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La riforma (?) del codice delle crisi di impresa.

La riforma (?) del codice delle crisi di impresa.

Il decreto legge 118 pubblicato sulla G.U. del 24 agosto scorso individua un nuovo “percorso di aiuto delle imprese in difficoltà”, come recita l’articolo del Sole 24 Ore di Lucia Mazzei, introducendo la figura di un soggetto terzo e indipendente al quale sono affidati compiti assai importanti, dalla valutazione della effettiva situazione aziendale -e di conseguenza delle sue effettive possibilità di rilancio- fino all’individuazione delle ipotesi di fuoriuscita dalla crisi e all’assistenza all’imprenditore. Come sottolinea l’articolo il percorso è “del tutto volontario ed extragiudiziale” e sarà operativo a partire dal 15 novembre p.v.: slitta addirittura al 31.12.2023 il sistema di allerta automatico ed obbligatorio previsto dalla stesura originaria del Codice delle Crisi d’impresa, ovvero quella che venne poi a deragliare con i provvedimenti emergenziali emanati a seguito della pandemìa (dal Decreto “Liquidità” in poi). Non a caso l’Ordine nazionale dei dottori commercialisti invoca, al riguardo, l’avvio di un processo di riforma definitiva del Codice stesso.

Se è evidente l’intento del provvedimento, ovvero evitare l’aggravarsi delle crisi aziendali a seguito del lockdown, meno evidente appare la sua organicità rispetto alla situazione normativa nella quale operano le banche, caratterizzata dall’entrata in vigore degli Orientamenti EBA dal 30.6.2021. Gli istituti di credito, come è agevole ricordare, sono sovente i principali creditori dell’impresa in difficoltà, insieme all’Erario e agli Enti previdenziali e il realismo imporrebbe che si tenesse conto delle loro esigenze, non appena gestionali ma, soprattutto in questo momento, di natura normativa.

Che le banche siano imprese lo dice a chiare lettere la riforma operata con il T.U.B. del 1993, ma che le banche siano imprese speciali, destinatarie perciò stesso di una legislazione ad hoc e di un sistema di vigilanza dedicato non deve essere mai dimenticato: non a caso il Position Paper n.30 (agosto 2021), “Rischio di credito 2.0” dell’AIFIRM (Associazione Italiana Financial Industry Risk Managers) parla esplicitamente di un quadro normativo che nel tempo è andato allargandosi, a partire da Basilea 2, fino ad arrivare alla trattazione di aspetti fino a quel momento dati per scontati o, più semplicemente, demandati alla prassi.

È proprio il documento in parola, i cui Autori sono stati coordinati dall’autorevole Collega prof.Giacomo De Laurentis, che sottolinea il rischio che, fra le conseguenze degli Orientamenti, vi sia un credit crunch, un razionamento del credito certamente, almeno all’apparenza, improvvido, in questo momento storico: il che, d’altra parte, sarebbe coerente con gli intenti dichiarati degli Orientamenti EBA, ovvero quelli di prevenire pro-attivamente il deteriorarsi del credito fin dall’origine. Teoricamente i due provvedimenti convergono sul tema dell’evitare la deflagrazione della crisi d’impresa e delle sue conseguenze, ma sarebbe troppo ingenuo immaginare un immediato automatismo, senza riflettere su alcuni aspetti.

Il Decreto Legge 118, infatti,  pone almeno due ordini di problemi:

  1. la reale professionalità e le reali competenze di commercialisti, avvocati e consulenti del lavoro in materia bancaria, rispetto alle quali è lecito nutrire qualche dubbio, alla luce delle ben note lacune in materia di normativa bancaria e di una visione spesso ancorata ad un passato (il valore delle garanzie in primis): sotto questo profilo non resta che augurarsi che i corsi di formazione di cui parla il DL e i cui contenuti dovranno essere definiti dal Ministero della Giustizia entro il 24 settembre, siano imperniati sui temi della valutazione dell’equilibrio economico e finanziario storici e prospettici, sulla programmazione finanziaria, sulla corretta determinazione dei fabbisogni finanziari d’impresa;
  2. la reale volontà e consapevolezza degli imprenditori (e dei consulenti che li assistono), di assoggettarsi a un processo che, su basa volontaria, inevitabilmente metterà in luce le criticità della gestione, magari fino a quel punto sottaciute o ignorate: in altre parole, il tema che si pone è senza dubbio quella della tempestività, problematica che da sempre affligge le imprese in crisi, la cui auto-coscienza si rifiuta, sovente, di guardare in faccia alla realtà.

L’indipendenza del professionista coinvolto nella composizione negoziata della crisi  e la sua terzietà da sole non bastano, del resto se, sia pure volontariamente, si pone mano al tema della crisi d’impresa quando ormai è troppo tardi o quando il processo di degrado delle condizioni di gestione è pressoché irreversibile. Il tema, in altre parole, è squisitamente di natura culturale e riguarda non solo i professionisti, la cui cultura d’impresa si è comunque fortemente accresciuta negli anni, ma soprattutto gli imprenditori, ancora prigionieri di una mentalità che considera il fallimento come una condanna, anziché come una possibilità, e la crisi come un problema che è meglio rimandare il più avanti possibile, come quasi sempre si è fatto nel passato, inseguendo spesso soluzioni finanziarie anziché economiche, di rinvio delle scadenze anziché di ripensamento del business model.

Solo così, a ben riflettere, sarà possibile che l’ennesima riforma delle crisi d’impresa non si traduca in un provvedimento utile tutt’al più a soggetti interessati esclusivamente ad incarichi professionali, ma agevoli il cambiamento della mentalità delle imprese e di coloro che le assistono.

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Alessandro Berti Banche Capitale circolante netto operativo Crisi finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese Liquidità PMI

Cosa sono gli indicatori (le metriche) EBA: per non fare confusione tra metodo e merito.

Resistere al cambiamento è la cosa più naturale e, forse, anche la più facile da fare, quando quello che accade intorno a te ti ha fiaccato il corpo e lo spirito. Il Codice delle Crisi d’Impresa, semmai vedrà la luce a settembre, lo farà dopo un anno e mezzo dalla sua originariamente prevista entrata in vigore, si ritenne che sarebbe stato “troppo”, a pandemia appena iniziata. Le c.d. “metriche” fissate dall’EBA, viceversa, sono, per così dire, passate in cavalleria, non appena nel fluire di provvedimenti regolamentari e nella loro gestazione, ma nel dibattito, nelle pressioni lobbistiche, negli stessi convegni. Certamente è più interessante parlare di transizione ecologica e di sostenibilità non dei debiti ma del nostro sistema economico e sociale, ma quali imprese ci saranno a realizzare tutto questo e con quali denari lo faranno? Il tema posto dagli Orientamenti EBA o Guidelines, la cui entrata in vigore è fissata per il 30 giugno di quest’anno, non riguarda soltanto soglie numeriche, rispettate le quali tutto andrà bene per le imprese che vi rientreranno. In modo molto più ampio e con la richiesta di una visione strategica, sia per l’impresa, sia per la banca, le Guidelines mettono in discussione sia i contenuti delle informazioni sull’impresa da affidare, sia il modo con cui le stesse dovranno essere trattate, rivoluzionando, di fatto le relazioni di clientela. Dovremo abituarci a sentirci chiedere molto prima del solito documenti che prima si limitavano al bilancio d’esercizio e che, viceversa, troveranno nel bilancio la pura e semplice “partenza” di un business plan; allo stesso modo, in banca qualcuno dovrà piantarla di dire, a voce alta o bassa che sia, che “però le altre banche non lo chiedono o amenità similari”. Dal grado di copertura degli interessi (interest coverage ratio) fino all’Ebitda e al suo moltiplicatore con la PFN, dal DSCR al patrimonio netto negativo (come accade in tante piccole aziende) occorrerà interrogarsi su come, perché e per chi fare impresa, con quale capitale, per ottenere quali risultati. Una sfida che non si può non raccogliere.

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Crisi finanziaria Disoccupazione Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI USA

Il faut toujours épater le bourgeois (*).

Il faut toujours épater le bourgeois (*).

In un articolo comparso su Italia Oggi si menziona, sin dal titolo, che serve, appunto, a stupire a buon mercato, uno degli effetti più devastanti non già del Covid-19, quanto piuttosto della legislazione emergenziale che ne è seguita, soprattutto il famoso Decreto Liquidità. Ovvero, l’improcedibilità dei fallimenti, il divieto di licenziare, l’estensione sino agli estremi confini della terra della Cassa Integrazione, la dichiarata impossibilità di mettere a sofferenza posizioni della clientela da parte delle banche e così via.

Il fallimento, anzi, la liquidazione giudiziale, come lo definisce il codice delle crisi d’impresa, la cui entrata in vigore è stata posticipata a settembre 2021, non è solo una punizione per i reprobi, un castigo divino, una distruzione morale e materiale: senza voler imitare gli USA, la nostra legislazione, che pure dal 2005 mira a recuperare, salvare, proteggere anche i valori dell’azienda, deve fare il lavoro sporco di “ripulire” il mercato dai cadaveri, evitando, insieme con le banche, che si decompongano e “infettino l’aria” e coloro che ancora sono sani. Che i fallimenti si siano dimezzati non è affatto un buon segnale, né per le casse dello Stato -che nel frattempo ha pagato stipendi a gente che non lavorava in imprese sostanzialmente fallite- né per quelle delle banche e, che piaccia o no, neppure per le imprese: perché qualcuno che non avrebbe dovuto ha continuato a vivacchiare, ai margini del mercato, impedendo al mercato di funzionare, probabilmente senza neppure pagare i fornitori.

Purtroppo, dall’articolo di Italia Oggi, emerge una sola certezza, al di là del titolo davvero deplorevolmente ingannevole (si fa informazione anche con i titoli), ovvero che il dopo sarà peggio, i fallimenti più dolorosi, le crisi d’impresa più devastanti, il credito deteriorato maggiore di prima, perché, oltretutto, qualcuno che non avrebbe dovuto avrà comunque ottenuto qualche prestito garantito FCG. Nel frattempo, i bilanci al 31.12.2019 sono sempre “provvisori”, i business plan sono fantasie di consulenti e, come ho potuto ascoltare in un webinar settimana scorsa, le banche sono un fornitore come un altro, e quindi bisogna scegliere quella che fa pagare di meno, “mettendole in concorrenza (sic)“. Tante care cose.

(*) Dall’enciclopedia Treccani: locuz. fr. (propr. «sbalordire il borghese»). – Meravigliare a buon mercato la gente, con parole e affermazioni paradossali, con atteggiamenti anticonformistici o spregiudicati, per il gusto di stupire e scandalizzare.

 

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Analisi finanziaria e di bilancio Banche Capitale circolante netto operativo Crisi finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI

Sul budget di tesoreria e altre sciocchezze.

Sul budget di tesoreria e altre sciocchezze.

Sul Sole 24 Ore di oggi, sul tema ormai caldo della prevenzione delle crisi di impresa si legge che “pur rappresentando lo strumento principe degli adeguati assetti organizzativi, la tesoreria è spesso trascurata in azienda, e può persino accadere che l’imprenditore ritenga di disporne, quando invece possiede informazioni poco approfondite e talvolta incomplete. Molti direttori amministrativi, infatti, predispongono periodicamente un prospetto, talvolta ricavato dall’home banking, dal quale emergono gli affidamenti e gli utilizzi per banca e per linea, e anche un ulteriore previsione manuale delle entrate e delle uscite di cassa relative al mese successivo; queste informazioni, per quanto valide e rilevanti, non sono spesso sufficienti e talvolta possono persino risultare fuorvianti.”

Se c’è qualcosa di fuorviante è proprio l’incipit dell’articolo, peraltro redazionale, che appare su Norme e Tributi di oggi e che sembra dare per scontato che l’adozione dello strumento sia di per sé sufficiente a scongiurare il rischio di crisi dell’impresa, così come si è tentato di prevenirlo nella norma che entrerà in vigore l’anno prossimo.

Prosegue infatti l’articolo affermando che “l’orizzonte temporale di riferimento della previsione finanziaria non è peraltro un dato negoziabile, in quanto l’articolo 13 del Codice della crisi d’impresa concentra la sua attenzione proprio sulla circostanza che i debiti siano sostenibili o meno per i sei mesi successivi: questa è quindi la durata minima per la quale i flussi di cassa devono essere visibili da parte degli amministratori. Con una tesoreria che consenta tra una rilevazione e l’altra di disporre di informazioni previsionali sulla sostenibilità dei debiti (ovvero sulla capacità di avere entrate finanziarie in grado di coprire le uscite) si può quindi ritenere che si riesca a presidiare in modo serio il rischio di crisi aziendale.

Il budget di tesoreria era (talvolta è ancora) l’unico documento che presentavano certi professionisti della crisi d’impresa quando si recavano in banca a contrattare concordati stragiudiziali e tentativi, più o meno tardivi, di salvataggio. Ma soprattutto il budget di tesoreria è uno strumento di talmente corto respiro (la sua attendibilità non può superare i 6/12 mesi) che poco conta che l’articolo 13 si soffermi sulla sostenibilità dei debiti a 6 mesi. La prevenzione si attua con strumenti un po’ più complessi e davvero anticipativi, come la programmazione economico-finanziaria pluriennale, la redazione di bilanci pro-forma e di rendiconti finanziari di previsione. Purtroppo si deve ammettere che tali strumenti non solo non fanno sempre parte della cultura professionale, ma anche che ben poche aziende ne sono davvero dotate, a cominciare da quelle di più grandi dimensioni. Si tratta, appunto, di una questione culturale prima ancora che normativa. Senza dimenticare, da ultimo, che nessun budget di tesoreria potrà rimediare al peggiore dei fabbisogni finanziari, quello che deriva dalle perdite.

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Banca d'Italia Banche Crisi finanziaria Fabbisogno finanziario d'impresa Imprese Indebitamento delle imprese PMI

Codice della crisi e finanza d’impresa: facciamoci del male.

Codice della crisi e finanza d’impresa: facciamoci del male.

Per ragioni che è difficile identificare in maniera scientifica ma che appaiono aristotelicamente evidenti, il governo che (non) ci governa è formato da inetti a 360°, che riescono a dare il meglio, o il peggio, di sé in ogni campo dello scibile universale. E’ di oggi, sul Sole 24 ore , il “manifesto” di 22 studi legali nazionali e internazionali, che evidenziano rilievi critici assai pesanti sul Codice delle Crisi d’impresa approvato dal Governo nei primi mesi dell’anno e destinato a entrare in vigore l’anno prossimo. Questo blog non è sicuramente il luogo all’interno del quale occuparsi approfonditamente dell’argomento, riservandoci comunque di ritornare sul tema e di approfondire i temi della prevenzione, come abbiamo già fatto. Per adesso è sufficiente annotare che rivedere la disciplina del concordato preventivo in modo tale da privilegiare nuovamente la liquidazione giudiziale, significa ritornare indietro agli anni in cui la legge è stata approvata (1942) e a un atteggiamento del legislatore del tutto sfavorevole a salvataggi e ristrutturazioni, a scapito della continuità aziendale. A tacere del trattamento riservato a coloro che investono capitali per rifinanziare imprese in difficoltà, che potrebbero trovarsi nella spiacevole situazione di “conflitto di interesse” e di non poter votare al momento dell’approvazione del piano di ristrutturazione. Il che rende la riforma un mostro giuridico che fa indietreggiare di anni la cultura della crisi d’impresa, in ambito imprenditoriale, aziendale, legale. Ne avevamo proprio bisogno?