Chi ricomincia a finanziare gli investimenti?
La notizia comparsa sul Sole 24 Ore di oggi, che riporta il dato relativo al volume dei prestiti a medio-lungo (sostanzialmente triplicati a dicembre 2016 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) non può che rallegrare chiunque abbia a cuore il percorso di fuoriuscita dell’Italia dalla crisi e cerchi di cogliere i segnali di ripresa; segnali che non hanno mai cessato di manifestarsi anche in momenti meno recenti, ma che i dati, finalmente, confortano. Fino a non molti anni fa i prestiti a medio-lungo richiesti dalle imprese sarebbero stati destinati, con fin troppa facilità, ad acquisizioni immobiliari nella migliore delle ipotesi inutili, quando non dannose, perché distoglievano risorse e competenze dalla competitività, dalle strategie, dal mercato.
Leggere la notizia mi ha fatto pensare che se questa è la fotografia dal lato della domanda, non meno interessante sarebbe conoscere chi siano i protagonisti dal lato dell’offerta: ovvero, in un Paese banco-centrico come l’Italia, certamente le banche, ma quali banche? La domanda non è oziosa, né riconducibile ad un puntiglio accademico, ma ad alcune recenti esperienze di fidi “offerti”, in senso letterale, a grandi aziende che ne avrebbero fruito poco o nulla, da piccole banche, in particolare Bcc. Quelle stesse banche che dovrebbero sostenere la crescita delle Pmi, offrono prestiti ad aziende di grandi dimensioni, a tassi ultra-competitivi, verosimilmente con una marginalità nulla o ridottissima.
Perché?
Fino a non molti mesi fa, dialogando con chiunque mi fosse capitato nell’ambito delle banche locali, mi sarei sentito dire che il problema del credito era il credito deteriorato, “tanto nuovo credito non ne facciamo“. Il peso del credito deteriorato, prima ancora che un fardello economico, è divenuto un fardello culturale: per non sbagliare, meglio non fare nulla, ovvero il grillismo applicato al credito. Ma poiché qualcosa si deve fingere di fare, allora si eroga credito alle grandi imprese, anziché alle Pmi: perché è più facile e dunque meno costoso valutarle, perché sono meno rischiose, perché anche se guadagno poco, non si genereranno altre svalutazioni. Mi vengono in mente espressioni come miopia, mancanza di coraggio, visione di corto respiro, ma temo che sia molto peggio: temo che molte banche locali stiano pensando che, pur di sopravvivere, sia meglio venire meno alla propria vocazione. Questo fattore, molto più della riforma ormai avviata, rischia di cancellare la cooperazione di credito Italia; ma soprattutto rischia di cancellare un riferimento storico per il mondo delle Pmi, tuttora incapaci di comprendere cosa fare per ripartire e chi siano i loro interlocutori. Non è un problema tecnico, è un problema culturale, di visione, di consapevolezza. Proviamo a lavorarci?