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Analisi finanziaria e di bilancio Banche Capitale circolante netto operativo Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI

Da dove cominciare? Dal conto economico (sempre sulla prevenzione).

Da dove cominciare? Dal conto economico (sempre sulla prevenzione).

Se prevenire la crisi d’impresa significa istituire e/o implementare sistemi di controllo di gestione interni adeguati a comprendere l’evoluzione dell’andamento aziendale, non c’è dubbio che tali sistemi debbano essere metodologicamente corretti e verificati alla luce di un semplice assunto: i problemi delle imprese nascono anzitutto (e si manifestano, soprattutto) a livello di conto economico e in particolare a livello di risultato operativo, ovvero di EBIT, quel margine intermedio così importante da essere utilizzato anche da analisti esterni, quali le banche, per comprendere se l’impresa possieda oppure no capacità di reddito.

Se l’EBIT o RO deve essere analizzato attentamente, in specie in rapporto agli oneri finanziari, ancora più importante è conoscerne la genesi, poiché, dal momento che esso è frutto unicamente dei costi strettamente attinenti la gestione tipica ed esclude la gestione straordinaria, finanziaria e accessoria, si deve valutare in maniera approfondita la congruità di costi e ricavi, soprattutto in rapporto ad eventuali politiche di bilancio. Purtroppo sono proprio queste ultime, spesso non individuate per tempo o addirittura stratificate da tanto tempo da essere divenute parte dell’arredamento contabile, che dicono che la consistenza dell’EBIT nel tempo è quantomeno discutibile, magari in rapporto a un margine commerciale lordo che cresce inopinatamente proprio grazie alle rimanenze finali o a fatture da emettere tutte da giudicare nella loro veridicità.

Sinteticamente di dovrà pertanto esaminare, nell’ordine:

  1. andamento delle vendite nel tempo e in rapporto al settore di appartenenza;
  2. congruità delle componenti del costo del venduto, tasso di rigiro delle scorte e corrispondente livello del primo margine;
  3. andamento delle voci relative agli ammortamenti e ai costi per servizi, in particolare per quanto riguarda il tasso medio di ammortamento e le lavorazioni esterne;
  4. livello e composizione dell’Ebitda, in particolare per quanto riguarda l’effettiva capacità dell’azienda di creare ricchezza;
  5. da ultimo, il grado di copertura (o di assorbimento) da parte degli oneri finanziari in rapporto al RO, ricordando che se la ricchezza prodotta dalla gestione tipica è appena sufficiente a ripagare il costo del debito, come si potrà fronteggiare quest’ultimo?

Se il conto economico è il punto di partenza, sarà l’analisi dello stato patrimoniale e del capitale circolante netto operativo, con il suo noto effetto spugna, a confermare, come quasi sempre avviene, quanto riscontrato a livello di analisi economica.

Infine, solo una piccola notazione: l’analisi della redditività è l’ultimo dei problemi che l’imprenditore vuole mettere  in discussione, perché così facendo mette in discussione sé stesso. Ed è qui che “si parrà la nobilitate” del bravo consulente e l’efficacia del sistema di prevenzione delle crisi adottato.

 

 

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Alessandro Berti Banca d'Italia Banche BCE Fabbisogno finanziario d'impresa Formazione Imprese Indebitamento delle imprese Lavorare in banca Lavoro Liquidità PMI Relazioni di clientela

Fintech e altre storie.

Fintech e altre storie.

Oggi ho partecipato a un bellissimo convegno sul Fintech organizzato da Milano Finanza e Bebeez intitolato “Il processo del credito tra vincoli regolamentari ed esigenze commerciali”.

Se posso fare solo un piccolo appunto agli organizzatori (o forse ai relatori?) se certamente si è parlato di Fintech, ben poco o nulla si è parlato di vincoli regolamentari, quelli a cui restano assoggettate le banche; così come è stato liquidato fin troppo velocemente il tema del rating, trattato alla stregua di un capriccio bancario, quando dovrebbe (?) essere noto che è, appunto, un vincolo regolamentare che determina l’assorbimento del patrimonio di vigilanza.

Il fenomeno del Fintech, ovvero la digitalizzazione di operazioni che precedentemente le banche svolgevano esclusivamente al loro interno e che, al contrario, proprio attraverso la digitalizzazione sono loro sottratte, non è appena una questione di disintermediazione, fenomeno di cui parlavamo nell’accademia almeno 30 anni fa. E’ una questione, come giustamente sottolineato oggi dai relatori, di rapporti con la clientela, di relazioni, di necessità di avere non appena copertura per un fabbisogno, ma anche consulenza, spiegazioni, aiuto. Bene lo ha spiegato l’ottimo Fabio Bolognini @linkerbiz facendo presente che il Fintech non è una questione di semplici automatismi che rendono le operazioni più veloci e la copertura del fabbisogno (soprattutto di capitale circolante), maggiormente garantita: i bilanci vanno guardati, quelli in forma abbreviata precludono la procedibilità della pratica (sic), il cliente va compreso, capito, va letta la sua formula competitiva. C’era solo un imprenditore (perlomeno, a parlare) e si è lamentato della burocrazia e dei rating, perché dei tassi non può lamentarsi in questa fase: ma ha dimostrato che ancora sono le imprese, purtroppo soprattutto le PMI, a dover imparare a comunicare, a condividere, a raccontarsi. Il Fintech può aiutarle, ma non servirà a nulla se il problema continua a essere quello della “liquidità” “più in fretta che si può” “al minor costo possibile”: la questione vera era e rimane la capacità di stare sul mercato, la questione vera, soprattutto per la stragrande maggioranza di piccole e micro-imprese, è nel conto economico, non nello stato patrimoniale. Lavoriamoci, è un’occasione e non una minaccia.

 

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Alessandro Berti Analisi finanziaria e di bilancio Banche Capitale circolante netto operativo Cultura finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa

Il magazzino: un amante ingrato, un segnale di (in)efficienza, una macchina della verità.

Il magazzino: un amante ingrato, un segnale di (in)efficienza, una macchina della verità.
Macchina-della-verità

Nel Sole 24Ore del 27 marzo c’è un interessante articolo sulla “sfida” che il livello delle scorte pone ad una società quotata italiana, la Emak (cfr.”La sfida di Emak: meno magazzino per contrastare i mercati volatili.”). Certo, pensare che ridurre il magazzino serva ad affrontare le sfide dei mercati,  farà storcere il naso a più di un imprenditore: probabilmente agli stessi che del magazzino si innamorano, tristemente non ricambiati, pensando che “intanto però gli sconti-quantità, l’approvvigionamento etc…”. Il magazzino è un componente negativo di reddito, è un costo: più magazzino uguale più costi. Per giunta, costi che si deteriorano, diventano obsoleti, invendibili, fuori mercato. Per questo la sfida di Emak è una sfida che dovrebbe essere raccolta da ogni impresa, grande o piccola, perché il livello del magazzino segnala, nel migliore dei casi, l’inefficienza della gestione, l’incapacità di ottimizzare gli approvvigionamenti, la carenza di cultura finanziaria delle Pmi.

Da ultimo, in maniera quasi ossessiva nei conti annuali delle imprese, anche in quelle che sembrano avere oltrepassato la crisi, talvolta anche in quelli delle quotate, il magazzino segnala politiche di bilancio volte a mostrare un utile solo contabile, quando in realtà il reddito sarebbe nullo o negativo. Il magazzino, dunque, come una macchina della verità che -a differenza del poligrafo- non sbaglia mai: basterebbe utilizzare il rendiconto finanziario per comprenderlo.

Talvolta, più semplicemente, basterebbe il buon senso e la semplice analisi del conto economico: che ve ne pare di 1 miliardo e 400milioni di shopper di plastica (vulgaris: sportine) stipati in 500 mq.? o dell’equivalente di 250mila pallets (vulgaris: pancali) nel piazzale di un produttore dei medesimi? Non è tanto grave che qualcuno lo abbia scritto in un bilancio: è grave che qualcuno in banca continui a crederci.

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Analisi finanziaria e di bilancio Banche Capitale circolante netto operativo Fabbisogno finanziario d'impresa

Se il fabbisogno finanziario è legato al circolante.

Se il fabbisogno finanziario è legato al circolante.

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Luca Orlando, sul Sole di oggi, con l’ottimismo della volontà ed occhiali molto rosé, si sforza di vedere nei dati sul credito al 30 giugno segnali positivi. Egli afferma che “(..) dai picchi pre-crisi il gap resta evidente, un centinaio di miliardi su base semestrale, ma l’inversione di rotta pare altrettanto chiara. La domanda continua a riguardare anzitutto le scadenze a breve e brevissimo termine, dunque la gestione del circolante, che catalizza quasi interamente i volumi erogati. Dei 41,5 miliardi ottenuti dalle imprese a giugno il 70% riguarda scadenze inferiori ai tre mesi, il 27,7% importi concessi tra 3 e 12 mesi. Un quadro poco mosso rispetto alle quote di dodici mesi fa, anche se qualche segnale positivo è visibile anche nelle scadenze più lunghe. Non quelle estreme però, perché se prendiamo i prestiti a gittata maggiore, quelli con scadenza superiore ai cinque anni, il quadro in realtà resta ancora desolante: nei primi sei mesi del 2008 furono quasi nove i miliardi concessi dalle banche per questa tipologia, ora non si raggiunge neppure quota due miliardi.”

Il problema è proprio la natura del fabbisogno (ed aggiungerebbe il Maestro Giampaoli, la qualità e la durata). Se all’alba della ripresa economica, peraltro così gracilina, il fabbisogno finanziario delle imprese è quasi tutto legato al capitale circolante, il dubbio che si sia tuttora in grave ritardo sul fronte degli investimenti, ovvero del capitale fisso, è più che legittimo. Che il fabbisogno sia almeno all’apparenza legato al circolante è verificabile nella prassi bancaria dalla gran mole di domande legate alla garanzia 80% Mediocredito Centrale, la cui motivazione doveva essere, pena la non procedibilità della pratica, quella di “ripristino liquidità“. Ora, a parte la motivazione stessa, degna delle pratiche di fido di venti anni fa e tipica di un’analisi fin troppo superficiale, il vero problema è il fabbisogno di circolante: legato allo sviluppo ed alla ri-crescita, o legato alle perdite occultate nel circolante con scorte rivalutate e crediti mai svalutati?

Se fosse vera la prima ipotesi, saremmo nella fase espansiva per chi, aumentando e/o ripristinando le proprie quote di mercato, vede salire il fabbisogno di stock, di anticipo fatture, di pagamenti legati ai costi operativi: il che non toglie che per tutti costoro, salvo eccezioni, si presenterà presto il problema degli investimenti, mai così negletti come negli ultimi anni nelle decisioni finanziarie delle imprese. Se invece fosse vera la seconda, e a giudicare dai bilanci che vedo temo sia così, vuol dire che non sono bastati 7 anni di crisi per smaltire la droga contabile che ancora circola nei bilanci. E con buona pace di chi vuole vedere il bicchiere mezzo pieno a tutti i costi, non è il migliore viatico per innestare un circolo virtuoso nelle relazioni di clientela.

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Alessandro Berti Analisi finanziaria e di bilancio Banche Banche di credito cooperativo

#ilmagazzinoèfalso, #ccnopertutti, #ilsegretoèconoscerelaspugna.

#ilmagazzinoèfalso, #ccnopertutti, #ilsegretoèconoscerelaspugna.

scrooge_mcduckVenerdì è terminato un corso, il primo dopo molto tempo, destinato a formare consulenti e gestori imprese per le Bcc dell’Emilia-Romagna. Non può che farmi piacere notare, nel desolante panorama del sistema bancario italiano, che ci siano banche che decidono di investire sulla relazione anziché, come predica qualcuno, sulla transazione, vendendo polizze, fondi di investimento e carte di credito (dimenticando che il loro conto economico poggia e potrà appoggiare anche in futuro soltanto sul margine di interesse, pena lo stravolgimento di quella che a qualche somaro piace chiamare mission).

Non mi stupirò, invece, mai abbastanza, per tutte le volte che, dentro il lavoro d’aula, certamente molto prolungato (ci siamo visti a intervalli regolari per quasi due mesi) nasce un rapporto davvero speciale con una classe di persone i cui hashtag, solo parzialmente riportati nel titolo, la dicono lunga su quanto si potrebbe ottenere dal lavoro bancario se solo si fornissero i criteri e gli strumenti. E la sorpresa con cui, molto spesso, chi mi ascolta riflette sulla probabile inattendibilità dei dati del magazzino (che è liquidità solo nel caso fumettistico di Zio Paperone) è sintomatica di quanto sia desueto un approccio critico, non in quanto negativo, ma in quanto finalizzato ad orientare correttamente la relazione. Anche se è comprensibile che trovare le parole per dire ad un cliente -che peraltro ti paga, o dovrebbe- che il suo magazzino è falso non sia proprio facilissimo…

Auguro a tutti gli amici che hanno partecipato alle lezioni sulla consulenza alle Pmi in questi giorni a Rimini di potersi sporcare le mani presto sulla realtà, lavorando sul difficile crinale di un aiuto che è, anzitutto, finalizzato a salvaguardare l’impresa come centro di esperienza, fattore umano, storie di lavoro. Ma soprattutto auguro ai loro clienti di poterli incontrare in questa veste, perché vorrà dire che le loro banche, finalmente, hanno deciso di aiutarli, andando oltre la semplice questione dell’erogare quattrini.

Infine, come ricordava il mio Maestro Giampaoli, non c’è nessuna paga che possa equivalere alla soddisfazione interiore nel vedere facce come queste. Ovvero di persone che si sono implicate, messe in discussione e hanno lavorato, insieme. Grazie a ognuno di loro.

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Alessandro Berti Analisi finanziaria e di bilancio Banche Banche di credito cooperativo Crisi finanziaria Indebitamento delle imprese PMI

Il rendiconto finanziario (lavorare come rientristi).

Il rendiconto finanziario (lavorare come rientristi).

battaglia del piave

Non solo notti mondiali professore, ma anche passate su rendiconti finanziari che appaiono ormai ultimi baluardi per fronteggiare un credito sempre più deteriorato ed incalliti commerciali che in nome di garanzie (mediocredito centrale ecc.) la cui valenza fa rabbrividire, continuano a concedere credito a destra e a manca. Ho affrontato anche altri autori (…) ma sinceramente il suo “effetto spugna” peraltro abusato da altri attempati docenti suoi conterranei in modesti corsi base mi sembra il mezzo più idoneo per relazionarmi con colleghi viceversa rimasti ancora agli indici (e vai con i crediti che assicurano liquidità immediata!!).

Ho letto i suoi testi, volevo chiedere se fosse possibile disporre di file Excel come negli esempi allegati al testo, per esaminare i vari casi che mi si presentano del mio duro lavoro ahimè ormai di rientrista (ma è qui il Piave mi creda).

Altrimenti grazie lo stesso e .. buon mondiale

un suo allievo

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Indebitamento delle imprese PMI

Se le penali non bastano.

Se le penali non bastano.

Giorgio Guerrini, presidente di Rete Imprese Italia, intervistato da Isidoro Trovato, sul CorrierEconomia di oggi, propugna, fra le altre cose,  una più vigorosa applicazione della Direttiva Europea in materia di ritardi nei pagamenti, invocando “una penale automatica per chi sgarra.” Peccato che poi si renderebbero necessarie penali per i giudici civili che non decidono, e non solo per lo Stato ed i suoi sodali che non pagano (ma non è solo lo Stato, anzi). Già che ci siamo, nell’intervista si parla anche di “risorse fresche come quelle che possono garantire i fondi di investimento, a patto che le aziende si decidano ad aprire al capitale esterno.” Su questo punto la vulgata prevalente comincia a stancare ed è, per dir così, avvitata su se stessa. Le imprese necessitano di capitali freschi, ma non si vogliono aprire sull’esterno: hanno sete, ma non vogliono pagare l’oste che mescerebbe il vino. Che fare? La ricetta di Guerrini è surreale, se non fosse la comica espressione del livello della nostra imprenditoria senza capitali: “La mentalità sta cambiando in fretta, basta solo osservare quello che sta accadendo nel settore delle energie rinnovabili“. Ovvero, la più grande speculazione a spese dello Stato dopo la scomparsa della Cassa per il Mezzogiorno. Se non bastano le penali, non bastano neppure le parole d’ordine: il problema è culturale e, probabilmente, irrisolvibile.

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Analisi finanziaria e di bilancio Banca d'Italia Banche di credito cooperativo Giuliano Ferrara Vigilanza bancaria

Denis dentro al buio del locale.

La BTP (Baldassini-Tognozzi-Pontello) spa di Calenzano è finita nell’occhio del ciclone per i suoi rapporti con il Credito Cooperativo Fiorentino, la banca locale presieduta da Denis Verdini ed ora commissariata. Poiché siamo appassionati di analisi aziendale e sempre curiosi di verificare quanto si dice, talvolta a vanvera, dei bilanci delle imprese, siamo andati a prenderli direttamente sul sito aziendale. Purtroppo non è ancora disponibile il bilancio 2009 -pronti ad analizzarlo non appena lo diventerà- ma la lettura dei bilanci 2008 e 2007 fa emergere abbastanza chiaramente alcune cose.

Premesso che un verbale ispettivo della Banca d’Italia è un documento molto riservato, che non dovrebbe uscire dal ristretto ambito degli interessati; premesso altresì che per esperienza chi scrive conosce bene l’operato della Vigilanza e che i rilievi che di norma capita di leggere per lavoro non sono mai manifestamente infondati; premesso anche, con buona pace di Giuliano Ferrara che ne parla sul Foglio, che la questione non è di diritto bancario, ma di gestione bancaria e di valutazione, nel merito, dell’operato aziendale, ivi compreso il “come” si valutano le imprese, ovvero il loro merito creditizio; tutto ciò premesso, la lettura dei bilanci al 31.12.2008, anche tenendo conto del caveat temporale, non provoca gastrite e neppure acidità. Il Corriere della Sera ha prontamente rilevato il livello dei debiti, ben superiori al fatturato, ma si tratta di un fatto normale nelle imprese di costruzioni; la BTP nei due anni esaminati mostra una buona capacità di reddito, seppure in diminuzione nel 2008 a causa dei venti di crisi e dell’aumento degli oneri finanziari. Il Mol in rapporto al totale dei debiti finanziari passa da 7,7 a 8,3 volte, certo superiore al totemico numero 4, stracitato da giornalisti ed analisti, ma senza riscontri scientifici di sorta. Il capitale circolante netto operativo è quelle tipico delle imprese di costruzioni, rappresentato da un ammontare molto elevato di lavori in rimanenza e finanziato perlopiù da anticipi. Sinceramente non sembra un disastro del genere di quelli di cui ci si è occupati già in questo blog, che magari hanno visto coinvolti banchieri democratici, o immobiliaristi à la page. Riparliamone con il bilancio 2009 in mano, ma se qualche giornalista andasse a leggere qualche bilancio in più resterebbe sorpreso. Sorpreso di quante aziende messe in condizioni ben peggiori siano state finanziate, in tutti i settori, specie se PMI, dal Credito Cooperativo, sostenendo talvolta ultra vires l’economia, come altri non ha fatto. E quanti sarebbero i dossier, ben più significativi, da spulciare, a carico di banchieri più grandi e, come dice Ferrara, established. Che si chiami ipocrisia?

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Analisi finanziaria e di bilancio Capitale circolante netto operativo Crisi finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Germania Imprese Indebitamento delle imprese PMI Sud

Cultura tedesca e “flessibilità” italiana.

Desta tristezza la lettura del servizio di Franco Vergnano sul Sole 24 Ore di oggi, nella rubrica economia ed imprese. Anticipando il rapporto che Cribis D&B renderà pubblico nel corso di un convegno sulle difficoltà a riscuotere i crediti da parte delle imprese, l’amministratore delegato Marco Preti ha reso noto che:

  1. l’Italia è agli ultimi posti in Europa per puntualità;
  2. da tre anni in qua la situazione è andata peggiorando;
  3. le Pmi si comportano meglio delle grandi imprese;
  4. il Mezzogiorno è l’area più morosa fra le varie zone del nostro Paese.

Preti sottolinea la migliore puntualità delle piccole rispetto alle grandi, motivandola con il minore potere contrattuale legato alle dimensioni modeste: in buona sostanza chi paga puntualmente lo fa perché non può fare diversamente.

L’argomento non è nuovo, la tradizionale morosità del Mezzogiorno è storia vecchia nella prassi italiana. E, d’altra parte, il credito di fornitura è una componente importante del capitale circolante netto operativo: chi dilata i propri tempi di pagamento comprime il proprio circolante, chi subisce tale dilatazione, al contrario, vede manifestarsi l’effetto spugna. Le conclusioni cui giunge lo studio sono coerenti con le analisi che nel tempo hanno individuato nel circolante netto operativo un fattore di fabbisogno che copre circa il 75% dei bilanci delle piccole imprese italiane.

Nello stesso articolo il presidente di Anima (le aziende della meccanica) ci rende edotti sul fatto che i suoi clienti tedeschi paghino a 8 giorni richiedendo un piccolo sconto (l’1% non rappresenta, in realtà, uno sconto tanto piccolo, se commisurato su base annua) oppure il prezzo intero a 30 giorni. I tedeschi hanno attraversato la crisi come noi, eppure pagano a 8 oppure 30 giorni. Forse non è altro che una questione culturale. E la cultura si fa con i comportamenti, prima di tutto personali ed aziendali, e poi improntando le relazioni commerciali ad una seria e rigorosa selezione della clientela: ovvero, ciò che vale si paga presto e bene, per non far sì che chi vuole pagare poco e male rovini il mercato. Vendere, per non incassare mai, riduce i margini faticosi di chi lavora fino ad azzerarli, riducendo il fatturato, veramente, a vanità. Meglio dire: “nein!”

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Analisi finanziaria e di bilancio Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI

Size does (really) matter? Ovvero, ancora sulla dimensione aziendale (1a parte).

Piccolo è bello è una semplificazione giornalistica, di derivazione sociologica. La capacità immaginifica di Giuseppe De Rita e del Censis, in anni passati fecero il resto, facendo la fortuna di una definizione che nella sua sintesi, tuttavia, fa torto alla complessità della realtà.

Siamo la patria delle piccole e medie imprese, forse sarebbe meglio dire delle micro-imprese, quelle fino 5 addetti, che presidiano, con maggioranze bulgare, l’anagrafe tenuta dalle Camere di Commercio. La media impresa, come studi più o meno recenti hanno dimostrato, è tale proprio perché non più affetta dei difetti della piccola: la media impresa sta già diventando grande, si organizza, si struttura, si dota di risorse, di capitali, di management.

A scanso di equivoci, diciamo che si parla di piccole e di micro.

La prima questione da affrontare è metodologica: non esiste una dimensione ideale, perché la dimensione è nello stesso tempo uno strumento per il raggiungimento di determinati obiettivi -difficile immaginare di costruire una mini-acciaieria o un mini-cantiere navale per costruire petroliere-, dall’altra la dimensione è imposta dalla necessità di rimanere competitivi di fronte a quello che richiede il mercato. Il mercato, ovvero i clienti, i concorrenti, quello che accade intorno a noi.

Le coordinate della dimensione sono di due tipi: da un lato il capitale fisso -impianti, macchinari, attrezzature, la terra, un fabbricato etc…- e quello circolante -clienti, scorte e fornitori- cioè il capitale necessario per fare il lavoro che si è scelto di fare. Dall’altra anche il fatturato, ovvero le vendite realizzate grazie all’impiego del capitale necessario, rappresenta una modalità di misurare le dimensioni aziendali. Capitale investito e fatturato sono coordinate che non possono essere trattate disgiuntamente, perché sebbene il fatturato sia vanità (Cino Ripani docet), senza di esso non si possono generare utili (la verità) e la cassa (la realtà).

Il vero problema è in quale modo avviene tutto questo.

Di qualunque cosa si occupi l’impresa, dal fare le piadine al costruire mobili, dal vendere giocattoli al pulire gli uffici e qualunque sia l’origine dell’imprenditore (i.e.: imprenditore “per caso”, imprenditore “ereditario”, imprenditore “che-si-è-costruito-un-posto-di-lavoro-da-solo”, imprenditore che “so fare solo questo” oppure “faccio questo da sempre”, imprenditore che “lo-faccio-per-autonomia” o “perché-le cose-fatte-con-le proprie-mani-sono-più-belle” deve fare i conti con la realtà, ovvero con la necessità di mantenersi in equilibrio economico e finanziario.

Si tratta di due dati di realtà che non possono essere mai ignorati: l’equilibrio economico, ovvero la capacità della gestione di generare un volume di ricavi sufficiente a coprire i costi è sempre necessario, non può mai mancare, salvo situazioni particolari e assolutamente  temporanee (i.e. la crisi). L’equilibrio finanziario, ovvero la capacità della gestione di generare risorse finanziarie -la parola autofinanziamento definisce bene il concetto- può talvolta venir meno, ma solo temporaneamente, in presenza di esigenze di crescita, investimento, sviluppo. Bisogna ricordare che l’autofinanziamento dipende dagli utili, ovvero dal reddito: se un’azienda perde, mancherà sempre la liquidità, e ne mancherà anche se la banca supplisce, aumentando i fidi (e i debiti). Ma, soprattutto, l’autofinanziamento è l’unica misura della compatibilità di qualunque scelta aziendale: con l’autofinanziamento posso ripagare gli investimenti, i debiti contratti per effettuarli, consentire che l’imprenditore, i soci ed i loro familiari possano avere di che mantenersi. (segue)