale Aeradria spa, pubblica, sull’orlo del fallimento.

Infine, se il problema di Aeradria non è finanziario, ma economico, la questione diventa strategica; ovvero dell’utilità di una struttura, come quella aeroportuale del F.Fellini, inserita in un contesto distrettuale dove si fatica a trovare un coordinamento e dove le iniziative vanno sempre bene, purché fatte con denari altrui. Che poi questi denari siano quelli di una banca non può consolare: e soprattutto, non può bastare.

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Banche

La colpa? E’ delle banche.

La colpa? E’ delle banche.

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Apprendo, dopo averne scritto su inter-vista.it che la vicenda del salvataggio Aeradria ha visto l’inaspettato e certamente importante intervento di Banca Carim, disposta a intervenire nel capitale, assumendo di fatto il ruolo di banca di sistema (ciò che in Italia sta svolgendo da ormai molti anni Banca Intesa, ad esempio con l’intervento in Air One e non solo). Per fare la banca di sistema ci vuole certamente ciò che i francesi chiamano physique du rôle e Banca Carim risanata e rinnovata nei suoi vertici pare in grado di farlo, sia per carisma, sia per managerialità. Mi riesce più difficile immaginare i termini economici di uno sforzo che per la principale banca del territorio sarebbe duplice: se da un lato infatti essa sarebbe chiamata a mettere a disposizioni nuove risorse finanziarie, dall’altro dovrebbe trasformare in tutto o in parte i suoi attuali crediti in capitale, con un evidente irrigidimento gestionale e peggioramento dei parametri di Vigilanza (le azioni di una società non quotata nell’attivo di una banca non rappresentano nulla di buono per la liquidità). Lo sforzo di Carim, d’altra parte, è destinato a fare i conti con una vera e propria mancanza di cultura del rapporto banca-impresa, straordinariamente espressa anche in questo caso dai vertici di Aeradria. Leggo, infatti, su inter-vista.it la precisazione di Banca Carim sulla nota vicenda Aeradria. In particolare da “Carim chiariscono anche che “il progetto potrebbe consentire il salvataggio di Aeradria e tiene naturalmente conto delle indicazioni fornite dal Ministero dello Sviluppo Economico con l’”Atto di indirizzo per la definizione del Piano nazionale per lo sviluppo aeroportuale”, emanato il 29 gennaio 2013, e che “Banca Carim non si sente in alcun modo chiamata in causa da chi afferma che “Aeradria ha realizzato gli investimenti necessari confidando nella concessione di credito bancario” e che la “mancata erogazione ha provocato la crisi della società”: chi ne parla certamente si riferisce ad una nota operazione di finanziamento, organizzata da un pool di banche al quale Banca Carim era assolutamente estranea, che all’ultimo momento non si è concretizzata per il disimpegno di alcuni Istituti di Credito, e di cui a Banca Carim non potrebbe essere attribuita alcuna responsabilità diretta o indiretta”.”

Affermare che si fanno investimenti confidando nella concessione del credito bancario, ricorda il peggiore e più sprovveduto dei piccoli imprenditori, la cui sub-cultura gestionale si esprime di norma nel “qualche banca me li darà, quei soldi.” Che in aggiunta a questo non un piccolo imprenditore, ma i vertici di una grande società pubblica, e per giunta per azioni, dichiarino che “la mancata erogazione ha provocato la crisi della società” significa persino ignorare i fondamentali dell’economia aziendale. Da questo, più che da altro, dovrebbe guardarsi Banca Carim: alla quale, peraltro, non resta molta scelta.

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Banca d'Italia Banche Banche di credito cooperativo Crisi finanziaria

Casse di risparmio di tutta la Romagna, unitevi!

Casse di risparmio di tutta la Romagna, unitevi!

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Il grido, poco proletario, sembra provenire dalle dichiarazioni rilasciate dai soci delle principali Casse di Risparmio della Romagna, perlomeno di quelle rimaste indipendenti. E’ da notare appena incidentalmente che Cassa dei Risparmi di Forlì e della Romagna esiste già, ma solo come scatola vuota, contenitore della cosiddetta Banca dei territori con la quale il gruppo Intesa a suo tempo ha tentato di salvaguardare un’identità localistica venuta meno con l’allargarsi del perimetro del gruppo stesso. Non ha importanza, un nome si troverà. Appare tuttavia evidente che il processo di fusione delle residue casse rimaste sole, non può essere definito come un matrimonio d’amore, dove gli sposi, come nella canzone di Brassens tradotta da De Andrè, vanno avanti a tutti i costi a dispetto del meteo e degli déi. Il matrimonio in questione sembra quasi la tradizionale imposizione di genitori nobili (magari decaduti) a figlioli riluttanti e, forse, un po’ scapestrati. Tant’è: poiché non si può cavare il sangue dalle rape, non resta che augurarsi che il processo di fusione che sembra avviarsi (e del quale su queste colonne si era già data notizia) sia l’occasione per ripensare all’identità di una banca autenticamente locale, in grado di servire territori nei quali le uniche banche di prossimità sembrano essere rimaste le banche di credito cooperativo.

Buon divertimento!

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Banca d'Italia Banche Crisi finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese

Di aeroporti, di seggiovie, di altre sciocchezze.

Di aeroporti, di seggiovie, di altre sciocchezze.

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Era ora di riparlare di Banca Carim e di Rimini, ci si annoiava. Banca Carim ha annunciato un utile simbolico, ma pur sempre un utile, al quale si crede per devozione, ma tant’è. Colpiscono invece i toni della polemica con Aeradria spa, la società che gestisce l’aeroporto e che ha presentato, a quanto pare, un piano di ristrutturazione dei debiti talmente approssimativo: a)-da non essere creduto fin dal principio; b)-da necessitare di precisazioni a pagamento (di Carim) sui giornali quanto al rifiuto.

L’esperienza di questo periodo di crisi, fin troppo lungo, dice che i piani di ristrutturazione, sotto qualunque forma si presentino, contengono perlopiù caratteristiche del tipo “consolidamento-del-debito-riscandenzamento-etc” che non veri e propri progetti che incidano sulla gestione industriale. Probabilmente Aeradria spa, la società a partecipazione pubblica che gestisce l’aeroporto di Rimini, non sa che pesci pigliare, come molti imprenditori in questo periodo, e pensa che la soluzione di un problema industriale sia finanziaria. Niente di più sbagliato, come curare un’infezione con l’Aspirina.

Cosa c’entrano le seggiovie con gli aeroporti? Guardando all’esperienza trentina, pur specifica e peculiare (Provincia Autonoma con bilancio ricco e budget conseguente) è facile notare che le seggiovie, così come gli aeroporti, in zone o distretti fortemente caratterizzati dal turismo, non hanno autonomo equilibrio economico (i.e. capacità di reddito, in termini bancari) ma sono infrastrutture necessarie, indispensabili al funzionamento di tutta la macchina produttiva distrettuale. Facile a dirsi quando si possiedono risorse (la P.A.T. possiede, oltre ad una sostanziosa percentuale del gettito fiscale, anche una ricca quota dell’Autostrada del Brennero spa, ovvero di una macchina da soldi che consente di finanziare anche le seggiovie in perdita), meno facile quando si è un normale Municipio (Rimini) o una normale Provincia (RN), squattrinati ed assoggettati al vincolo di stabilità.

Soluzioni? La “banca di sistema”, se ci fosse un sistema -e se ci fosse la banca-: ma banca Carim esce da due anni di commissariamento e da “ricche” (purtroppo) perdite, non certamente imputabili all’attuale management, ingiustamente messo sotto accusa dalle istituzioni. Il vigilatore, ovvero Banca d’Italia, non esiterebbe un minuto a ri-commissariare Banca Carim se questa finanziasse, sostanzialmente a fondo perduto, le perdite inarrestabili dell’aeroporto della capitale del turismo (il cui casello della A14, del resto, assomiglia da anni ad un vicolo medievale). D’altra parte se le istituzioni non hanno risorse, quale destino per l’aeroporto?

Aeradria spa (non) ha presentato un serio piano di ristrutturazione, in grado di incidere sulla gestione industriale, anche perché probabilmente nessuno potrebbe o saprebbe farlo in questo momento: né si può imputare alle banche, soprattutto quelle in corso di risanamento, il mancato sostegno all’iniziativa, per la stessa ragione per la quale non si può chiedere ad un atleta convalescente di vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi. Poichè le accuse reciproche non servono, così come sono inutili gli interventi polemici della politica, di maggioranza e di opposizione, si potrebbe tentare di coagulare risorse pubbliche e private, attraverso lo schema, non molto di moda in questo periodo ma pur sempre valido nel suo impianto di fondo, della finanza di progetto. Coinvolgendo, per una volta, quegli stakeholder o portatori di interessi -i.e. gli albergatori- sempre pronti a lamentarsi e persi, ancora, dietro al sogno della rendita immobiliare, in un progetto che li veda compartecipi di investimenti, costi e rendimenti. Discriminando, anche attraverso servizi di qualità, come il trasporto aereo, l’offerta turistica di qualità. Si può fare, parliamone.

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ABI Banca d'Italia Banche

Il silenzio degli innocenti (le colpe dell’affaire #MPS).

Il silenzio degli innocenti (le colpe dell’affaire #MPS).

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Il caso MontePaschi capita durante la chiusura delle lezioni per la sessione invernale degli esami; ma se fossimo durante il semestre, si potrebbe usare la vicenda per molte e molte ore di lezione su casi aziendali di moral hazard, benefici privati, malfunzionamento della teoria dell’agenzia, efficacia e pervasività dell’attività di vigilanza sui sistemi finanziari etc…

Dei legami tra politica e banche mi annoio persino a parlare, ricordando le nottate -ai bei tempi del centro-sinistra- nel corso delle quali il Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (CICR) nominava amministratori delegati e presidenti di tutte le banche pubbliche italiane, ovvero tutte le più importanti. E al Monte dei Paschi, che io ricordi, non è mai andato un bel democristiano doc, che so, uno come Ferdinando Ventriglia: no, solo compagni comunisti, di sicura fede. Questo accadeva prima della Legge Amato-Carli, quella che privatizzava, sui generis, le banche italiane, obbligando queste ultime a creare una spa, con la Fondazione a monte, secondo il ben noto meccanismo che vige in Unicredit, Intesa e lo stesso Monte dei Paschi. La politica, uscita dalle porte delle banche spa, è rientrata dalle finestre delle Fondazioni: le quali, come insegna la vicenda riminese della Carim, non agiscono secondo logiche propriamente economiche, nè di “sana” gestione no-profit, ma nuovamente e unicamente politiche, sia pure con una forte connotazione localistica.

Anche in MontePaschi sembra di poter rinvenire i medesimi comportamenti: la Banca è stata usata come mucca da mungere per gli interessi dell’azionista di maggioranza, talmente legato a doppio filo al proprio unico e non diversificato investimento, da non potersi permettere di scendere sotto il 51%, anche a pena di un indebitamento crescente. La Fondazione MontePaschi non solo non ha minimamente controllato l’origine e la natura delle performance (invero pessime) del proprio asset principale, ma ha compiuto scelte antieconomiche nel nome di un mantenimento del controllo che può ben essere definito finalizzato esclusivamente all’ottenimento di benefici privati. Ascoltando Focus Economia su Radio 24 ieri sera, in macchina, ho udito Fabio Pavesi ripercorrere la vicenda MPS accennando in modo velato a colpe e mancanze di Consob e Banca d’Italia. Su Consob mi permetto solo di rammentare che l’autorità è garante del funzionamento dei mercati mobiliari, non dei ribassi o dei rialzi: e che non le compete il controllo sui bilanci delle quotate. Altro discorso è quello riguardante Banca d’Italia. Mi rendo conto che è facile individuare un colpevole nel vigilatore, che non vigilerà, ovviamente, mai abbastanza, soprattutto se si deve polemizzare, come alcuni pessimi esponenti del PdL stanno facendo, dimentichi dei guai di Popolare Milano e dei banchieri legati alla Lega (oltre che di altre tante situazioni che in scala ridotta riproducono schemi analoghi di malgoverno e di ingerenza). E si potrebbe andare avanti, ma è inutile, oltre che, appunto, noioso. La questione della vigilanza è ampia e complessa, non può essere risolta da un richiamo ad una maggiore pervasività: posso immaginare le vestali dei tagli alla spesa pubblica stracciarsi le vesti medesime alla notizia di nuove assunzioni da parte dell’Ispettorato di Bankitalia. Se si guarda al passato, in URSS e in Cina non ci sono mai state crisi bancarie, per la buona ragione che la dittatura comunista garantiva (e in Cina tuttora garantisce) il controllo su ogni attività economica: d’altra parte Francisco Franco, con la dittatura, ha da parte sua garantito lo sviluppo di Santander e BBVA, libere dai condizionamenti della concorrenza. Il massimo di controlli corrisponde al minimo della libertà economica oltre che essere, appunto, assai costoso: ed il Collegio sindacale è gravato, da ultimo, da compiti che il profano neppure immagina, per complicatezza, ambiguità e rischio professionale. Da ultimo, affidarsi fideisticamente ai controlli genera irresponsabilità ed evita la fatica: la fatica dell’azionista di chiedere conto, al di là dei risultati, di ciò che gli viene presentato, la fatica degli stakeholder di valutare complessivamente le performance. E, da ultimo, la fatica dei manager di conseguire risultati che dicano, al di là dei numeri, di una strategia condivisibile e condivisa. Se il dibattito di queste ore provasse a ripartire di qua, forse si potrebbe anche sperare che una vicenda così grave e triste possa avere qualche esito positivo. Forse.

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Banca d'Italia Banche Imprese PMI

Più imprese, meno case (cosa deve fare #Carim, banca del territorio).

Più imprese, meno case (cosa deve fare #Carim, banca del territorio).

La telenovela Carim pare essersi conclusa ieri, con la nomina del nuovo Consiglio di Amministrazione e la fine del commissariamento più lungo che a memoria di prof io ricordi di aver visto.

La fine della triste vicenda dovrebbe recare qualche insegnamento, al di fuori dei facili schematismi del “dopo” e delle petizioni di principio che già affollano i servizi giornalistici: uno su tutti, lo slogan della locandina di un giornale locale “Meno soldi per case ed alberghi” che, se fosse vero (ma Carim si è affrettata a smentire), dovrebbe stimolare solo brindisi di gioia ed un corale “finalmente!”.
Delle tante questioni che il ritorno in bonis di Carim mette sul tappeto, le due principali mi paiono quelle riguardanti il credito alle imprese del territorio, da una parte e, dall’altra, il ruolo dell’azionista di maggioranza, la Fondazione, negli scorsi ottusamente cieca ed ignava di fronte allo scempio della banca fatto dagli uomini da lei stessa nominati (solo gli ingenui possono pensare che Carim sia stata commissariata due anni per colpa della ex-controllata sanmarinese CIS).

Se Carim sarà davvero attenta alle esigenze del territorio, non concederà credito per alimentare la rendita immobiliare o turistica, ma accompagnerà quello che, molto ambiziosamente, il Sindaco Gnassi definisce piano di riqualificazione dell’offerta turistica: vaste programme, varrà la pena riparlarne. Quanto alla Fondazione, che conta i giorni che la separano dal 2015 (data prevista per il ritorno del dividendo: ma il piano strategico è tutto da fare), non sarebbe male se riflettesse, in tutte le sue componenti, su quanto possa far male intromettersi senza vigilare, decidere senza controllare, chiedere ritorni senza esigere responsabilità. Il commissariamento morale della Fondazione Carim è nei fatti, prenderne atto sarebbe un gesto di sano realismo.

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Chi guiderà la #Carim

Chi guiderà la #Carim

La lettura dei nomi dei candidati alla  carica di consiglieri di amministrazione di Banca Carim, così come appare oggi sulla stampa locale,  fornisce più di un motivo di riflessione non solo sulle Fondazioni Bancarie e sui loro processi di governo interni, ma anche su come si debba interpretare, in questo momento storico, l’atteggiamento della Banca d’Italia rispetto alla soluzione delle crisi degli intermediari creditizi.

Anche evitando facili battute sul governo dei professori, non si puo’ evitare di notare che il più lungo commissariamento della storia bancaria recente si concluda con l’imposizione, da parte di Banca d’Italia, di nomi di tecnici quasi del tutto slegati (con l’eccezione della prof.ssa Brighi) dal territorio,  e soprattutto, molto legati alla Vigilanza stessa. Si pensi al riguardo ai nomi del presidente in pectore, Bonfatti ed al vice-presidente, Vera Zamagni. Per il resto, scarseggiano gli imprenditori, il che per una banca a vocazione locale non e’propriamente commendevole: al contrario, l’abbondanza di liberi professionisti  dovrebbe far riflettere sui meccanismi che, all’interno delle Fondazioni Bancarie, regolano i meccanismi decisionali. Rebus sic stantibus il nuovo CdA di Carim e’fatto  per tranquillizzare Banca d’Italia, non certamente per percorrere sentieri di gloria. E, paradossalmente, proprio questo forse e’il limite che più di altri ricorda il passato (un CdA che lasciava fare ad una direzione megalomane e fuori controllo): il direttore generale designato, probabilmente, avra’ le redini della banca, all’interno di un percorso che di strategico avrà ben poco, perché il risanamento avrà la priorità, su qualunque altro discorso, compresi quelli dello sviluppo del territorio. Ad ogni modo, buon lavoro.

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Banca d'Italia Banche

E quindi uscimmo a riveder le stelle.

E quindi uscimmo a riveder le stelle.

La notizia della fine prossima ventura del commissariamento da record di Banca Carim, a soli tre giorni dal compimento dei due anni di procedura, va salutata con sollievo e con soddisfazione, perché la città ed il territorio si vedono restituiti uno dei principali protagonisti della sfera economica e sociale.

Il 27 settembre saranno nominati i membri del Consiglio di Amministrazione e così la banca tornerà in bonis. Proprio allora si “parrà la nobilitate” di idee, persone, strategie, che non sono state comunicate in sede di assemblea straordinaria e che attendono tuttora di essere declinate nelle scelte di un azionista di maggioranza, la Fondazione, sfiancato da questi mesi di segregazione e, soprattutto, ormai privo di risorse finanziarie. Se Dante e Virgilio, usciti dai gironi infernali, rivedono le stelle, tuttavia devono poi passare dal Purgatorio, una strettoia che attende anche la Carim e la città stessa, che della sua banca principale non può fare a meno ancora a lungo. Le scelte delle persone designate a fare parte del Consiglio di Amministrazione diranno già molto del futuro della banca: se si tratterà di semplici gestori, persone perbene ma senza esperienza o competenze specifiche (come nel caso di altre banche uscite dalla crisi ma, di fatto, messe in quarantena dalla Banca d’Italia), allora il futuro di Carim, presto o tardi, è segnato ed è destinato a concludersi con una fusione, più o meno mascherata. Se, come sarebbe auspicabile, si trattasse di soggetti qualificati, che non si limitino a gestire l’esistente e a non fare danni, ma che tentino di progettare il futuro, allora il futuro sarebbe certamente più impegnativo ma, nello stesso tempo, certamente più rischioso ed entusiasmante per un territorio che, di entusiasmante, ultimamente ha visto solo il Meeting ed il concerto di Ennio Morricone.

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Perché la musica che mettono in continuazione non mi dice nulla della mia vita (Hang the DJ).

Perché la musica che mettono in continuazione non mi dice nulla della mia vita (Hang the DJ).

Mentre la Guardia di Finanza di Rimini rileva l’irregolarità di quasi il 60% degli scontrini, mentre si discute se sia meglio trivellare per ricercare il petrolio, oppure installare l’eolico in mare (già ora non particolarmente limpido), la locandina di un giornale locale spara la notizia di una “lista civica per rilanciare il turismo“. Il giornale medesimo equivale al Sun, ma con molto meno appeal e, ovviamente, diffusione. Ma la notizia merita un commento, in una città che ha fatto un piano strategico (finito non si sa dove), una molo street parade, una Notte Rosa, una app per i chioschi di piadina ma che non riesce a disegnare il suo futuro, tantomeno per la sua banca principale, la Carim.

Una lista civica per fare cosa? Con quali contenuti? La questione dell’educazione, intesa come valori, come cultura condivisa, come capacità di leggere ed affrontare la vita, come introduzione alla realtà secondo la totalità dei suoi fattori rimane tuttora fuori: così come rimane sempre fuori la domanda sul perché tanta gente venga in Riviera, senza (quasi) mai vedere il mare, con tutto il carico culturale e comportamentale che questo comporta.

La musica che mettono in continuazione non mi dice nulla per la mia vita (hang the DJ).