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ABI Banca d'Italia Banche Mario Draghi Vigilanza bancaria

Qualcuno non ha capito proprio nulla.

Qualcuno non ha capito proprio nulla.

La “durezza globalista” di Draghi, del resto, non sembra preoccupata di colpire alla linea di galleggiamento le corazzate della flotta bancaria italiana. Ma tant’è. Chiedere sospensione delle cedole e ricapitalizzazioni significa infatti togliere ossigeno alle grandi fondazioni azioniste (cioè bloccare le erogazioni in pubblica utilità sui territori), indebolire nell’immediato il valore delle loro partecipazioni bancarie e mettere in preventivo il reinvestimento in banca di una parte dei loro patrimoni via via liberati negli ultimi due decenni. Vuol dire togliere mezzi alle iniziative pubblico-privato strutturate dal ministro Giulio Tremonti attorno alla Cassa depositi e prestiti. Vuol dire riproporre la questione del controllo delle grandi banche italiane: chi le ricapitalizzerà dopo che la Borsa italiana è stata distrutta e il risparmio gestito (fondi comuni e fondi pensione) non è mai stato fatto decollare per davvero? Come convincere i risparmiatori italiani a comprare azioni di quelle banche presso le quali, negli ultimi due anni, hanno forzatamente acquistato obbligazioni spesso meno remunerative dei titoli pubblici?
Gianni Credit (?) Il sussidiario

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Banche Giulio Tremonti Relazioni di clientela

Quasi quasi mi compro una banca.

 

La notizia che Poste Italiane può comprare banche, così come previsto nel decreto “milleproroghe” non è appena un rigurgito di statalismo, come si potrebbe facilmente paventare, soprattutto alla luce di quanto ha mostrato finora di pensare il Ministro Tremonti.

Le possibili conseguenze dell’inserimento normativo, inatteso e sorprendente, circa la previsione di future acquisizioni in campo bancario e finanziario da parte di Poste Italiane, sono difficili da valutare. Certo l’idea è perfettamente coerente con la necessità di impiegare l’enorme massa di liquidità raccolta dal risparmio postale, destinata alla Cassa Depositi e Prestiti, che è, tuttavia, una non-banca. E, d’altra parte, se non dovesse decollare la Banca per il Sud, ecco pronto uno strumento, sia pure attraverso la mediazione di una holding pubblica, pronta a fare lo stesso, e magari non solo al Sud.

Una conseguenza, tuttavia, è abbastanza chiara e non può fare piacere alle banche italiane, strette fra problemi di liquidità e di tassi sempre troppo bassi. L’idea tremontiana riduce i passaggi fra risparmio e investimenti, attenuando i costi della doppia intermediazione che l’idea della Banca per il Sud portava come se come vizio originario ma, soprattutto, fa concorrenza alle banche in un settore, quello della raccolta, sul quale stanno già soffrendo, con una rete distributiva molto più capillare e prodotti spesso più competitivi. Il fattore tempo, tuttavia -almeno quello- lavora per le banche: se Poste Italiane è molto abile nella raccolta, non è tuttavia in grado di fare impieghi di qualità, né sarebbe autorizzata a farlo. E acquistare una banca ex-novo significa comunque armonizzare prassi, culture aziendali, missioni e strategie. Non è un buon motivo per dormire sonni tranquilli, ma per darsi da fare e ricominciare a fare, per davvero, la banca di relazione, questo sì. Buon lavoro.

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Banche Capitale circolante netto operativo Crisi finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Giulio Tremonti Indebitamento delle imprese PMI

Sane e indebitate.

Isabella Bufacchi, sul Sole 24 Ore on line riporta i dati relativi all’utilizzo del plafond di Cassa Depositi e Prestiti, pari a 8 miliardi.

Questo bacino di liquidità, a condizioni favorevoli rispetto ai tassi di mercato, è stato messo a disposizione delle piccole e medie imprese sane dalla Cassa fin dal settembre del 2009, tramite la rete del sistema bancario. Dopo un avvio lento, la macchina ora va a pieni giri. Dei fondi finora impegnati dalle banche, pari a circa 5,5 miliardi, a fine 2010 ne risultavano erogati per 2,8 miliardi. Entro la fine di febbraio, la quota dei “tiraggi” arriverà a 3,5 miliardi: il target è di chiudere il 2011 con oltre 5 miliardi stanziati, utilizzando l’intero importo impegnato dal sistema creditizio. L’incremento dei prestiti richiesti e concessi alle Pmi sfruttando i tassi favorevoli della Cdp – che vengono aggiornati in tempo reale in base alle condizioni di mercato – è un segnale importante della ripresa economica in atto: non basta infatti mettere la liquidità a disposizione delle banche, sono le imprese che devono presentare piani sostenibilità di sviluppo, di crescita, di investimenti e di internazionalizzazione.”

Dunque, tutto va bene, i segnali di ripresa ci sono, se la domanda di credito cresce, significa che le imprese investono, che ci sono ordinativi, che cresce la domanda. Sorge anche una domanda, di altro tenore: se questo è il plafond per le imprese sane, che accade delle altre? Le tante sleeping beauties che, prima o poi, usciranno dalla sanatoria ma non dalle difficoltà? Che ne sarà di loro?

Senza dimenticare che il fabbisogno finanziario che la crisi ha evidenziato è, soprattutto, fabbisogno finanziario di capitale circolante, legato alle difficoltà nei pagamenti, non è -dunque- fabbisogno per investimenti, non ci si può non domandare che ne sarà delle altre, che sono tante, le cui difficoltà pongono problemi sociali, legati alla disoccupazione, alla CIG, alle probabili perdite su crediti generate nei bilanci bancari. E, infine, senza indulgere al pessimismo, ma semplicemente tenendo a mente le tante situazioni viste negli ultimi tre anni, rimane il dubbio sulla sostenibilità dei piani (piani?) presentati; che come accade per il fotovoltaico, sono sostenibili perché c’è copertura e contributo pubblico.

Sane, forse; indebitate, di sicuro.

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Imprese Indebitamento delle imprese PMI

Asimmetrie informative.

In un intervista a Giampio Bracchi, a firma Mo.D., comparsa oggi sul Sole 24 Ore, si afferma che “Per le Pmi italiane il private equity (è) pronto con 4 miliardi”.

L’intervista è degna di nota, sia per l’autorevolezza dell’intervistato, che è presidente di AIFI, ovvero dell’associazione italiana investitori in private equity e in venture capital, sia per l’argomento trattato, che invita a ripensare, in chiave italiana, all’esperienza dell’omologa d’Oltralpe Cassa Depositi e Prestiti -la Caisse des Dépots– che nell’arco di dieci anni ha realizzato investimenti per 8,8 miliardi in 4mila imprese. Bracchi invita il governo a ripensare al funzionamento del fondo di patrimonializzazione per le Pmi, pur necessario, ma che va ripensato in chiave di “fondo di fondi”, ovvero in termini di partnership pubblico-privato. La proposta di Bracchi, a nome di AIFI, prosegue interessando e coinvolgendo anche le banche, che potrebbero finanziare l’impresa meritevole di intervento, impegnandosi contemporaneamente a finanziare le operazione di LBO da parte dell’imprenditore supportato dall’investitore istituzionale.

Fin qui tutto bene. Tuttavia la chiamata alle armi dei fondi pubblici non convince pienamente, perché Bracchi afferma che il fondo pubblico “arriva in un momento in cui è difficile per l’industria dei fondi di private equity tornare sul mercato per nuova raccolta.” Quindi? E’ meglio non rischiare da soli? Oppure le asimmetrie informative che l’investitore istituzionale in capitale di rischio -in Italia in verità mai troppo impegnato nella primissima fase del ciclo di vita dell’impresa- incontra normalmente, si affrontano meglio in compagnia del partner pubblico? Se 8 miliardi hanno prodotto buoni frutti in Francia, paese storicamente più avanzato del nostro per quanto riguarda il private equity, perchè 4 non dovrebbero, per intanto, bastare?

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Alessandro Berti Banche Banche di credito cooperativo Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI Relazioni di clientela

Due diligence e cultura della relazione: il difficile sviluppo delle relazioni di clientela in Italia

La notizia che i fondi messi a disposizione del Governo, attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, sono già stati prenotati, per l’intera quota loro riservata, dalle Banche di Credito Cooperativo –main bank delle Pmi-, e che lo stesso faranno Unicredit ed Intesa, non può che fare piacere a chiunque abbia a cuore la crescita e lo sviluppo dell’economia italiana, la cui ripresa non può avvenire senza che si riannodino i fili del rapporto banca-impresa. Isabella Bufacchi, in un articolo del Sole 24Ore di sabato, spiega la trafila dei prestiti che saranno erogati alle imprese, grazie ad un funding non così vantaggioso come quello consentito dalle iniezioni di liquidità delle banche centrali, sottolineando che la banca valuterà la Pmi, al fine di accertare che sia sana ed in ordine (definendo tale processo due diligence).

La teoria finanziaria e, più ancora, la prassi, dicono che i conti delle Pmi sono spesso opachi, inadeguati ad una comunicazione della realtà dell’impresa che metta in grado gli stakeholders esterni di percepire la qualità e l’effettiva consistenza dei risultati aziendali. Più ancora, si pone il problema dell’effettiva capacità dei valutatori bancari di approfondire natura, qualità e durata del fabbisogno finanziario d’impresa, mettendo in risalto, di quest’ultima, la capacità storica e prospettica di generare reddito e liquidità. In tutti questi anni le banche locali si sono giovate, oltre che di un continuo processo di miglioramento del proprio capitale umano, come testimoniano i bilanci, non solo sociali, delle tante Bcc presenti sul territorio italiano, anche di quelli che nella teoria dell’intermediazione finanziaria sono noti come vantaggi informativi e di localizzazione. Ovvero i vantaggi derivanti da una rete capillare sul territorio e dalla conoscenza che dello stesso da ciò deriva. Questo vale sicuramente per le banche locali: ma per tutte le altre? Per quelle, per esempio (si tratta di una delle due principali) che nel manuale per l’applicazione dei rating introdotti da Basilea 2 sintetizzano il comportamento del gestore imprese che si trovi di fronte ad una Pmi in difficoltà con l’espressione “disimpegnare progressivamente”? Ecco, per queste banche, cosa vale?